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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Riformista - Corriere della Sera - L'Opinione Rassegna Stampa
10.03.2006 Insegnare il Corano a scuola? Rischi e controindicazioni
risposte alla proposta dell'Ucoii e all'assenso del cardinal Martino

Testata:Il Riformista - Corriere della Sera - L'Opinione
Autore: Emanuele Ottolenghi - Magdi Allam - Ernesto Galli Della Loggia - Dimitri Buffa
Titolo: «La religione è una questione seria - Ma prima bisogna stabilire quale Corano insegnare - Giustizia e reciprocità -Sì all’ora di religione islamica Il cardinal Martino imita l’Ucoii»
Il RIFORMISTA di venerdì 10 marzo 2006 pubblica un intervento di Emanuele Ottolenghi sul favore dimostrato dal cardinal Raffaele Martino alla proposta dell'Ucoii di introdurre nelle scuole l'insegnamento del Corano. Ecco il testo:

Il Cardinale Raffaele Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace, ha espresso sostegno all'idea che s'insegni l'Islam a scuola come alternativa all'ora di religione. Il cardinale sbaglia. A scuola, non solo non si deve insegnare l'Islam in maniera dottrinale (altro fatto è l'Islam come fenomeno storico, e per questo sono sufficienti i docenti di storia), ma è ora di non insegnare più nemmeno la religione cattolica. Si può capire la posizione vaticana: per difendere il proprio privilegio - conquistato nel ventennio e gelosamente custodito fino ad oggi - la Chiesa deve estenderne parte anche ad altri, ora che i musulmani sono troppo visibili per essere ignorati. Ma la risposta alla richiesta di notabili musulmani che si insegni l'Islam a scuola non può essere data dal Vaticano né può esprimere l'interesse della Chiesa. L'Italia è uno stato laico. Spetta al governo “aprire” all'Islam. E nel dialogare con le religioni e i loro rappresentanti, lo stato deve ergersi a difesa dei diritti dei cittadini e dei valori che esso esprime quale democrazia liberale e che si riassumono nei concetti di pluralismo, società aperta, libertà e uguaglianza per gli individui. E se quelle libertà comprendono non solo il diritto di apprendere una fede, ma anche di non apprenderne nessuna, non spetta allo stato istruire i cittadini nella dottrina di loro scelta. Libera chiesa in libero stato significa che in materia di fede ognuno di noi esercita in coscienza una scelta e ne cerca soddisfazione spirituale nei luoghi appropriati, cioè i luoghi di culto, e attraverso il ministero del clero che quei luoghi di culto amministra secondo questa o quella dottrina religiosa. Non tocca allo stato finanziare l'indottrinamento religioso dei minorenni sottoposti all'obbligo scolastico.
Tra l'altro, l'introduzione dell'Islam a scuola presenta gravi problemi. Non si può lasciare che i ministri di culto incaricati di insegnare l'Islam a scuola siano nominati dall'equivalente islamico della Curia. Il rischio di radicalizzazione, presente già in alcune moschee, è troppo grande. Né si può d'altro canto rischiare che i ministri incaricati di insegnare la dottrina a scuola siano vagliati dallo stato per censurarne eventuali eccessi - la religione è una cosa seria, spetta agli interpreti dei testi sacri parlare a suo nome, non a un funzionario del ministero della pubblica istruzione o a una spia del ministero dell'interno. Non parliamo poi dei libri di testo. Di catechismo scrivano i teologi, senza la censura dello stato. E di storia scrivano gli storici, senza la censura del clero. Altrimenti, i nostri diritti diventano prigionieri dei custodi della fede, la nostra storia prigioniera del politically correct.
