Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Hamas chiama, la Francia risponde ? contatti smentiti da Parigi, ma non da Gaza
Testata:Corriere della Sera - La Stampa - Il Foglio Autore: Davide Frattini - Ismail Haniyeh - la redazione Titolo: «Hamas rivela a sorpresa: contatti con la Francia - Hamas: siete razzisti - Hamas a caccia di riconoscimenti politici mette nei guai Parigi»
Dal CORRIERE della SERA di martedì 4 aprile 2006, una cronaca di Davide Frattini:
GERUSALEMME — Hamas prova ad aprire una breccia nell'accerchiamento diplomatico. Il portavoce del movimento fondamentalista ha sostenuto che due mesi fa alcuni dirigenti hanno incontrato degli emissari francesi e nelle scorse settimane un inviato indiano. Sami Abu Zuhri è intervenuto dopo che la radio militare israeliana aveva parlato di un rapporto confidenziale del ministero degli Esteri a Gerusalemme. Il dossier avrebbe svelato colloqui informali con l'organizzazione portati avanti da Parigi per conto dell'Unione Europea. «In realtà — spiegano dal ministero — quelle pagine non contengono alcuna rivelazione. È solo un'analisi che spiega come la Francia sia pronta ad accettare che altri Paesi, soprattutto la Russia, lascino una porta aperta ad Hamas». Ma Abu Zuhri è sicuro di quanto «Parigi comprenda la necessità per l'Europa di riconsiderare le proprie posizioni. Ci hanno promesso che convinceranno anche gli altri governi». Gérard Araud, ambasciatore francese in Israele, ha smentito l'apertura di un canale: «Non abbiamo mai avuto contatti». Il governo di Hamas, che ha rinviato a domani la prima riunione del consiglio dei ministri, ha bisogno di trovare degli alleati internazionali. Le banche arabe più importanti, dove l'Autorità tiene i suoi conti, avrebbero chiesto ai palestinesi di ritirare il denaro: temono sanzioni economiche, dopo la decisione americana di vietare qualunque rapporto a diplomatici e imprese Usa con l'esecutivo guidato da Ismail Haniyeh. Anche l'Unione Europea, al vertice dei ministri degli Esteri del 10 aprile, deve decidere la linea da tenere. Resta la richiesta del riconoscimento di Israele e della rinuncia alla violenza. Ma il ministro degli Esteri Mahmoud Zahar, in un'intervista all'agenzia di stampa cinese, ha raccontato di sognare il giorno in cui potrà appendere sulla parete di casa una carta geografica dove lo Stato ebraico non compaia più. Haniyeh ha voluto dimostrare di essere arrivato al potere per combattere nepotismo e corruzione annullando una promozione ottenuta di recente dal figlio Abdul Salam al ministero per lo Sport e la Gioventù. Il premier deve anche affrontare il caos a Gaza dopo gli scontri di venerdì e qualche segnale politico di un contrattacco del Fatah. Per la prima volta in quindici anni, il partito del presidente Abu Mazen ha vinto le elezioni studentesche al Politecnico di Hebron: l'università era sempre stata dominata dalle fazioni integraliste e il voto potrebbe indicare un calo nella popolarità di Hamas tra i palestinesi. I capi delle forze di sicurezza nella Striscia, legati a Mohammed Dahlan, si sono ribellati al nuovo ministro degli Interni che ha cominciato a nominare e imporre i suoi uomini e hanno chiesto che i leader dei Comitati di resistenza popolare (hanno iniziato la sparatoria di venerdì) vengano arrestati. «Il Fatah a Gaza — ha scritto il quotidiano Haaretz — è impegnato in una lotta per la sopravvivenza». Ieri un palestinese di 15 anni è stato ucciso da una pattuglia israeliana, vicino al campo profughi di Qalandia. Secondo la polizia palestinese, il ragazzo stava lanciando pietre contro i soldati. Il portavoce di Tsahal ha detto invece che il giovane stava tentando di infiltrarsi in Israele e che i militari hanno sparato dopo avergli intimato di fermarsi.
