Dal CORRIERE della SERA di martedì 18 aprile 2006, un articolo di Guido Olimpio:
DUBAI — La via segreta alla Bomba iraniana passa sotto i grattacieli scintillanti di Dubai, la mecca commerciale del Golfo. A tracciarla sono stati uomini d'affari, trafficanti d'oro e il re del mercato nero nucleare, il pakistano Abdul Qader Khan. Lo scienziato, oggi agli arresti domiciliari, avrebbe fornito all'Iran, attraverso il suo network segreto, le centrifughe P2 e il disegno per creare una testata atomica. A fornire un indizio, dopo tanti sospetti, è stata una frase del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che ha fatto un esplicito riferimento all'uso delle nuove centrifughe, che hanno una capacità di arricchire l'uranio 4 volte superiore alle vecchie. Per gli esperti americani — citati ieri dal New York Times — è possibile che Teheran abbia creato il classico schema del Piano A e del Piano B. Il primo è quello offerto agli occhi degli ispettori dell'Aiea, il secondo è invece sviluppato in segreto. Così è difficile fare previsioni accurate sui tempi del programma khomeinista. E gli iraniani che sono maestri della
taqiya — permette di mentire per una causa giusta — sarebbero riusciti dunque a ingannare la comunità internazionale.
Un'operazione clandestina resa possibile — sostengono oggi gli analisti — dal lavoro discreto di Khan. Spregiudicato, con buoni contatti, lo scienziato lavora in Olanda per alcuni anni. Poi torna a Islamabad con una moglie olandese e un pacco di documenti riservati legati al nucleare. Khan è determinante nello sviluppo dell'atomica pachistana e lo è altrettanto nel piazzare tecnologia a chi è disposto a pagare. Vende a Libia, a Corea del Nord, più tardi esplorerà affari con i qaedisti.
Il cliente più interessante e interessato è però l'Iran. Teheran, nel 1991, contatta Islamabad per siglare un accordo, ma incontra un rifiuto. Passano appena tre anni ed è Khan a offrire agli ayatollah le centrifughe P1 e P2. Sono anni intensi. Di affari, manovre, missioni segrete. Nel periodo 1994-99 si verificano non meno di 14 incontri tra membri del network Khan e emissari iraniani. Il luogo preferito
INDIZIO
Il presidente Ahmadinejad
(foto) ha accennato a nuove tecnologie: per gli esperti Usa sarebbero state cedute dal pakistano Khan
è Dubai, grande centro di scambi. Il pakistano ha creato in città una società — la Smb — affidata allo srilankese Abu Tahir (detenuto in Malaysia). La ditta è solo una delle compagnie-ombra presenti a Dubai. Khan visita gli uffici sul Creek, il canale nel centro della città, per trafficare tecnologia e fare investimenti. Dicono che abbia investito decine di milioni di dollari nel boom degli Emirati, una esplosione commerciale dove si mescolano modernità e vecchi sistemi.
Dubai è il luogo ideale per chi ha qualcosa da vendere. E nessuno fa domande. Sarà per questo che dal 1999 al 2005 Khan visita la città ben 41 volte. Un testimone ha raccontato di aver visto una volta un inviato iraniano portare in un appartamento una valigia con tre milioni di dollari destinati al pakistano. Montagne di denaro — affermano fonti locali — che Khan ha fatto poi lavare dai mercanti che vendono l'oro, non lontano dal porto.
Lungo questa via tortuosa i trafficanti hanno fatto arrivare agli iraniani tecnologia importante. Fonti occidentali ritengono che una parte sia stata destinata al centro di Natanz, oggi considerato il cuore del programma. Ora l'Aiea vuole capire se realmente Teheran ha messo in funzione le centrifughe P2. Fino ad oggi i mullah avevano affermato di aver rinunciato al loro uso per problemi tecnici, ma le parole di Ahmadinejad hanno fatto scattare l'allarme. Non meno interessanti le scoperte dell'intelligence. Foto satellitari hanno rivelato l'ampliamento — con un nuovo tunnel — dei laboratori sotterranei di Isfahan e il rafforzamento delle protezioni a Natanz. Dati che saranno esaminati dal direttore dell'Aiea, Mohammed ElBaradei, prima di presentare il suo rapporto il 28 aprile. Ed è curioso assistere allo strano scambio di ruolo. Il responsabile Aiea — che veste i panni del pubblico ministero — dice che esistono poche prove sulle violazioni iraniane mentre gli ayatollah fanno di tutto per essere «incriminati». Quasi che cercassero in modo deliberato la punizione, perchè sono convinti che gli Usa hanno molto da perdere da una nuova avventura militare. Ieri sera, l'ambasciatore iraniano a Mosca, Gholamreza Ansari, ha promesso il massimo sforzo diplomatico, ma ha avvertito che il suo Paese, in caso di attacco, «è pronto alla guerra».