Per tutelare appieno quei diritti, occorre dunque non solo ripudiare l'apertura fatta dal cardinal Martino all'Islam, ma anche dire no a qualsiasi religione: no a scuole confessionali che godono di sussidi dello stato (sì a scuole che si mantengono da sole, ma solo se adottano il curriculum sancito dallo stato), no a simboli religiosi nelle scuole e negli uffici pubblici, no alla trasmissione di funzioni religiose sulla televisione di stato pagata dai soldi del contribuente, no all'ora di religione a scuola, specie se insegnata come dottrina e non come storia, e certamente no a tale insegnamento se impartito da membri del clero, autorizzati dalla propria gerarchia ecclesiastica e non abilitati dallo stato al mestiere della docenza. Né per i musulmani né per i cattolici né per nessun altro. Chi vuole un crocifisso, se lo metta al collo o lo appenda in casa, chi vuole vedere una messa vada in chiesa, chi vuole apprender di Vangelo e Corano vada in parrocchia e alla moschea locale, e si sentano libere le religioni di trasmettere il loro messaggio via etere su televisioni e radio privatamente finanziate. Non così lo stato, che deve essere di tutti i cittadini e che per questo, in una società di tante religioni e molteplici persuasioni, può esserlo soltanto se rimane neutrale in materia di fede.
Da troppo tempo l'Italia, barricata dietro l'illusione crociana secondo cui “siamo tutti cristiani” si è aggrappata ai crocifissi in aula e in tribunale, all'ora di religione, prima coatta, poi prevalente anche con l'ora alternativa, e all'idea che i simboli e la storia del cattolicesimo sono parte integrante dell'identità nazionale. E passi pure quando in Italia i cattolici erano il 96% della popolazione, e il tasso di religiosità era alto. Ora però gl'italiani non sono più “tutti cristiani”. Quei privilegi quindi non possono più passare sotto silenzio, quando esiste in Italia una minoranza religiosa musulmana che conta quasi un milione di fedeli - per tacere delle altre più piccole minoranze storiche. Ed è una minoranza destinata a crescere, mentre i cattolici, praticanti e no, continueranno a diminuire in numeri e percentuale. Possiamo dunque continuare a privilegiare la Chiesa cattolica, in virtù della storia patria e dell'inerzia costituzionale che ci vincola ancora al Concordato e ai privilegi che ne discendono, o bisogna estendere alcuni di quei privilegi - magari non subito, magari non tutti - anche a quella che si appresta a diventare la seconda religione del paese, e così facendo salvaguardare quelli di cui gode la Chiesa? La risposta è né l'uno né l'altro.
Occorre invece aprire un dibattito su come promuovere una separazione finale e definitiva tra stato e confessioni religiose. La religione è una cosa troppo seria per permettere che lo stato s'immischi. E la libertà che uno stato laico, liberale e democratico garantisce ai cittadini è troppo preziosa per rischiare che sia condizionata dalla religione. Chi veramente vuole praticare una fede e studiarne i comandamenti, le norme e i misteri dottrinali e scritturali, può farlo nel miglior modo possibile frequentando il proprio santuario preferito - chiesa, moschea, sinagoga, tempio e luogo di preghiera - e l'istruzione ivi offerta. A scuola invece è bene che si insegnino seriamente i doveri e i diritti del cittadino e i valori della società aperta: in una società multiculturale, non è insegnando religione a scuola che si crea un comune sentimento di appartenenza, ma quelle libertà che fanno dell'Occidente l'unico luogo dove gli uomini sono veramente liberi di credere, e non credere, nella maniera e secondo la dottrina che scelgono di seguire.

Il CORRIERE della SERA pubblica a pagina 6 un intervento di Magdi Allam sulla vicenda:
 

Quale islam si insegnerebbe nelle scuole italiane? A chi verrebbe affidata la gestione di questi corsi? L'obiettivo è la conoscenza di una religione o l'affermazione di una «identità islamica» distinta dalla «identità italiana»? Se non si chiariscono questi concetti di fondo risulta arduo condividere il convincimento del cardinale Martino secondo cui «tutte le religioni sono di pace», nonché il suo ottimismo sul «dialogo e la libertà religiosa» quali strumenti per «evitare il fondamentalismo».
