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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.04.2006 Il pazzo che brandisce la spada
Cronache e opinioni

Testata:La Stampa-Corriere della Sera
Autore: Aldo Baquis-Davide Frattini-Daria Gorodisky
Titolo: «Hamas,Ahmadinejad,Iran»

Le minacce del "pazzo che brandisce la spada", come Shimon Peres ha definito Ahmadinejad, tengono banco sui giornali italiani anche oggi, domenica 16 aprile 2006, giorno nel quale si celebra la Pasqua cristiana. La REPUBBLICA (Fabio Scuto) e il CORRIERE della SERA (Davide Frattini), riportano le dichiarazioni del vice Premier israeliano con una cronaca corretta. Pubblichiamo il pezzo di Frattini. Aldo Baquis sulla STAMPA ci fornisce una cronaca dettagliata delle posizioni dentro Hamas che riportiamo. In altre pagine di IC di oggi riprendiamo l'argomento con le critiche a AVVENIRE,MANIFESTO e UNITA'.

Ecco l'articolo di Frattini dal titolo "Peres: Ahmadinejad farà la fine di Saddam":

GERUSALEMME — Il Paese è stato ribattezzato Korona. L'anno è il 2015. Ma i confini sulla mappa, esplorata da generali americani e britannici, disegnano il contorno dell'Iran. Giochi di guerra. Per studiare vantaggi e svantaggi di un'offensiva. «Solo un'esercitazione, una delle tante che facciamo. Mettiamo alla prova i nostri ufficiali, utilizzando nazioni inventate e cartine geografiche reali. Non esistono piani d'attacco», hanno spiegato dal ministero della Difesa a Londra.
L'invasione d'allenamento — nome in codice Hotspur — si è svolta nel luglio 2004 alla base di Fort Belvoir in Virginia e il quotidiano
Guardian,
che l'ha rivelata, non racconta chi abbia vinto.
In Israele non hanno dubbi: «Ahmadi- nejad farà la fine di Saddam Hussein. Rappresenta Satana e non Dio».
La previsione è di Shimon Peres, che ha precisato di aver parlato a titolo personale e non come numero due del governo.
Resta l'avvertimento: «Ciò che dice il presidente iraniano ricorda quello che proclamava il raìs iracheno. La Storia ha sempre saputo smascherare i pazzi e coloro che brandiscono la spada». Quella di Peres è la prima reazione dallo Stato ebraico alle parole di Ahmadinejad che venerdì era tornato a negare la Shoah e ad attaccare: «Il regime sionista è in decadenza, destinato all'annientamento. È come un albero rinsecchito che sarà spazzato via alla prima tempesta. Se possono esserci dubbi sull'Olocausto degli ebrei, non ce n'è alcuno sull'Olocausto che si è verificato negli ultimi anni contro il popolo palestinese. Perché devono essere le genti musulmane a pagare le colpe del comportamento degli europei? La vera fede e la libertà stanno sbocciando e la Palestina sarà presto libera».
Le «minacce del pazzo che brandisce la spada» vengono prese sul serio dall'intelligence militare israeliana. «L'Iran potrebbe riuscire a produrre un ordigno nucleare prima della fine di questo decennio», ha detto il generale Amos Yadlin. Il consigliere per la Sicurezza nazionale Giora Eiland resta convinto che non sia troppo tardi per fermare Teheran, malgrado gli annunci del regime: «Vogliono solo creare un'idea di ineluttabilità, che è falsa. C'è ancora tempo prima che possano produrre armamenti nucleari e si può intervenire».
Nel governo o tra i militari non viene evocata per ora l'ipotesi di un'operazione preventiva per neutralizzare i siti atomici iraniani, come nel 1981 contro il reattore iracheno di Osirak. Il quotidiano Yedioth Ahronot
ha fatto notare che un intervento sarebbe al di sopra delle possibilità israeliane: gli obiettivi sarebbero centinaia e dovrebbero essere bombardati a ripetizione per giorni. Solo gli Stati Uniti, conclude Yedioth,
«dispongono di una tale capacità offensiva».
Chi non pensa a piani d'attacco ma a negoziati «seri e leali» è Benedetto XVI. Che oggi nel suo messaggio pasquale intende esortare la comunità internazionale perché si impegni a realizzare la convivenza tra diverse culture e religioni. Nella sua prima benedizione Urbi et Orbi, Papa Ratzinger vuole sottolineare il diritto di Israele a esistere in pace e lanciare un appello per la nascita di uno Stato palestinese.