Da La STAMPA, un'analisi di Maurizio Molinari sui piani terroristici iraniani:
Quarantamila kamikaze: è questa l'arma di distruzione a cui Teheran potrebbe affidare il contrattacco se un blitz aereo dovesse distruggere i propri impianti nucleari. A svelarlo è stato il «Sunday Times» londinese, secondo il quale Hassan Abbassi, capo del Centro per gli studi strategici e dottrinari delle Guardie Rivoluzionarie nonché stretto collaboratore del presidente Mahmud Ahmadinejad, avrebbe recentemente annunciato l'identificazione di «29 obiettivi occidentali» destinati ad essere colpiti dall'ondata di attentati suicidi. Si tratterebbe, secondo quanto dichiarato da Abbasi in pubblico, di «punti sensibili americani e britannici molto vicini al confine iraniano con l'Iraq». La minaccia dunque è di incendiare l'Iraq con un'ondata di attacchi kamikaze che potrebbe innescare una rivolta dei gruppi sciiti più vicini a Teheran ed ostili alla coalizione alleata, come l'Esercito del Mahdi guidato dall'imam ribelle Moqtada al-Sadr. Il reclutamento dei potenziali kamikaze andrebbe a gonfie vele: secondo il quotidiano britannico i volontari quando si iscrivono presso appositi uffici oltre a mostrare certificati di nascita e di residenza sono chiamati anche a scegliere fra essere destinati a colpire obiettivi anglo-americani o israeliani.
La rivelazione sui 40 mila kamikaze coincide con i risultati di uno studio dell'Istituto per la scienza e la sicurezza internazionale di Washington che, sulla base dell'analisi delle foto satellitari dell'Iran, è arrivato ad affermare che Teheran sta ampliando le installazioni nucleari di Isfahan e Natanz. Uno sviluppo che sembra confermare la volontà di Teheran di installare 54 mila centrifughe al fine di dare vita ad un'arricchimento dell'uranio su base industriale rispetto a quello limitato oggi a 164 centrifughe. Inoltre le centrifughe su cui vuole lavore Teheran sarebbero - secondo dichiarazioni di Ahmadinejad pubblicate sul «New York Times» - del tipo «P2», più sofisticate di quelle attuali ed in grado di produrre uranio arricchito in tempi più celeri. «E' la prima volta che Teheran ammette di lavorare con questa tecnologia» ha sottolineato il sottosegretario di Stato Robert Joseph. «Le immagini satellitari che abbiamo - ha dichiarato l'ex ispettore delle Nazioni Unite David Albright - ci dicono che stanno costruendo nuovi impianti sotterranei ad una profondità di almeno otto metri» ovvero immaginati per resistere all'impatto di bombe anti-bunker. «Stanno adottando precauzioni straordinarie per difendere gli impianti nucleari - ha sottolineato Albright - e tutta la discussione sulla possibilità di eliminarli dall'aria appare poco fondata». A sospettare la possibilità di un attacco aereo americano è l'ex presidente iraniano, Hashemi Rafsanjani, che durante una visita a Damasco ha affermato di non credere alle smentite in proposito che continuano ad arrivare dalla Casa Bianca.
