Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Condanne di circostanza, propaganda d'ordinanza da due diplomatici palestinesi
Testata:Corriere della Sera - L'Unità Autore: Alessandro Trocino - Umberto De Giovannangeli Titolo: «Rashid: Gerusalemme fa politica terroristica E con Berlusconi l'Italia è molto peggiorata - «Io palestinese condanno i falò delle bandiere»»
Gesto "inutile e dannoso" quello di bruciare le bandiere israeliane, ma nessuna condanna morale. E poi, ripetuti, gli slogan della più violenta propaganda antisraeliana, non molto dissimili da quelli dei "grupposcoli" che bruciano le bandiere. Per Ali Rashid, per anni rappresentante in Italia dell'Anp e ora deputato di Rofondazione Comunista, Israele pratica il terrorismo, Sharon é un criminale di guerra , mentre le stragi del terrorismo suicida sono "un fenomeno complesso". Certo Rashid é troppo intelligente per bruciare bandiere in piazza, ma la sostanza dell'odio per Israele e del ribaltamento della verità, nelle sue parole c'é tutta. Ecco il testo dell'intervista rilasciata al CORRIERE della SERA:
Il gesto, le bandiere d'Israele bruciate, è «inutile, dannoso», fatto da «una piccolissima minoranza che non conta nulla», ma non è la spia di «un atteggiamento anti israeliano». Alì Rashid, ex rappresentante dell'Olp in Italia, è neodeputato di Rifondazione. Laico, fautore del dialogo, scrive per il manifesto e non gode delle simpatie dell'ambasciatore d'Israele Ehud Gol: «Rashid? Un rivoluzionario da albergo a cinque stelle, una vergogna la sua candidatura». Lui tiene la barra dritta: condanna dello «stupido estremismo» di chi brucia le bandiere, ma anche dell'occupazione israeliana e del suo «terrorismo». In corteo c'era chi gridava: «Israele Stato terrorista». «Non metto in discussione il diritto di esistere di Israele, né dico che sia uno Stato terrorista. Ma, certo, la politica di Israele nei confronti del popolo palestinese è terrorista». Ha anche definito Sharon un «criminale di guerra». «Non ricordo di avere usato quelle parole. Ma i massacri che hanno caratterizzato tutta la sua vita parlano da soli». C'è chi ne ha apprezzato la svolta finale, il ritiro da Gaza. «Poca cosa. L'ha fatto per mangiarsi meglio la Cisgiordania. E ha continuato con la colonizzazione e le punizioni collettive». Rutelli e Fassino, probabilmente, non le darebbero ragione. «Nell'Unione ci sono opinioni diverse, ma tutti chiedono il rispetto della legalità internazionale. Nel centrosinistra non ci sono nemici di Israele». Opinioni diverse anche su Hamas. C'è chi vuol trattare e chi no. «Io sono per la trattativa». Senza chiedere la fine del terrorismo? «Hamas non è più estremista di Israele. Anzi, subisce l'occupazione. Detto questo, è mia nemica culturale e politica: è il prodotto del degrado causato dall'occupazione». Dunque, trattare. «Noi palestinesi abbiamo trattato con Sharon e con Begin, nonostante tutti i massacri che hanno fatto». Cosa pensa del terrorismo? «È un fenomeno complesso. I palestinesi sentono la sindrome della fine e agiscono in modo sbagliato». La sinistra italiana è antisemita? «No, anzi c'è una grande maturità anche nella sinistra radicale». Dall'osservatorio dell'Olp ha visto l'Italia cambiare. «In peggio. C'è stata un'involuzione con Berlusconi». Lei va ai cortei? «Sì, ma non con chi brucia le bandiere. Bisogna isolarli. Sono i peggior nemici delle cause che pretendono di difendere». L'UNITA' pubblica un'intervista al rappresentante dell'Anp in ItaliaSabri Ateyeh. Liquidata frettolosamente la questione delle bandiere bruciate l'intervista vira sulla politica mediorientale e sulle accuse a Israele, responsabile unico dello stallo del processo di pace, nonostante dalla sua parte vengano i disimpegni unilaterali e da quella palestienese il terrorismo. Umberto De Giovannangeli registra acriticamente:
Ambasciatore Sabri Ateyeh il Medio Oriente è di nuovo sconvolto da attentati sanguinosi, come quelli di Dahab. Come rispondere alla sfida del terrore? «Abbiamo appreso con costernazione le notizie che giungevano da Dahab. Si tratta di azioni criminali da condannare senza mezzi termini. Nessuna causa, anche la più fondata, può mai giustificare l’uccisione di civili inermi. Ma ciò che è accaduto in Egitto ci ricorda, drammaticamente, che i problemi del Medio Oriente bisogna risolverli con le trattative, con i mezzi diversi dalla violenza». L’attenzione internazionale resta concentrata sui Territori e sul braccio di ferro in atto tra il presidente Abu Mazen e il governo Hamas. C’è il rischio che questo scontro sfoci in una guerra civile? «No, la guerra civile è una linea rossa che nessuno ha intenzione di valicare. Vede, la figura del primo ministro fu imposta al presidente Arafat da Stati Uniti e Israele ma alla base della nascita dell’Autorità palestinese c’è la figura, centrale, del Presidente con i ministri che collaboravano all’attuazione della sua politica. Il fulcro della decisionalità politica era la Presidenza. Dopo le elezioni del 25 gennaio scorso, dopo la vittoria elettorale di Hamas, la Presidenza ha ripreso queste sue prerogative. Sarebbe più utile soffermarsi sui problemi concreti e sui riflessi psicologici che segnano la realtà palestinese. Certamente c’è una diffusa frustrazione, ci sono le difficoltà materiali quotidiane, c’è la fame. Tutto questo comporta una concentrazione di frustrazione e di