All'articolo di Frattini facciamo seguire l'intervista a Umberto Ranieri, responsabile esteri DS, uscita stamane sul CORRIERE della SERA,di Daria Gorodisky.

ROMA — Il messaggio che Umberto Ranieri non si stanca di ripetere quando si parla di questione iraniana è «la nostra bussola saranno Unione europea e Onu». Ma poi, piano piano, emerge quella che, secondo il deputato ds ed ex sottosegretario agli Esteri (nei governi D'Alema e Amato), dovrebbe essere la politica del centrosinistra nei confronti di Teheran. «Ahmadinejad sta buttando benzina sul fuoco della crisi mediorientale. Le sue ultime dichiarazioni sono di una gravità estrema: minaccia ancora una volta Israele; lancia orribili offese alla memoria ebraica negando l'Olocausto; e annuncia che il suo Paese è entrato nel club del nucleare».
Ritiene che l'Iran rappresenti una seria minaccia?
«Nessuno può sottovalutare il rischio che non solo Usa e Israele, ma il mondo intero correrebbe se un regime come quello si dotasse dell'arma nucleare. Oggi l'Iran rappresenta la questione più grave con cui la comunità internazionale debba fare i conti».
Gli Stati Uniti infatti ora chiedono al Consiglio di Sicurezza dell' Onu di adottare sanzioni con una risoluzione che faccia riferimento al capitolo 7 della Carta, quello che prevede anche il ricorso alla forza «in caso di minaccia alla pace, di violazione della pace o di un atto di aggressione».
«La comunità internazionale ha mosso tanti passi verso l'Iran nel tentativo di bloccare il suo percorso verso il nucleare. Ma Ahmadinejad ha risposto procedendo con l'arricchimento dell'uranio, presupposto per arrivare alla bomba atomica».
Dunque?
«C'è una gradualità negli interventi e, soprattutto, le decisioni devono essere unitarie. Di fronte ai comportamenti e agli atti del regime di Teheran, però, non escludo che già oggi il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite possa e debba ricorrere alle sanzioni».
E il riferimento al capitolo 7?
«Deciderà il Consiglio di sicurezza, dove l'Italia, come è noto, non siede. Certo, quel riferimento consentirebbe di rivolgersi al regime iraniano con molta determinazione. Ma è importante che siano tutti d'accordo».
Se non ci fosse unanimità? In che direzione dovrebbe premere, secondo lei, il governo di centrosinistra?
«Anche gli Stati Uniti si rendono conto che la crisi iraniana non può essere risolta unilateralmente, come avvenne per l'Iraq. Guai se si verificassero divisioni come quelle del 2003. Però, come gli Usa, anche il centrosinistra italiano nutre grande preoccupazione rispetto al rischio che la teocrazia iraniana si possa dotare di armi nucleari. E altri, in Europa, hanno già espresso lo stesso giudizio».
Crede che la Russia e la Cina firmeranno le sanzioni?
«La Russia ha tentato di tutto per il dialogo, ma ora ci sono sviluppi nuovi».
La settimana prossima si riunisce il G8, e il dossier Iran sarà sul tavolo. L'Italia, che partecipa, è il primo partner commerciale dell'Iran…
«L'Italia si è mossa in modo equilibrato nei confronti dell'Iran: abbiamo interessi economici, ma sappiamo che non possiamo promuovere comportamenti acquiescenti con governi come quello guidato da Ahmadinejad. Negli ultimi dieci anni l'Italia ha ritenuto che fosse possibile vedere un Iran con orientamenti più moderati e riformisti. Purtroppo non è successo, e ora governano solo gruppi oltranzisti».
Allora si dovrà spingere per le sanzioni?
«Sono sicuro che il governo italiano si muoverà con senso di responsabilità uniformato a quelli dell'Unione europea e dell'Onu».
Sì, ma una proposta ci dovrà pur essere? O bisogna delegare?
«Ho detto quello che penso. Ma, se proprio, meglio delegare all'Onu piuttosto che a un Paese solo...».