La richiesta di finaziamenti e il chiaro rifiuto delle condizioni poste dalla comunità internazionale sono al centro dell'articolo del premier palestinese Ismail Haniyeh ripreso dal Daily Telegraph e pubblicato da La STAMPA il 4 aprile 2006:
Ismail Haniyeh Mi chiedo se i politici a Washington oppure in Europa provino mai vergogna per gli scandalosi doppi standard che continuano ad applicare. ANCORA prima delle elezioni palestinesi hanno insistito perché Hamas si adeguasse alle loro richieste. Vogliono che noi riconosciamo Israele, cessiamo la nostra resistenza e aderiamo a qualunque accordo raggiunto in passato tra Israele e la leadership palestinese. Ma non abbiamo sentito nessuna domanda venire rivolta ai partiti israeliani durante le elezioni della settimana scorsa, nonostante alcune di queste formazioni rivendicassero la rimozione completa dei palestinesi dalla loro terra. Perfino Ehud Olmert, e il suo Kadima i cui antenati nel Likud avevano troncato ogni sforzo dell’Olp di negoziare la pace, hanno fatto la loro campagna con un programma che sfidava le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Il loro unilateralismo viola il diritto internazionale, eppure nessuno - nemmeno il Quartetto, le cui proposte per un accordo vengono respinte da Olmert come prima venivano respinte da Sharon - ha osato chiedergli qualcosa. L’unilateralismo di Olmert è la ricetta per un conflitto. Questo piano vuole imporre una situazione permanente in cui i palestinesi vedranno la loro patria tagliata in pezzettini resi inaccessibili dai massicci insediamenti ebraici costruiti in contravvenzione alle leggi internazionali su terre sequestrate illegalmente ai palestinesi. Nessun piano funzionerà mai senza la garanzia, in cambio della cessazione delle ostilità da entrambe le parti, di un ritiro totale di Israele da tutte le terre occupate nel 1967, inclusa Gerusalemme Est; senza il rilascio di tutti i nostri prigionieri e l’eliminazione di tutti i coloni da tutti gli insediamenti, con il riconoscimento a tutti i profughi del diritto di tornare. Su questo si trovano d’accordo tutte le fazioni e tutto il popolo palestinese, inclusa l’Olp, la cui rinascita è essenziale perché possa riprendere il suo ruolo di portavoce dei palestinesi e di promotore della loro causa nel mondo. Il problema non è la posizione di un singolo gruppo palestinese, ma la negazione dei nostri diritti fondamentali da parte di Israele. Noi di Hamas vogliamo la pace e vogliamo porre fine al bagno di sangue. Per più di un anno abbiamo osservato una tregua unilaterale, senza che Israele facesse altrettanto. Il messaggio di Hamas e dell’Anp al mondo è questo: non ci parlate più del riconoscimento del «diritto di Israele a esistere» o della cessazione della resistenza, finché non otterrete dagli israeliani l’impegno a ritirarsi dalla nostra terra e riconoscere i nostri diritti. Il piano di Olmert non porterà cambiamenti per i palestinesi. La nostra terra rimarrà occupata e il nostro popolo in schiavitù, oppresso dal potere degli occupanti. Perciò rimaniamo fedeli alla nostra lotta per riavere le nostre terre e la nostra libertà. Gli strumenti di pace funzioneranno se il mondo accetta un processo costruttivo e trasparente in cui noi e gli israeliano veniamo trattati alla pari. Siamo disgustati e stanchi dell’approccio razzista dell’Occidente, che vede i palestinesi come inferiori. Per quanto siamo noi le vittime, tendiamo le nostre mani per la pace, ma deve essere una pace basata sulla giustizia. Se però gli israeliani continueranno ad attaccare, uccidere la nostra gente e distruggere le nostre case, a imporre sanzioni, a impartirci punizioni collettive, imprigionando uomini e donne per aver esercitato il loro diritto all’autodifesa, allora noi avremo ogni diritto a rispondere con tutti gli strumenti in nostro possesso. Hamas è stato liberamente eletto. Il nostro popolo ci ha dato la sua fiducia e noi abbiamo giurato di difendere i suoi diritti e fare del nostro meglio amministrando i suoi affari con un buon governo. Se verremo boicottati nonostante questa scelta democratica - come lo siamo stati finora dagli Usa e alcuni loro alleati - andremo avanti, e i nostri amici hanno promesso di colmare le necessità che si verranno a creare. Confidiamo nei popoli del mondo, mai tanti di loro si erano identificati con la nostra lotta. E’ un buon momento per fare pace, se il mondo la vuole. Di seguito, l'analisi pubblicata dal FOGLIO:
