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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Libero - Corriere della Sera - Avvenire Rassegna Stampa
15.03.2006 Israele cattura a Gerico gli assassini del ministro Zeevi
cronache e analisi corrette

Testata:La Stampa - Libero - Corriere della Sera - Avvenire
Autore: Fiamma Nirenstein - Angelo Pezzana - Davide Frattini - Graziano Motta - Alessandra Camarca
Titolo: «Israele assalta il carcere di Gerico - Islamici scatenati in ostaggio sei occidentali - La mossa di Olmert - Ottolenghi: Olmert non può permettersi di essere accusato di essere troppo debole»
Di seguito riportiamo la cronaca di Fiamma Nirenstein da La STAMPA di mercoledì 15 marzo 2006:

È finita con la cattura di Ahmed Saadat e degli assassini del ministro Rahaman Zeevi l’assalto alle mura della prigione di Gerico, che non sono cadute al suono del corno di Giosuè, come nella Bibbia, ma dopo un drammatico assedio dell’esercito israeliano. Due morti palestinesi, 10 feriti israeliani, per ora otto rapiti di tutte le nazionalità occidentali, un mare di rabbia.
Ma non è un episodio che finisce qui: sotto il livello del mare, sul suolo giallo, vicino al Mar Morto, fra le palme che si agitano nell’aria che trema di caldo, infatti si è esibito per la prima volta sul grande palcoscenico mondiale il tempo di Hamas al governo.
Quatti quatti se ne vanno
La mattina alle 9, diremmo quatti quatti, gli osservatori britannici escono dall’edificio candido del carcere di Gerico che avevano in consegna, prendono fra i due lati di deserto la strada dritta che porta alla via tortuosa fra le montagne della Giudea, e dicono addio a palestinesi e israeliani.
Da cosa fuggono? Da una responsabilità insostenibile, specie da quando Hamas è al governo, come spiegherà il ministro degli Esteri Jack Straw alla Camera dei Comuni qualche ora più tardi. Gli osservatori britannici, infatti, insieme a quelli americani, grazie a un accordo del 2002 fra Quartetto (Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Onu), Israele e l’Autonomia palestinese, si erano impegnati a sorvegliare il carcere in cui erano stati rinchiusi gli assassini del ministro israeliano Rehavan Zevi, ucciso il 17 ottobre 2001 in un albergo di Gerusalemme.
I killer, appartenenti al gruppo terrorista del Fronte di Liberazione palestinese, erano capeggiati da Ahmed Saadat. Subito dopo l’attentato Arafat li aveva accolti alla Mukhata di Ramallah. Israele aveva condotto un lungo assedio: voleva gli assassini. L’impressione fu immensa; alla fine le pressioni internazionali ottengono che Israele accetti un accordo: Arafat prende in consegna i suoi, ma li affida a forze esterne (americani e britannici) e ai suoi poliziotti a Gerico.
Ieri mattina americani e inglesi se ne sono andati. A questa decisione si è arrivati dopo che per mesi Jack Straw, ministro degli Esteri britannico, aveva chiesto per anni al presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen di impegnarsi a consentire il lavoro degli osservatori, a bloccare i privilegi che gli assassini ricevevano in carcere, a impedire le minacce ai suoi uomini. Abu Mazen non si impegna, dice Straw, e gli osservatori vivono nel disordine e nella paura.