In merito ai piani americani lo scrittore William Arkin, noto per la competenza su affari militari ed intelligence, ha affidato alle colonne del «Washington Post» una dettagliata disamina degli scenari di attacco finora presi in considerazione dai pianificatori del Pentagono. Secondo Arkin le forze americane sin dall'inizio del 2003 hanno condotto esercitazioni denominate «Tirannt» (acronimo inglese per «Teatro iraniano nel breve termine») che prevedono tanto l'opzione di un massiccio bombardamento aereo con il preavviso di appena dodici ore da parte del presidente degli Stati Uniti che l'impiego di truppe anfibie e marines sul modello delle esercitazioni da sbarco svoltesi proprio nel maggio 2003 nel Mar Caspio. In tale quadro uno degli scenari presi in considerazione dal Pentagono è il lancio da parte dell'Iran di un particolare numero di missili balistici, con relativa necessità da parte degli Stati Uniti di intercettarli ed abbatterli con la difesa anti-missile in quella che potrebbe essere la prima battaglia balistica combattuta sui cieli del Medio Oriente.
E una sul sostegno di Teheran ad Hamas:
Teheran ha firmato un assegno di 50 milioni di dollari per l'Autorità nazionale palestinese suggellando un'intesa strategica che ha altri due pilastri ovvero gli impegni di Hamas a non riconoscere l'esistenza di Israele ed a sostenere la corsa all'atomo iraniana.
Ad annunciare la decisione di finanziare il governo di Hamas è stato domenica il ministro degli Esteri iraniano, Manoucher Mottaki, spiegando durante una conferenza stampa a Teheran di essere onorato di «donare 50 milioni di dollari alla nazione palestinese». Se nelle scorse settimane l'Iran aveva già fatto sapere di non condividere la scelta di Unione Europea e Stati Uniti di tagliare gli aiuti ad Hamas adesso per la prima volta alle parole seguono i fatti. A ricevere l'assegno è stato il premier palestinese, Ismail Haniyah, plaudendo alla scelta di Teheran ed al tempo stesso lamentando il «boicottaggio internazionale ordito contro il popolo palestinese da un'alleanza profana che viene guidata dagli Stati Uniti d'America».
Il dono di 50 milioni di dollari non è tuttavia un fatto a sè, né si limita ad essere un gesto di sfida di Teheran a Washington e Bruxelles, ma cela una più vasta intesa strategica fra Hamas e l'Iran che appare destinata a cambiare gli equilibri in Medio Oriente. A conferma di questo vi sono le dichiarazioni con cui Khaled Meshaal, leader di Hamas, ha fatto precedere e seguire l'annuncio sugli aiuti economici. Giunto a Teheran per partecipare ad una conferenza sulla questione palestinese, Meshaal venerdì si era impegnato pubblicamente a «non riconoscere mai lo Stato di Israele» andando così incontro - secondo fonti diplomatiche europee a Washington - ad un'esplicita richiesta del governo iraniano. Teheran infatti in passato non ha mai sostenuto l'Anp opponendosi agli accordi di pace di Oslo del 1993 così come a quelli seguenti per via del fatto che riconoscono l'esistenza dello Stato di Israele.
La dichiarazione di Mashaal, fedele allo statuto di Hamas che considera illegittima la presenza non solo di Israele ma degli ebrei in Palestina, costituisce la garanzia politica di cui Teheran aveva bisogno per modificare il precedente orientamento verso l'Anp. Mashaal è tornato a prendere la parola a Teheran ieri, 24 ore dopo la consegna del 50 milioni, per sottolineare il sostegno dei palestinesi alla corsa iraniana al nucleare. «Chiedo a tutti i Paesi arabi e musulmani di seguire l'Iran nel percorso che ha scelto al fine di entrare in possesso della pacifica tecnologia nucleare - ha detto il leader di Hamas - il possesso di questa tecnologia è un diritto delle nazioni del mondo, rendiamo omaggio all'Iran per aver intrapreso questa direzione, che darà beneficio a tutte le nazioni». Da qui l'emergere di un'intesa strategica che trasforma l'Anp guidata da Hamas in un alleato strategico di Teheran: non solo nella volontà di annientare Israele ma anche nel perseguimento del nucleare.Il fatto che Mashaal viva da molti anni a Damasco sotto protezione del governo siriano lascia supporre in ambienti diplomatici che il presidente Bashar al-Assad possa essere il terzo protagonista dell'intesa fra Hamas ed il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad.
Poche ore dopo il passo di Teheran anche l'Emirato del Qatar - alleato di Washington nella guerra in Iraq per deporre Saddam - ha fatto sapere di voler donare all'Anp altri 50 milioni di dollari, nell'evidente tentativo di bilanciare l'influenza di Teheran.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera e della Stampa