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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
28.03.2006 La minaccia iraniana é stata un tema della campagna elettorale israeliana
e intanto Al Qaeda si infiltra nei territori

Testata: Il Foglio
Data: 28 marzo 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione - Daniel Doneson
Titolo: «L'Iran a due passi dalla ricetta atomica fa più paura del vicino Hamas»

Dal FOGLIO di martedì 28 marzo 2006: 

Gerusalemme. Se si chiede a un israeliano qual è la maggiore minaccia per la sicurezza del paese, è molto più facile che risponda l’Iran piuttosto che Hamas. Proprio per questo motivo, la Repubblica islamica dei mullah è entrata a pieno titolo nella campagna elettorale in vista del voto di oggi. Che Teheran sia, per molti, al primo posto sulla lista nera dei pericoli lo prova soprattutto la propaganda del Likud. Il leader Benjamin Netanyahu ha più volte dichiarato, durante i suoi comizi, che un’Autorità palestinese governata da Hamas costituisce “un secondo Iran alle porte d’Israele”. Non ci sono dubbi: le ripetute prese di posizione del presidente di Teheran, Mahmoud Ahmadinejad, che ha più volte negato l’Olocasuto e ha chiamato alla “cancellazione d’Israele dalla mappa”, hanno creato preoccupazione nel paese, soprattutto considerando il potenziale nucleare nelle mani di Teheran. Il Likud non è il solo partito israeliano a parlare di Iran in campagna. Avishay Braverman, dei laburisti di Avoda, ha detto al Foglio che “i legami tra Hamas e Teheran spaventano e l’intero occidente dovrebbe affrontare la questione dell’Iran e del suo programma nucleare, non soltanto Israele”. Shimon Peres, ex leader laburista oggi in Kadima, durante una conferenza stampa davanti ai reporter internazionali ha detto: “Il nucleare iraniano non è un problema soltanto per Israele, ma per il mondo intero. Israele non trasformerà la questione in un affare israelo-iraniano”. Elizer (Geizi) Tsafrir, agente del Mossad in Iran durante gli anni della Rivoluzione islamica e autore del libro “Little Satan, Big Satan”, è d’accordo con Peres, ma aggiunge che i partiti politici hanno dato troppo peso alla questione. “Non penso che faccia bene ai politici israeliani parlare così tanto dell’Iran. Spingono l’attuale regime di Teheran a incitare l’opinione pubblica del paese contro Israele”. Non saprebbe indicare quale partito israeliano abbia maggiormente trattato la questione iraniana nella sua campagna elettorale. “Lo hanno fatto tutti”, dice. “Non penso che l’Iran debba essere utilizzato come uno strumento di propaganda in queste elezioni. Invece di focalizzare la nostra attenzione sul regime di Teheran, dovremmo parlare a quel 70 per cento di iraniani delusi dal proprio governo e vuole che il proprio paese torni a essere una nazione sana”. L’ex uomo del Mossad ammette che gli israeliani percepiscano l’Iran come un pericolo maggiore rispetto al vicino Hamas. Spiega che negli anni Novanta, l’allora primo ministro Yitzhak Rabin aveva definito Hamas e il terrorismo palestinese una minaccia strategica per Israele, ma non una minaccia per l’esistenza dello Stato stesso. “Non è il caso dell’Iran, un paese che, non dimentichiamolo, ha ambizioni nucleari e sostiene il terrorismo”. Nella campagna elettorale dei diversi partiti israeliani, l’Iran è entrato sempre, in quanto pericolo per la sicurezza del paese e, come spiega Eli Karmon, specialista di controterrorismo dell’Istituto di Herzelyia, “non c’è stato scontro o conflitto sul tema”. Il punto di vista di tutti i movimenti è uno solo. “Le élite, gli analisti, ma anche la maggior parte della popolazione – dice Karmon – vedono in Teheran una minaccia maggiore rispetto a quella di Hamas”. Questo, racconta, accade da molto tempo ed è normale che la questione entri a far parte di ogni campagna elettorale che punti sulla sicurezza del paese. “Ancora oggi – spiega l’analista – uno degli obiettivi di Teheran è sabotare il processo di pace, contro gli interessi strategici dell’Iran, della Siria e di Hezbollah”.