Chiariamo subito che l'islam è intrinsecamente e storicamente una realtà che si coniuga al plurale. Dalla morte del profeta Mohammad (Maometto) nel 632, ben tre dei suoi primi quattro successori, i cosiddetti «califfi ben guidati», furono assassinati (Omar nel 644, Othman nel 656, Ali nel 661) da musulmani che si opponevano al loro potere religioso e politico. Pensate che attorno all'anno Mille c'erano ben tre califfi che si contendevano la leadership dell'islam: a Bagdad il califfo abasside Al Qahir (932-934); a Cordova il califfo omayyade Abd ar-Rahman III (912-961); al Cairo il califfo fatimide Al Mu'izz (952-975). A tutt'oggi i governanti del Marocco, della Giordania e dell'Iran islamico si attribuiscono un titolo e un potere religioso sulla base di una asserita discendenza dal profeta. Pur rappresentando degli islam diversi sul piano comunitario religioso, giuridico, cultuale, ideologico, culturale. La ragione della pluralità è semplice: l'islam è una religione che si fonda sul rapporto diretto tra il fedele e Dio, non ha il sacerdote che funge da intermediario, non ha un clero che gestisce il culto, soprattutto non ha, non ha mai avuto né potrà mai avere un papa che incarnando i dogmi della fede assurge a unico capo spirituale e giuridico.
Quindi l'Italia è chiamata a scegliere: vogliamo l'islam laico della Tunisia, l'islam mistico delle confraternite sufi, l'islam radicale dei wahhabiti sauditi, l'islam fascista dei Fratelli Musulmani, l'islam nazista di Ahmadinejad o l'islam terrorista di Bin Laden? Oppure ancora: vogliamo dar vita a un «islam italiano» che sia pienamente compatibile con le nostre leggi e i valori fondanti dell'identità nazionale italiana? C'è un problema. È che l'Italia non è più allo stato verginale: la gran parte delle moschee sono già nelle mani dei Fratelli Musulmani, che mirano a egemonizzare il potere religioso e politico strumentalizzando la democrazia, e dei jihadisti, i combattenti della «guerra santa» contro gli ebrei, i cristiani e gli occidentali.
Sono stati proprio i seguaci dei Fratelli Musulmani ad avanzare martedì scorso la richiesta dell'insegnamento dell'islam nella scuola pubblica. All'interno di un pacchetto di rivendicazioni che, partendo dal censimento dei musulmani fino alla costituzione di banche islamiche, prefigura la volontà di dar vita a una «entità islamica» in seno allo Stato italiano. Ecco perché mi preoccupa che, quarantotto ore dopo, il cardinale Martino sembra avvallare la richiesta dell'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia). Forse sarebbe il caso che leggesse attentamente l'edizione italiana del Corano a cura dell'Ucoii. I commenti sono un cumulo di ingiurie e di condanne di miscredenza nei confronti dei cristiani, degli ebrei, degli occidentali e dei musulmani che non si sottomettono al loro arbitrio. Non oso neppure immaginare che questa edizione del Corano, profanata da un'interpretazione ideologica piena di odio e di violenza, ahimè diffusa tra le nostre moschee, possa diventare il testo d'insegnamento dell'islam nelle nostre scuole. Così come provo rabbia e orrore all'idea che ai militanti islamici dell'Ucoii, che legittimano il terrorismo di Hamas e negano il diritto di Israele all'esistenza, possa essere affidata la gestione dell'islam in Italia.
Caro cardinale Martino, ciò che manca in Italia non è la libertà religiosa bensì l'integrazione. Il caso dei musulmani, che sono al 98 per cento stranieri, è radicalmente diverso dai cattolici e dagli ebrei che sono da sempre italiani. Prima di pensare al Corano nelle scuole preoccupiamoci di affermare e far rispettare l'identità nazionale italiana, che significa lingua, cultura e valori condivisi. Questa è la sfida che ci attende: realizzare un'autentica integrazione per non fare la fine della Gran Bretagna dove, all'insegna del
laisser-faire multiculturalista, l'88% dei musulmani con cittadinanza britannica disprezza l'«identità britannica» e il 40% vorrebbe imporre la sharia, la legge islamica.

Dalla prima pagina del CORRIERE della SERA, l'editoriale di Ernesto Galli Della Loggia:

Si possono muovere almeno tre ordini di obiezioni all'importante discorso tenuto ieri dal cardinal Raffaele Renato Martino, presidente del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, sui rapporti con il mondo islamico. Un discorso, vogliamo dirlo subito, ispirato a un discutibile irenismo e le cui proposte, se accolte, provocherebbero certo più danni e problemi che benefici. Ma ciò non vuole dire che non si tratti di un discorso importante dal momento che di sicuro esso riflette posizioni largamente diffuse sia nel mondo cattolico sia, con declinazioni in parte diverse, in quello laico.