rabbia. Non nascondo l’esistenza di problematiche tra la Presidenza e il Governo né intendo sminuirne la portata, ma, lo ribadisco, c’è una linea rossa che nessuno intende superare: la linea della guerra civile, per l’appunto. Mi lasci aggiungere che a volte questi problemi sono ingigantiti dall’esterno...». A cosa si riferisce? «Quando fu assaltata tempo fa la sede della rappresentanza della Ue a Gaza, c’è chi parlò del popolo palestinese che aveva dichiarato guerra all’Europa. Niente di più falso. Il popolo palestinese rispetta l’Europa e apprezza tutto quello che l’Europa ha fatto e continua a fare per la causa palestinese, e ciò vale sia per i partiti oggi al governo nei Territori che per quelli all’opposizione, come per la società civile. C’è da chiedersi chi ha interesse a incrinare i rapporti tra l’Europa e il popolo palestinese. Per quanto riguarda i rapporti interni, c’è una Costituzione che li regola, e i viaggi che sta svolgendo all’estero il presidente Abu Mazen servono a rafforzare l’Autorità nazionale palestinese e non a sponsorizzare, o a inficiare, il governo guidato da Ismail Haniyeh». Il presidente Abu Mazen ha lanciato un appello per la convocazione immediata di una Conferenza internazionale di pace sotto l’egida del Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia). Qual è il senso di questa proposta? «La Road Map contemplava una Conferenza di pace, un passaggio cruciale nel percorso negoziale. Il presidente Abu Mazen ha ribadito a più riprese che siamo disposti da subito a tornare al tavolo delle trattative. Ma sin dalla sua elezione alla Presidenza, c’è stato un solo incontro tra Abu Mazen e l’allora premier israeliano Ariel Sharon. In quell’incontro l’accordo sottoscritto è rimasto sulla carta, completamente inevaso. È normale che Abu Mazen chieda la convocazione di una Conferenza internazionale di pace, perchè ciò rientra nella strategia adottata dall’Olp dal 1993 (gli accordi di Oslo-Washington, ndr.) ad oggi». Stati Uniti ed Europa hanno deciso di bloccare gli aiuti economici all’Autorità palestinese per costringere Hamas a modificare la sua politica, a riconoscere lo Stato d’Israele e porre fine alla violenza. Il blocco degli aiuti è a suo avviso la strada giusta per ottenere questo obiettivo politico? «Rispettiamo le decisioni di tutti i Paesi sovrani ma consideriamo queste misure non giuste, le riteniamo punizioni collettive, risultato, peraltro, di elezioni democratiche, liberamente promosse dallo stesso presidente Abu Mazen. Il documento di assunzione di responsabilità inviato da Abu Mazen ad Haniyeh, delineava vincoli molto chiari. Ciò che mi fa paura personalmente è come si possa dire che visto che c’è un governo di Hamas allora bisogna bloccare tutta l’operazione politica. Il processo di pace è scomparso completamente, ciò che è rimasto è solo la parola “processo”. Abbiamo tanti accordi da poter riempire questa stanza. Negli ultimi anni, anche dopo l’avvento della Presidenza Abu Mazen, sono aumentati gli insediamenti ebraici nei Territori, e questo nonostante gli attestati di stima rivolti ad Abu Mazen da tutto il mondo, compreso Israele. Dicevano che Arafat era l’ostacolo alla pace. Arafat è morto, ma le cose sono cambiate in peggio. Quando è morto Arafat c’erano presenti sul territorio 250 ceck-point nei Territori. Oggi ne sono in funzione 750. Il Muro lo vedo crescere. La definizione più calzante per il Muro l’ha data il presidente George W.Bush: vedo il muro, disse, come un “serpente che si allunga”. Quel “Serpente” allungandosi occupa il territorio palestinese, isola centinaia di migliaia di palestinesi dai loro luoghi di lavoro e di studio, circonda Gerusalemme, e questa è una sorta di pressione per un transfert collettivo, peraltro esplicitamente evocato da uno dei leader della destra oltranzista israeliana, Lieberman. Si sta uccidendo giorno dopo giorno la speranza nella pace. Da qui la necessità di un ruolo attivo della Comunità internazionale. Non bisogna avallare la posizione di Israele secondo cui non esiste un partner per la pace. Quel partner esiste, noi palestinesi abbiamo scelto la pace come strategia, ma questa pace non può realizzarsi se non con la costituzione di uno Stato palestinese indipendente, in grado di poter sopravvivere. La pace a cui tendere è quella evocata dallo stesso presidente Bush: quella di due Stati che convivono fianco a fianco, cooperando attivamente per il benessere dei rispettivi popoli». Signor ambasciatore, cosa si sente di chiedere al nuovo governo italiano di centro-sinistra? «Innanzitutto vorrei dire di essere molto contento di operare in un Paese amico come l’Italia. Prima di venire in Italia, ho sempre seguito la situazione italiana nelle varie dimensioni, per ciò che concerne la vita politica, istituzionale, e della società. Promosso dall’Italia abbiamo avuto il primo riconoscimento ufficiale dell’Olp, con la Dichiarazione di Venezia. So bene tutti gli sforzi che l’Italia, attraverso Regioni, Comuni, associazioni, fa per aiutare il popolo palestinese. Siamo pronti a cooperare attivamente per fare del Mediterraneo un mare di pace e di cooperazione, senza più conflitti o rami di distruzione di massa. Cercherò di fare del mio meglio per rafforzare ulteriormente i rapporti di fratellanza che già esistono con l’Italia, guardando, insieme, in avanti».
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