Sempre dal Foglio un'analisi di Daniel Doneson sull'infiltrazione di Al Qaeda nei territori:

Al Qaida ha fatto la sua comparsa in Cisgiordania: due abitanti di Nablus sono stati arrestati con l’imputazione di essere capibanda di una cellula del network di Osama bin Laden. L’accusa è stata formulata due giorni fa da un tribunale militare della Cisgiordania. Secondo le autorità, i sospetti sono accusati di avere progettato un doppio attentato nel quartiere di Gerusalemme chiamato la Collina francese. Sono stati imputati due residenti ventenni del campo profughi di Balata, Azzam Abu Aladas e Balal Hafnawi, insieme con altre quattro persone. Sebbene le autorità riferiscano che, nel corso dell’ultimo anno, vi siano stati numerosi incidenti che hanno acuito i sospetti su un legame tra al Qaida e le fazioni palestinesi, la presunta cellula di Nablus costituisce, al momento, il segnale più grave. Gli attivisti islamici che avrebbero reclutato gli imputati sono anche sospettati di avere assoldato i kamikaze di al Qaida che, il 9 novembre 2005, hanno attaccato tre hotel di Amman, uccidendo più di 60 persone. Tuttavia, malgrado le autorità israeliane e giordane stiano investigando sulla possibilità che i presunti reclutatori siano coinvolti negli attentati agli hotel, Amman non ha accettato la richiesta israeliana di partecipare all’indagine giordana. I due residenti di Nablus sono stati arrestati il 10 dicembre mentre tornavano dalla Giordania. Aladas e Hafnawi hanno rivelato che i loro istruttori avevano parlato della possibilità di fare corsi d’addestramento in campi gestiti da organizzazioni estremiste in Iraq, Siria e Libano. Un’altra possibilità di cui si era discusso era che al Qaida trasferisse a Nablus un suo agente di Gaza specializzato nella preparazione di autobomba. Questo s’accorda con le dichiarazioni fatte qualche settimana fa dal presidente palestinese, Abu Mazen, e pubblicate sul quotidiano al Hayat, secondo il quale ci sono prove sempre più concrete di un’infiltrazione di al Qaida nella striscia di Gaza. Nel 2000, un agente di Hamas di Gaza, Nabil Ukal, che aveva fatto un corso di addestramento nei campi in Afghanistan e Pakistan, è stato accusato per aver tentato di stabilire una cellula di al Qaida in Cisgiordania. E’ stato condannato a 27 anni di prigione. Anche l’Egitto ha arrestato agenti che cercavano di entrare in Israele, e i funzionari della sicurezza palestinese hanno riconosciuto che al Qaida sta “organizzando cellule e reclutando sostenitori”. Aladas ha detto di avere incontrato per la prima volta quattro attivisti del network jihadista nel maggio del 2005, mentre studiava in Giordania. Le autorità sospettano che avesse ricevuto ordine di stabilire una cellula in Cisgiordania: a quanto pare, aveva ricevuto 2.000 dinari giordani per organizzare azioni terroristiche contro obiettivi che avrebbero danneggiato l’economia israeliana. Dopo il suo ritorno a Nablus, Aladas avrebbe reclutato Hafnawi, ex membro di Fatah. Due mesi fa, Channel 2 ha riferito che i servizi segreti israeliani avevano identificato a Nablus e Jenin e le “impronte digitali” della rete del jihad globale. I funzionari dei servizi segreti militari sostenevano già da un anno che la rete stava rivolgendo la sua attenzione su Israele e i paesi vicini. I servizi segreti erano giunti a questa conclusione analizzando i messaggi da loro intercettati tra gli agenti di al Qaida e osservando i recenti attentati compiuti nella regione: ad Amman, nel Sinai, nel Mar Rosso. Lo scorso dicembre, un gruppo palestinese legato a Zarqawi ha sparato dal Libano missili contro la Galilea. Le dichiarazioni dell’Anp I funzionari della sicurezza israeliani e palestinesi considerano marginale la penetrazione di al Qaida: soltanto un pugno di militanti locali frustrati si sono effettivamente rivolti al network per lo più attraverso Internet, come indicano le fonti dei servizi segreti israeliani. Secondo Mark Regev, portavoce del ministro degli Esteri israeliano, “al Qaida sta facendo concreti sforzi per creare una base d’operazioni nei territori palestinesi e all’interno di Israele”. Le dichiarazioni di Abu Mazen e gli arresti israeliani mostrano come l’uno e gli altri vedano un vantaggio in un’imminente resa dei conti con al Qaida. Israele sfrutta l’occasione per presentare il conflitto con i palestinesi come parte di una guerra globale contro il terrorismo, Abu Mazen ha bisogno di dimostrare all’occidente che la sua presenza è ancora necessaria. Hamas, che cerca in ogni modo di evitare un boicottaggio sugli aiuti internazionali, non può permettersi di essere associata con al Qaida, nonostante professino un’ideologia in gran parte condivisa.

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