Il primo ordine di obiezioni riguarda la stessa premessa storico- causale, per così dire, della posizione espressa dal cardinale: «Solo il dialogo e la libertà religiosa — egli ha affermato — possono evitare il fondamentalismo: sia quello politico- laico che quello religioso».
Dunque la ragione per cui ci troviamo di fronte all'ondata fondamentalista attuale starebbe in null'altro che nel fatto che vi è stato finora troppo poco dialogo e troppo poca libertà religiosa. Se ce ne saranno di più, eviteremo il fondamentalismo. Il minimo che può dirsi, mi pare, è che si tratti di un'analisi approssimativa fondata più sull'ideologia che sui fatti. Davvero c'era una scarsa libertà religiosa nell'Inghilterra in cui sono cresciuti i giovani fondamentalisti (con passaporto britannico) che poi avrebbero fatto saltare in aria la metropolitana e i bus di Londra nel luglio scorso?
Davvero è a causa della nota chiusura al dialogo delle chiese cristiane olandesi, e della conseguente soffocante cappa di conformismo religioso, che alcuni giovani islamici di quel Paese si sono sentiti in dovere di ammazzare Pim Fortuyn e Theo Van Gogh?
Il secondo ordine di obiezioni riguarda le modalità del rapporto con l'islam. «Se attendiamo la reciprocità nei Paesi rispettivi dove ci sono cristiani — ha sostenuto il cardinale secondo l'agenzia Ansa — allora ci dovremmo mettere sullo stesso piano di quelli che negano questa possibilità». Insomma, niente reciprocità: gli islamici a casa loro facciano pure dei cristiani ciò che gli piace, noi non faremo dipendere in nulla il nostro comportamento da loro. Ora è certissimo che mai e poi mai l'intolleranza altrui potrebbe giustificare la nostra, ma da qui a teorizzare l'irrilevanza della reciprocità, come mi sembra faccia il cardinale Martino, ce ne corre. Specialmente se si pensa che egli sovrintende a un organo della Chiesa che si intitola, oltre che alla pace, alla giustizia. Ma la giustizia — la giustizia umana, non quella di Dio — non ha forse qualcosa a che fare con la reciprocità? Si può definire giusta una situazione che preveda una stabile disparità di trattamento? E una pace fondata sulla prepotenza e la persecuzione degli uni e la tolleranza e la remissività degli altri, merita davvero il nome di pace o non piuttosto qualche altro nome? La migliore risposta, come sempre, la dà il senso comune.
Vengo infine alla terza e più impegnativa affermazione di Martino. «Se in una scuola ci sono cento bambini di religione musulmana — ha detto — non vedo perché non si possa insegnare la loro religione. Questo è il rispetto dell'essere umano, e il rispetto non deve essere selezionato».
Apparentemente non fa una grinza, ma i principi sono principi e devono essere applicati perché tali: allora bisognerà dire che non solo cento bambini ma dieci, cinque, un bambino di religione musulmana ha il diritto anch'esso a un apposito insegnamento di religione nell'orario scolastico. Ma quanti insegnanti saranno necessari? E poi naturalmente nessuno vorrà negare che non solo i bambini islamici hanno diritto a un insegnamento religioso ma anche quelli di religione buddhista, di religione confuciana, zoroastriana, anche i bambini figli di Testimoni di Geova o magari degli adepti a Scientology. Perché no? E se no, qual è il criterio di esclusione — beninteso, in armonia con i principi di tolleranza e di dialogo religioso, nonché con il principio di uguaglianza — che lo Stato italiano potrebbe nel caso adottare?
Naturalmente non spero certo che il presidente del Pontificio consiglio Giustizia e Pace vorrà rispondere a qualcuna delle domande sopra riportate. Se mai lo facesse sarebbe certo una meritoria rottura di quella tradizione delle gerarchie cattoliche che spesso si mostrano alquanto noncuranti degli aspetti pratici delle questioni che affrontano, accampando il motivo che di questi aspetti deve occuparsi la politica, cioè i laici. Ma a parte ciò, e per concludere, mi sembra che le parole del cardinale Martino configurino su un insieme di questioni importantissime una posizione nettamente antitetica a quella ormai più volte delineata, e con forza, da Benedetto XVI. Si può dire anzi che quelle parole costituiscono in filigrana un vero e proprio manifesto antiratzingeriano: e anche come tali, dunque, esse si segnalano alla nostra attenzione. Se però dietro di esse ci sia solo uno stato d'animo o un pensiero personali, o se invece esse nascondono scontentezze più ampie e profonde, almeno al nostro sguardo e almeno a oggi è impossibile capire.