Il presidente si lava le mani
L’arrivo di Hamas al potere è letale: esso, lungi dall’aiutare gli osservatori, annuncia che libererà i prigionieri. Abu Mazen se ne lava le mani: non dissento, dice, a patto che non mi si chieda di essere responsabile della loro incolumità. Gli osservatori sentono che l’aria si fa pesante e che sta per giungere il momento in cui il nuovo governo può procedere alla liberazione di Saadat e dei suoi. Che potrà fare allora la forza di pace di Straw? Combattere? Essere complice dell’infrazione dell’accordo internazionale? Straw alla Camera dei Comuni ha parlato di minacce di rapimento.
Mezz’ora dopo le nove, mentre il caldo aumenta, la Brigata del Nahal e l’unità speciale della polizia contro il terrorismo, Yamam, entrano a Gerico e circondano il carcere: comincia l’assedio che si concluderà dodici ore dopo.
Il dramma è degno di un grande film di azione, escono subito alle prime intimazioni un centinaio di prigionieri comuni, cominciano a andarsene i poliziotti palestinesi. Tutti hanno le mani alzate. I prigionieri sono costretti a spogliarsi. Tzahal, l’esercito israeliano, porta i bulldozer, intima con gli altoparlanti di uscire, dice che o gli assassini, che sono tre, più altri tre ricercati speciali, si consegnino da soli, oppure andranno a prenderli, vivi o morti.
Non ci sono state trattative. Sullo sfondo un milione di domande: forse Tzahal è entrato subito a Gerico perché gli inglesi avevano avvertito Olmert? La risposta di tutte le parti è «no». Straw, questo sì, qualche settimana fa aveva mandato a dire sia a Abu Mazen che a Olmert, (prima ancora di un lettera che, l’8 di marzo, avvertiva tutte le parti della progressiva insostenibilità della situazione), che se ne voleva andare. Olmert a quanto pare aveva insistito perché gli inglesi restassero comunque: «Meglio di nulla», aveva detto. E «sappiate che se ve ne andate rompendo gli accordi, non finisce lì: noi veniamo a prendere gli assassini di Zevi».
«Non ci arrendiamo»
Dunque, mentre la vallata di Gerico, sotto il Monte delle Tentazioni, risuona di cannonate, i bulldozer cominciano a distruggere le mura della prigione. Dal carcere Saadat risponde al telefonino a varie interviste, in una dialoga con la moglie in diretta; in un’altra a Al Jazeera dichiara che non uscirà mai dalla prigione, che lui e i suoi resisteranno. Non dice però che vuole diventare uno shahid, un martire, e infatti non lo diventa. Dopo varie telefonate con Abu Mazen, che è in viaggio tra Vienna a Strasburgo e tenta - parlando con la comunità Europea, con gli inglesi, con gli americani-, di riportare l’orologio alle 8 di mattina, Saadat si consegna. Con lui Israele porta in carcere per processarli altri cinque importanti ricercati e quindici di secondo grado.
Ma la storia è ben lungi dall’essersi conclusa: non solo Israele, ma anche gli inglesi, gli americani, il Quartetto intero, sono adesso visti come parte di un grande complotto per incarcerare non dei terroristi, ma dei leader, che Hamas aveva già dichiarato eroi da scarcerare subito. L’intera comunità internazionale è sotto accusa e la raffica di rapimenti in corso prende di mira tutte le nazionalità occidentali.