Ramallah. L’interruzione dei finanziamenti statunitensi e canadesi al nuovo governo palestinese guidato da Hamas non preoccupa la dirigenza del movimento islamico, ha detto il neoministro degli Esteri dell’Anp, Mahmoud Hamas: Siamo appoggiati dal mondo arabo musulmano – ha dichiarato al quotidiano al Quds – Sappiamo che dovremo affrontare molte difficoltà, ma per chi conosce la quantità monetaria degli aiuti nord americani capirà che la nostra leadership non subirà alcun scompenso”. Hamas si prende gioco di Washington, poiché – pur essendo boicottato dagli ormai “ex” finanziatori – sa che gli Stati Uniti continueranno dialogare con Abu Mazen, presidente dell’Anp. Il movimento islamico è convinto che il sostegno finanziario ai palestinesi sarà consegnato attraverso l’Olp e gli enti umanitari dell’Onu nei Territori: in questo modo la popolazione non sarà abbandonata. La situazione finanziaria rimarrà stabile i palestinesi non avranno alcun motivo economico per rivoltarsi contro l’attuale amministrazione. Il problema del movimento islamico resta il riconoscimento internazionale. Il gruppo armato sa che, senza l’approvazione della sua politica da parte del Quartetto (Stati Uniti, Onu, Ue, Russia), l’attuale governo rischia di non avere le basi per poter andare avanti. Hamas, però, non vuole sottostare ad alcuna condizione, tanto meno quella di riconoscere Israele. Il movimento islamico, dopo il “no” americano, spera di non ricevere pressioni dall’Unione europea. Un dossier – riportato da due quotidiani israeliani, Haaretz e il Jerusalem Post – sostiene che sarebbero già in corso alcuni negoziati sotterranei con la Francia, che avrebbe anche agevolato le trattative con l’India. Il governo francese, però, ha smentito con decisione la notizia attraverso il suo ambasciatore in Israele, Gerard Araud. Il ministero degli Esteri israeliano ha detto di voler trattare la questione con cautela, ma, secondo alcune fonti, avrebbe già preso contatti con i governi coinvolti per ottenere chiarimenti. Secondo le indiscrezioni, infatti, la Francia avrebbe cercato di migliorare le relazioni tra l’Unione europea e il movimento islamico. Hamas, dal canto suo, non ha per nulla smentito, anzi. Un portavoce del gruppo, Abu Zuhri, ha riferito di alcuni incontri con rappresentanti di alcuni governi. “Quelli con i funzionari francesi sono avvenuti due mesi fa a Gaza”, ha affermato Zuhri, senza però specificare l’identità dei presunti interlocutori né il contenuto dei colloqui. L’obiettivo di Hamas resta quello di voler ridimensionare le voci che danno il suo governo sempre più isolato sulla scena internazionale. “In ogni caso – dice al Foglio Abd al Sattar Qassam, docente di Scienze politiche all’università di Nablus e figura vicina al movimento – Hamas guarda verso oriente: al mondo arabo e all’Iran”. Qassam spiega che l’unica difficoltà potrebbe sorgere dal blocco israeliano al trasferimento monetario diretto al gruppo armato. “In tutti questi anni, però, Hamas è sempre riuscito a trovare il modo per superare questo ostacolo”. Il ministro Zahar ha dichiarato di volere aprire i Territori a un’economia autosufficiente, sostenuta dall’appoggio “popolare e ufficiale già ottenuto dai paesi del medio oriente e del nord africa”. Il recente summit della Lega araba a Karthoum ha dato ulteriore ottimismo al movimento, nonostante la sua assenza. I paesi dell’organizzazione vogliono offrire tempo a Hamas per mostrare alla comunità internazionale le proprie intenzioni, ma i finanziamenti al popolo palestinese continueranno comunque ad arrivare, anche in caso di rottura diplomatica con il gruppo, in favore dell’Olp. L’Egitto ha già dato il proprio appoggio al nuovo governo, il regno del Qatar, dominato ormai dai Fratelli musulmani, ha aperto una filiale bancaria nei Territori. La Turchia – che ha già ospitato il gruppo in visita ufficiale ad Ankara – ha promosso il finanziamento di progetti di sviluppo nella Striscia di Gaza. La Siria e l’Iran continuano a dare il loro sostegno incondizionato a Hamas e alla lotta armata contro Israele. La Repubblica islamica ha promesso 250 milioni di dollari come risarcimento per il taglio finanziario americano.
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