Ecco il pezzo di Baquis, dal titolo "Non riconosceremo Israele"

Accusato di aver lanciato di recente messaggi contraddittori nei confronti di Israele, Hamas ha ieri chiarito che la linea dominante adesso è solo e soltanto quella dei falchi. Al capo dell’ufficio politico di Hamas Khaled Meshal, in visita ieri a Teheran in occasione di una conferenza sulla questione palestinese, sono bastati pochi minuti per chiarire ogni incertezza residua. «I palestinesi non riconosceranno mai Israele», ha detto dallo stesso palco da dove, il giorno precedente, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad aveva paragonato lo stato ebraico ad un albero rinsecchito, destinato ad essere spazzato via dalla prima bufera.
«Ahmadinejad ci ricorda Saddam Hussein, e la sua fine sarà simile», gli ha risposto a distanza Shimon Peres, il n.2 del partito centrista israeliano Kadima. «Ahmadinejad rappresenta il Diavolo, non Dio. La Storia ha saputo punire quei folli che di continuo brandiscono la spada».
Ma a Teheran spiravano ieri venti di grande radicalismo. Meshal ha dunque trovato opportuno congratularsi per i sucessi in campo nucleare vantati nei giorni scorsi: «Tutte le nazioni musulmane - ha osservato - dovrebbero disporre di accesso alla tecnologia nucleare di pace, appunto come l’Iran».
Salutato dai consensi di Ramadan Shallah (Jihad islamica), Ahmed Jibril (Fronte popolare-Comando generale) e Naim Qassem (Hezbollah), Mashal ha denunciato con foga «i complotti delle grandi potenze» di cui sono vittime i palestinesi (un accenno alla sospensione degli aiuti economici diretti all’Anp da parte dell’Occidente) e ha affermato che tutti i Paesi arabi ed islamici sono nella medesima trincea: «Non abbiamo altra scelta che la resistenza e la lotta armata», ha detto il leader di Hamas.
In Egitto, nelle stesse ore, il ministro degli esteri di Hamas Mahmud al-Zahar ha pure invocato la solidarietà araba al suo governo, oberato da gravi debiti e costretto a confrontarsi con proteste popolari fra cui quelle degli stessi agenti dell’Anp. Ma al-Zahar ha sottolineato con delusione il fatto che il ministro degli Esteri egiziano Abul Gheit non l’ha incontrato e che da più parti a Hamas viene consigliato di adottare la iniziativa di pace saudita del 2002, che prevede una pace collettiva di tutto il mondo arabo con Israele, in cambio del ritiro ai confini del 1967 e di una soluzione concordata della questione dei profughi. Altrimenti, è stato detto a Hamas, gli aiuti materiali dei Paesi arabi potrebbero non concretizzarsi.
«Preferiamo patire la fame per tutta la vita, ma non ci sottometteremo mai alla egemonia dell’Occidente», diceva nelle stesse ore a Teheran il leader della Jihad islamica, Shallah. E se l’Iran dovesse essere attaccato, ha aggiunto, i combattenti della Jihad islamica non esiterebbero a combattere per la sua bandiera.
I tre giorni di dibattito sulla Palestina organizzati dai dirigenti iraniani sono seguiti con grande attenzione dagli analisti militari di Tel Aviv. In uno studio completato di recente dal Centro di informazione dell’intelligence vengono intanto proposte recenti dichiarazioni dei dirigenti di Hamas, nei territori e nella diaspora. Il documento rileva che affermazioni moderate rilasciate a mezzi di stampa occidentali sono state presto seguito da rettifiche in senso massimalista in messaggi inoltrati al pubblico arabo.
Ad esempio, la questione degli attentati suicidi: «Sono avvenuti in una fase eccezionale, e ora sono finiti per via di un cambiamento di valutazione», ha detto nei giorni scorsi all’inglese «Observer» il parlamentare Yihia Mussa; ma subito il portavoce di Hamas Mushir al Masri ha replicato a «Voce della Palestina»: «Hamas crede in tutte le forme di resistenza, incluse le operazioni di martirio».
Cresce intanto la tensione nei Territori, dove è sempre più forte il clima di crisi economica diffusa, fra le milizie e i servizi di sicurezza vicini al partito Al Fatah del presidente Abu Mazen e il nuovo governo di Hamas. Ieri decine di agenti della polizia palestinese hanno occupato per un’ora gli uffici del parlamento a Khan Yunis per protestare contro il mancato pagamento degli stipendi di marzo a decine di migliaia di dipendenti pubblici, rendendone responsabile il governo islamico.

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