LIBERO pubblica l'analisi di Angelo Pezzana: 

Per capire quanto sta avvenendo a Gerisco è bene ricordare l’antefatto. Ahmed Saadat, capo del Fronte di Liberazione della Palestina, una delle tante galassie del terrorismo palestinese, uccide nel 2001 Rehavam Ze’eevi, ministro del turismo del governo israeliano in un attentato a Gerusalemme. Riesce a sfuggire alla giustizia israeliana, finchè, insieme ai suoi complici, viene preso e rinchiuso nel carcere di Gerico, prigione palestinese, sotto l’autorità palestinese, ma con supervisione inglese e americana. Secondo la logica comune chi ammazza un ministro commette un crimine, poco importa se l’assassino è palestinese ed il ministro israeliano. Per cui Saadat e il suo commando è presumibile che sarebbero dovuti restare in prigione per un bel po’, anche se i meandri della “giustizia”palestinese, arafattiana prima, di Abu Mazen poi, sono alquanto ostici da decifrare. Interviene però un fatto nuovo. I palestinesi, apparentemente così desiderosi di pace e di uno Stato tutto loro, invece di cercare di ottenere entrambi per vie legali, si affidano col voto ad Hamas, dandogli la maggioranza assoluta nel nuovo parlamento. Poteva Ismail Haniye, premier incaricato di formare il nuovo governo dopo aver sconfitto Abu Mazen, tenere in gattabuia uno che in tutta la sua vita non ha fatto altro che compiere attentati, ammazzare più ebrei possibile, in pratica realizzare quel che anche Hamas ha sempre predicato che bisognava fare ? Saadat, agli occhi di un terrorista, è un eroe. Ancora in carcere, ma pur sempre un eroe. Qui interviene Abu Mazen, il quale sta cercando,pur di restare in qualche modo in sella, di barcamenarsi tra Hamas,il suo vero nuovo padrone, e gli impegni presi con Israele e il quartetto della Road Map. Cioè combattere debolmente il terrorismo, politica che l’ha portato alla fine alla sconfitta elettorale. Ecco quindi la sua intenzione di liberare Saadat, e nello stesso tempo il consiglio opposto ad Hamas: attenzione, se Saadat viene liberato, c’è la possibilità che venga catturato da Israele che vuole processarlo. Come dire, fate voi, io me ne lavo le mani. Di fronte ad una probabile liberazione e relativa fuga in Siria o altra sede accogliente, Israele decide di agire. E va a prendersi l’assassino di Ze’evi direttamente, senza passare attraverso nessun intermediario. Ha fatto bene ? Ha fatto male ? Noi propendiamo per la prima ipotesi. Non si deve dimenticare infatti che lo Stato ebraico si trova oggi davanti ad un’ Autorità palestinese governata da un gruppo terrorista, che ne propone la distruzione, esattamente come l’Iran di Ahmedinejad che sta preparando armamenti nucleari con la dichiarata volontà di cancellare Israele dalla carta geografica. Se Hamas si illudeva di aver ammorbidito Israele con la vittoria elettorale "democratica", ebbene si sbagliava. Il governo di Ehud Olmert ha capito benissimo qual’è il livello del pericolo e ne ha tratto le dovute conseguenze. Qualcuno leggerà nell’attacco al carcere di Gerico anche la volontà di mostrare i muscoli da parte di Kadima, di fatto il nuovo partito al quale appartengono i governanti d’Israele che tra neanche due settimane si sottoporrà alla competizione elettorale e che tutti i sondaggi danno sempre in grande vantaggio su tutti gli altri. E se anche così fosse ? Olmert, Livni, Mofaz e tutti gli altri che quasi sicuramente usciranno confermati alla guida del paese sono gli eredi del progetto di Arik Sharon, sono loro che lo realizzeranno. Olmert lo ha detto chiaramente, entro il 2010 ci sarà la separazione definitiva con i territori palestinesi, ad eccezione delle grandi città popolate da ebrei – Maalè Adumim, Ariel e alcune altre, nei territori non vi saranno più colonie perchè verranno tutte smantellate e Israele entro quella data sarà in grado di avere confini sicuri e definitivi. Ci sarà un partner nell’Autorità palestinese ? Se si, bene, altrimenti Israele andrà avanti da sola, come è avvenuto per Gaza. I palestinesi, invece di bruciare consolati,sedi culturali straniere,rapire giornalisti come stanno facendo proprio a Gaza, dove- è opportuno ricordarlo- sono a casa loro, di Israele neanche più l’ombra- si rimbocchino le maniche e incomincino a lavorare, per dimostrare al mondo intero di posseddere i numeri per reclamare uno stato indipendente. Finchè continueranno a buttarsi fra le braccia dei terroristi, sarà difficile credere nelle loro buone intenzioni.

Il Corriere della Sera pubblica un'analisi di Davide Frattini, incentrata sulle ripercussioni del blitz di Gerico nella politica israeliana. Ecco il testo: 

