Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Illusioni ottiche, eufemismi e aperta solidarietà a vantaggio di Hamas
Testata:Il Giorno - Il Manifesto Autore: Lorenzo Bianchi - la redazione - Michele Giorgio Titolo: «Il moralizzatore di Hamas Basta musica, danza e idee occidentali - Il premier niente promozioni a mio figlio - Anp, Hamas punta sulla Francia»
Il GIORNO di martedì 4 aprile 2006 pubblica un articolo di Lorenzo Bianchi sulla svolta "talebana" del governo palestinese inappropriatamente intitolato "Il moralizzatore di Hamas Basta musica, danza e idee occidentali".
Un piccolo riquadro, con la dicitura Focus e il disegno di una lente di ingrandimento é intitolato "Il premier niente promozioni a mio figlio". Ecco il testo:
"Finché io resto in carica mio figlio non avrà alcuna promozione". Il premier palestinese Ismail Haniyeh non transige: ha vinto le elezioni con un programma da "mani pulite" contro la corruzione dilagante dell'epoca di Arafat e vuole dare il buon esempio. Il figlio Abdul, che da anni si occupa della nazionale di calcio palestinese, dovrà rifiutare il posto da direttore del ministero dello sport. Purtroppo é intransigente anche il ministro degli Esteri al-Zahar che ieri ha ribadito: "In Palestina non c'é posto per Israele. Sogno una carta geografica priva dello Stato ebraico"
Come si vede la notizia di gran lunga più rilevante é relegata a una breve frase in fondo all'articolo, e non trova posto nel titolo. La lente del GIORNO, evidentemente, oltre a ingrandire le cose piccole o piccolissime, rimpicciolisce quelle grandi.
Il MANIFESTO pubblica una cronaca di Michele Giorgio, molto partecipe dei guai finanziari di Hamas, compresi quelli che potrebbero provenire da richieste di risacimento da parte di vittime di "azioni armate", e del suo tentativo di "rompere l'isolamento". Un ulteriore esempio dell'appoggio dato dal quotidiano comunista al movimento islamista, antisemita e terrorista palestinese. Ecco il testo:
«Non siamo soli, la Francia ha contatti con noi». Così il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha descritto ieri la presunta «rottura», riferita dalla radio israeliana, dell'isolamento in cui Stati uniti ed Europa tengono il movimento islamico salito al potere in Cisgiordania e Gaza. L'ambasciatore francese a Tel Aviv, Gerard Araud, naturalmente ha smentito tutto. «Non abbiamo contatti con Hamas e non li avremo fintanto che i suoi dirigenti non soddisfaranno le tre note condizioni», ha detto riferendosi al riconoscimento d'Israele e dei precedenti accordi fra Anp e stato ebraico, oltre alla fine della lotta armata. Secondo Abu Zuhri invece i contatti ci sono stati e si sono svolti circa due mesi fa a Gaza. «La Francia comprende la necessità per l'Unione europea di riconsiderare la sua posizione verso Hamas e ha promesso di fare uno sforzo a questo riguardo con altri paesi europei», ha detto, aggiungendo che anche il rappresentante indiano nei Territori occupati palestinesi ha incontrato due settimane fa il primo ministro Ismail Haniyeh. Rompere l'isolamento «occidentale» dichiarato da Stati uniti ed Europa è essenziale per Hamas, che nelle scorse settimane ha avuto incontri in Russia e Turchia e ricevuto un invito per colloqui dal Sudafrica. Il presunto contatto con la Francia sarebbe un buon colpo diplomatico per il governo Haniyeh e le secche smentite francesi non bastano a fugare i sospetti di chi trova credibili le affermazioni di Abu Zuhri. In casa europea non esiste una posizione unica nei confronti di Hamas, che figura nella lista delle «organizzazioni terroristiche». Accanto a paesi come Italia e Germania, allineati alle posizioni di Stati uniti e Israele, ci sono Francia e, si dice anche la Spagna, che spingono per una maggiore flessibilità richiedendo però ad Hamas il riconoscimento immediato del diritto ad esistere di Israele. Lo stesso ufficio di Gerusalemme della Commissione europea non ha ancora avuto direttive definitive da Bruxelles su come agire: da un lato ha detto alle Ong che operano nei Territori occupati che i loro progetti potrebbero non essere più finanziati per evitare «collaborazioni» con partner locali legati ad Hamas; dall'altro garantisce il proseguimento degli aiuti umanitari. Qualche giorno fa i dirigenti del movimento islamico si sono rallegrati per la decisione dell'Ue di sbloccare 120 milioni di euro per i palestinesi. Il problema più importante per Hamas - che però si ripercuote sull'intera popolazione palestinese - è quello del taglio dei finanziamenti internazionali. Circa 700 milioni di dollari all'anno - in gran parte europei - che non sarà facile sostituire con fondi arabi e islamici come ha confermato la risoluzione del recente summit di Khartoum che ai palestinesi promette solidarietà politica in abbondanza ma scarso aiuto materiale. I 250 milioni di dollari che avrebbe offerto l'Iran in ogni caso basteranno per pochi mesi mentre il neo ministro delle finanze Omar Abu Rizek ha ripetuto in questi ultimi giorni che il collasso dell'Anp potrebbe diventare realtà nel giro di qualche settimana. Israele inoltre sta già adottando misure punitive contro i palestinesi congelando il trasferimento dei fondi ricavati dal pagamento dei dazi doganali dovuti all'Anp. All'orizzonte si affaccia ora un altro problema. Il quotidiano Haaretz ha riferito ieri che le banche arabe presso le quali sono stati depositati fondi palestinesi stanno chiedendo all'Anp di chiudere i suoi conti, nel timore di sanzioni occidentali e di richieste di risarcimento da parte di vittime di azioni armate.
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