L'OPINIONE pubblica un articolo di Dimitri Buffa:

“Non vedo perché non si possa insegnare l’islam nelle scuole italiane”. E la reciprocità? “Se attendiamo la reciprocità nei paesi rispettivi dove ci sono cristiani, allora ci dovremmo mettere sullo stesso piano di quelli che negano questa possibilità. L’Europa e l’Italia sono arrivate a livelli di democrazia e il rispetto dell’altro che non può fare marcia indietro”. Avreste mai pensato che un cardinale avrebbe un giorno potuto dire cose del genere? Ieri tutto ciò è accaduto. Impegnando in prima persona il Vaticano nella propria qualità di presidente del Pontificio consiglio giustizia e pace, il Cardinale Renato Raffaele Martino, ieri lo ha fatto. Il tutto approfittandosi di una settimana di black out pontificio che finirà solo sabato, allorché Papa Benedetto XVI e la curia usciranno dal silenzio imposto dalla settimana di esercizi spirituali della Quaresima. Così fino a sabato la posizione del Vaticano sull’ora di religione islamica nelle scuole coinciderà grosso modo con quella dell’Ucoii che solo due giorni fa era stata bocciata dalla totalità delle componenti della Consulta islamica voluta da Pisanu, ma di fatto dallo stesso ministro gettata in mano ai Fratelli Mussulmani. La richiesta infatti era contenuta nel documento dell’Ucoii al punto tre del settore scuola con questa dizione: “istituire l’ora di religione islamica come scelta alternativa all’ora di religione”. Ieri l’Ucoii ha avuto la propria rivincita sull’Islam moderato grazie all’esternazione a dir poco ambigua del cardinal Martino. Ci si può solo immaginare lo sconforto dei teo-con come il Presidente del senato Marcello Pera che da mesi puntano tutto sulle sottane dei preti per resistere all’invasione islamica e che adesso devono constatare che la curia è piena di quinte colonne. E proprio Pera ieri ha postato il primo indignato commento sulla cosa nel suo sito “www.marcellopera.it”. I passaggi salienti parlano di “un islam moderato che esiste ma che nessuno incoraggia” e poi si citano proprio le assurde frasi di Martino sulla reciprocità come variabile indipendente e le strane smentite di Pisanu all’articolo di due giorni prima di Magdi Allam, in cui si dava conto della votazione che aveva messo in minoranza i fondamentalisti dell’Ucoii. Ebbene Pisanu ha di fatto messo sullo stesso piano il documento degli islamici moderati che riconoscono Israele e l’occidente con quello dell’Ucoii che invece chiede di riscrivere i testi di storia nelle scuole in maniera islamically correct, oltre appunto ad istituire l’ora di religione islamica. Con simili amici chi ha bisogno di nemici? E Pera se la prende soprattutto con quel passaggio del discorso del cardinal Martino in cui anche la “reciprocità” sembrava diventare una “variabile indipendente”. Martino infatti diceva che “se attendiamo la reciprocità nei Paesi dove ci sono cristiani, allora ci dovremmo mettere sullo stesso piano di quelli che negano questa possibilità”. Pera gli ha risposto che proprio il Papa aveva detto il contrario solo pochi giorni fa. Questa cosa, dal punto di vista del presidente del Senato può anche essere vissuta come un episodio da legge del contrappasso dantesca. E’ bene però che si sappia che nel Vaticano la risposta da dare all’estremismo islamico in questo momento è più ambigua che mai. Adesso si attende una parola da Papa Benedetto XVI che però non potrà dire nulla fino a sabato. Nel frattempo bisognerà accontentarsi di quanto ha dichiarato ieri Emma Bonino de “La rosa nel pugno”, la quale si sta chiedendo se la quella italiana non stia diventando una repubblica fondata sulle religioni invece che sul lavoro o meglio ancora la libertà.

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