In un altro blitz, quarant'anni fa, il giovane Ehud Olmert aveva sorpreso i delegati di Herut (precursore del Likud) chiedendo al congresso le dimissioni dell'onnipotente Menachem Begin per aver perso sei sfide elettorali con i laburisti. «Da ragazzo ero un ribelle e i ribelli non sono abituati a fare complessi calcoli politici», ha confidato in un'intervista mai pubblicata al giornalista israeliano Zvi Gil. Adesso che spera di vincere la sua sfida e di cancellare quel «provvisorio» dalla carica di primo ministro, Olmert è considerato uno dei leader più pragmatici, che i calcoli ha imparato a farli. L'operazione contro la prigione di Gerico — commentano gli analisti — è anche un messaggio agli incerti, a chi non ha ancora deciso per quale partito votare il 28 marzo. Da quando Ariel Sharon giace in coma all'ospedale Hadassah di Gerusalemme, il delfino e capo di Kadima ha lavorato con i consiglieri per fornire un'immagine più dura. Perché non ha le credenziali militari e non porta le ferite del generale: la sua carriera in uniforme è stata spesa come reporter per il giornale dell'esercito e la divisa di cui resta più fiero è quella del Betar, movimento giovanile che negli anni Cinquanta sognava una mappa dello Stato ebraico che comprendesse il regno di Giordania. Completo blu scuro e cravatta azzurra, i militanti bollavano i laburisti al potere come «governo di Vichy», traditori che avevano svenduto la terra d'Israele accettandone le partizioni. «Olmert deve dimostrare di essere una colomba- falco — ha commentato Yossi Klein Halevi su The New Republic —. Flessibile sulle concessioni territoriali, intransigente sulla sicurezza. La convinzione generale è che senza Sharon altri ritiri unilaterali non saranno possibili: solo lui avrebbe potuto persuadere la gente ad accettare di lasciare la Cisgiordania e di mettere la periferia di Tel Aviv sotto la minaccia dei razzi palestinesi. Invece sono convinto che il passato revisionista garantisca a Olmert una maggiore copertura ideologica». I giornalisti israeliani hanno tentato di capire che cosa abbia portato Olmert a cambiare le convinzioni di una vita e a diventare nel dicembre 2003 il banditore del ritiro da Gaza. Alcuni commentatori parlano di pressioni familiari — la moglie sta a sinistra ed è una sostenitrice del Meretz, una delle figlie è un'attivista di Machsom Watch che vigila sugli abusi ai checkpoint —, altri fanno risalire la conversione ai dieci anni come sindaco di Gerusalemme. «E' stato trasformato dagli attentati suicidi — spiega Miki Cohen, tra i suoi consiglieri all'epoca —. Andava sul luogo di ogni attacco, a tutti i funerali, a visitare le famiglie. Quell'orrore e quel dolore lo hanno convinto che dovessimo cercare un'altra strada». E' d'accordo Moshe Amirav, un amico dei tempi del Betar: «Ha capito che mantenere il potere su 200 mila palestinesi mette in pericolo il controllo israeliano della città. Una volta gli ho chiesto se avesse una soluzione per Gerusalemme. Mi ha risposto: "Sì, ma non te la dico perché ho paura di rivelarla anche a me stesso"». L'attaccamento di Olmert a Gerusalemme (e alla sua squadra di calcio) sono rimasti incondizionati anche dopo la nomina nel governo di Sharon tre anni fa. Solo quando è diventato premier ad interim, lo Shin Bet è riuscito a farlo rinunciare ad andare in tribuna a seguire le partite. Per anni ha coccolato la società dietro le quinte ed è stato lui qualche mese fa a mediarne la vendita al miliardario di origine russa Arcady Gaydamak. Anche la sua carriera parlamentare (a 28 anni è stato eletto per la prima volta alla Knesset) era cominciata con lo sport: assieme al deputato dell'estrema sinistra Yossi Sarid, aveva guidato una commissione per combattere la corruzione tra i club. Nella sua sfida al crimine organizzato, si era scontrato proprio con Rehavam Zeevi, il ministro del Turismo assassinato dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina nel 2001: Ahmed Saadat, catturato ieri a Gerico, è considerato il mandante dell'omicidio. Olmert aveva accusato Zeevi di proteggere alcuni boss, ma dopo una querela aveva ritirato gli attacchi. Da sindaco di Gerusalemme, è toccato a lui essere coinvolto (e scagionato) in un'inchiesta per finanziamento illecito delle campagne del Likud. Da qui al 28 marzo, il leader di Kadima vuole far dimenticare l'immagine di politico-edonista, amante dei buoni sigari e dei ristoranti eleganti, che preferisce viaggiare piuttosto che passare il suo tempo in Israele. Gli avversari del Likud hanno presentato una serie di spot radiofonici per ricordare che «i suoi figli vivono all'estero e non vedono il loro futuro in questo Paese». Un futuro che nei piani di Olmert avrà una svolta entro il 2010, quando verranno definiti i confini dello Stato ebraico. Anche con un nuovo ritiro unilaterale, in stile Sharon.

Avvenire pubblica un corretto articolo di Graziano Motta che spiega l'identità dei detenuti catturati da Israele

Erano dei detenuti speciali Ahmed Saadat capo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e sei suoi compagni di partito o simpatizzanti accusati di essere il mandante e gli esecutori dell'assassinio del ministro israeliano del turismo, Rehavam Zeevi. Delitto avvenuto il 17 ottobre 2001 nel grande albergo Hyatt di Gerusalemme Est. Detenuti speciali perché godevano di una sorta di immunità concessa loro da Yasser Arafat, che non solo si era rifiutato di consegnarli a Israele che pretendeva di processarli, ma li aveva pure ospitati a Ramallah, alla Muqata, la sua residenza e poi «ospitati» a Gerico. Con la recente vittoria elettorale di Hamas la situazione è cambiata. Il Fronte Popolare ha accettato di far parte di un governo di coalizione a condizione che Saadat e compagni fossero liberati. Israele ha subito reagito avvertendo di non poter tollerare una siffatta prospettiva e proclamando il suo impegno a "catturare Saadat ovunque". Saadat finirà dinanzi a un tribunale israeliano con la certezza di essere condannato all'ergastolo. Come il capo dei Tanzim, Marwuan Barghouti che sta scontando tre condanne a vita per l'assassinio di israeliani meno famosi di Rehavam Zeevi. Questi dopo una brillante carriera militare, conclusa da generale, era entrato in politica, schierandosi nella estrema destra e fondando nel 1988 il partito "Moledet" (Patria). Da queste posizioni nazionaliste aveva sempre riaffermato il diritto di Israele sull'Eretz, su tutta la Terra Promessa, ed escluso alcun accordo con i palestinesi. Il suo assassinio ad iniziativa e ad opera del Fronte Popolare era avvenuto, come si diceva, per rappresaglia e vendetta. Nell'anno 2001 in cui la seconda intifada esprimeva tutte le sue capacità distruttive, sorretta dal sostegno che le nazioni islamiche esprimevano nelle conferenze di Teheran (24 aprile) e di Bagdad (18 agosto), nella conferenza sul razzismo di Durban (31 agosto) e con le manifestazioni popolari di gioia per la grande tragedia dell'11 settembre negli Stati Uniti. E che si manifestava a Gerusalemme in particolare con gli attentati suicidi nella pizzeria Sbarro (9 agosto) e nella zona pedonale Ben Yehuda (1 dicembre).

Interessante anche l'intervista di Alessandra Camarca a Emanuele Ottolenghi:

«Quello che ha scatenato questa situazione è stata la dichiarata intenzione da parte del governo britannico di ritirare i propri osservatori dal carcere di Gerico - spiega Emanuele Ottolenghi, docente di storia di Israele all'Università di Oxford - e in questo clima elettorale, primo ministro Olmert non poteva permettersi di essere accusato di essere troppo debole in materia di sicurezza. La meccanica di questa reazione in parte ricorda quella alle vignette danesi. Ma il problema secondo me è un altro: questi attacchi sono il sintomo di uno sgretolamento della società e di difficoltà di controllo all'interno del mondo palestinese che ovviamente nel lungo periodo non fanno altro che danneggiare i loro stessi interessi. Il rischio è che questi fenomeni non facciano altro che scoraggiare o allontanare gli operatori governativi e non governativi in Palestina che sono lì per scopi principalmente umanitari. Gli osservatori europei hanno mandati molto limitati. Nel caso di Gerico non sono neanche dotati di armi da fuoco. Quindi di fronte a situazioni di conflitto, trovandosi presi in mezzo tra due fuochi, è inevitabile che se ne vadano. E questo indica come la capacità dell'Europa di avere un impatto positivo nel favorire il ritorno ai negoziati e nel mantenere la pace sul terreno è molto condizionato dai limiti imposti a queste missioni.

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