giovedi` 15 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






L'Unità - Europa Rassegna Stampa
10.03.2006 Crisi iraniana: per qualcuno la fermezza é un rischio intollerabile
due quotidiani politici si schierano per il "dialogo a tutti i costi"

Testata:L'Unità - Europa
Autore: la redazione
Titolo: «Caso Iran, finirà come l'Iraq ? - «Sull’Iran è l’Europa che deve dare la linea»»

L'UNITA', come noto, ha una linea editoriale di netta condanna della guerra in Iraq. Facile capire dunque che un riferimento a quel conflitto, trattando la crisi iraniana, assume un chiaro significatod i condanna della linea della fermezza adottata da Washington, vista come suscettibile di condurre a una guerra ingiustificata. Molto meglio del deferimento all'Onu sarebbe stato, secondo il quotidiano, continuare con il "dialogo", lasciando nel frattempo al regime la possibilità di costruirsi con comodo la sua bomba fanalizzata alla distruzione di Israele.  Il tutto, naturalmente, in nome della "pace".

Anche EUROPA sponsorizza i metodi europei  per risolvere la crisi iraniana, ignorando il fatto che si sono già rivelati inutili. Ecco, da pagina 3, un'intervista al filosofo Ramin Jahanbegloo, al quale si dovrebbe ricordare che la bomba atomica iraniana sarebbe una concreta minaccia alla vita di milioni di persone, non una questione di "orgoglio nazionale".
Ecco l'articolo:  

«L’Europa continui a fare l’Europa e non vada dietro agli americani, che tengono un approccio solo militare e per nulla culturale alla questione del nucleare». Il filosofo Ramin Jahanbegloo, direttore del dipartimento per gli studi contemporanei del Cultural Research Bureau di Teheran e firmatario di una petizione di intellettuali che invitavano a votare contro il presidente Mahmoud Ahmadinejad, prova a spiegare a Europa perché Occidente e Iran oggi continuano a non capirsi: «Da un lato c’è un presidente iraniano che non ha mantenuto le promesse elettorali e punta tutte le luci sulla politica estera – ci spiega in una pausa del convegno internazionale “Oltre Orientalismo e Occidentalismo”, organizzato al Cairo dalla neonata associazione Reset-Dialogues on Civilizations, diretta tra gli altri da Giancarlo Bosetti e Giuliano Amato –. Dall’altro l’Occidente non capisce che il popolo iraniano è per una volta dalla parte di Ahmadinejad. Per il popolo il nucleare è un vanto nazionalistico, e non si spiega perché l’India debba beneficiare del nucleare a uso militare, mentre a Teheran viene negato quello a uso civile».
La questione del nucleare iraniano rappresenta oggi la sfida principale al dialogo tra Occidente e mondo islamico?
No, la sfida principale è il clash delle intolleranze, dei fondamentalismi, dei pregiudizi. La questione nucleare è un problema politico, strategico e tecnico. Può essere risolto, ma non risolverebbe certo lo scontro tra Occidente e Islam, che è destinato a durare anni e che può essere superato solo attraverso la discussione delle società civili di entrambi i campi. Il problema del nucleare è che deve essere affrontato dai governi, e non dalle società civili.
Nel modo in cui sta trattando il nucleare iraniano, crede che ci sia qualcosa che l’Occidente non capisce dell’Iran?
Non capisce che per molti iraniani il nucleare è diventato una questione d’orgoglio. Ci sono anche intellettuali, scienziati e artisti tra quanti si chiedono perché l’Occidente usi un doppio standard, accetti che l’India possa sviluppare il nucleare a scopi militari e rifiuti il nucleare civile di Teheran. Da noi è diffusa la sensazione che l’Occidente voglia usare questa questione per fare pressioni sul regime e sulla società iraniana. Ma è fondamentale separare il governo dalla società civile, perché anche se sul nucleare le posizioni sembrano coincidere (gli iraniani sono molto nazionalisti), tuttavia le ragioni che li muovono sono diverse.
Lei, come iraniano, ha avuto difficoltà ad entrare in Egitto.Può spiegarci il motivo?
  È un problema assurdo, che risale ai tempi dell’uccisione di Sadat e all’esilio dello scià Reza Pahlavi in Egitto. Da allora tra Teheran e il Cairo ci sono difficoltà diplomatiche, e visto che il turismo tra i due paesi è inesistente a farne le spese è la società civile. Prima di entrare in Egitto con il mio passaporto iraniano ho dovuto aspettare tantissimo, e poi all’aeroporto mi hanno fatto una specie di interrogatorio, perché era sospetto che un intellettuale iraniano fosse arrivato in Egitto dopo esser passato in India, dove insegno in questo semestre.
Forse questa è un’altra cosa che l’Occidente non capisce del mondo islamico.
Che non è un blocco monolitico.
Verissimo. Ci sono moderati e fondamentalisti, e ci sono diverse interpretazioni dell’Islam, come spiega il conflitto tra wahabiti sauditi e sciiti. Tuttavia le interpretazioni possono anche non essere così importanti, perché il mondo islamico a un certo livello può sentirsi comunque unito intorno a una piattaforma di valori umani. È un processo che reputo necessario, perché solo quando ci sarà compattezza all’interno del mondo islamico e all’interno del mondo occidentale il dialogo sarà veramente possibile. È impossibile per un Islam diviso dialogare con l’Occidente.
Ahmadinejad è ancora popolare tra la gente, dopo questi primi nove mesi di governo?
Ahmadinejad è stato eletto sulla base di un’agenda populista che prometteva di combattere la corruzione, di migliorare lo stato dell’economia e di ridurre le differenze sociali, ma finora quel programma non è stato rispettato.
Si è dedicato più alla politica estera che a quella interna. Il crollo della borsa di Teheran e la conseguente fuga di molti capitali verso altri paesi come gli Emirati hanno rappresentato un grave problema. Gli elettori, i poveri in particolare, ancora aspettano di trovare un lavoro, ancora aspettano che Ahmadinejad onori il suo programma. Io non l’ho votato, ho anzi firmato una petizione di intellettuali contro di lui. Ma se il presidente vorrà essere riletto e vorrà continuare ad essere amato, allora deve fare qualcosa per l’economia, che è il motivo per cui è lì dov’è.
La società civile concorda con le posizioni antisemite del presidente?
Su questo tema la società civile è molto divisa tra moderati, conservatori e riformisti.
Molti sono decisamente consapevoli della storia della seconda guerra mondiale, delle violenze e delle violazioni della Convenzione di Ginevra, di cosa è successo ad Auschwitz, a Dachau e a Treblinka, che ho visitato per scrivere un articolo su El Pais. Ma non credo che tutti, in Iran, abbiano questa sensibilità. Per un motivo molto semplice.
Non è parte della nostra storia, e l’Iran non è stato toccato più di tanto dalla seconda guerra mondiale. È vero che gli alleati attaccarono l’Iran e cambiarono il governo costringendo alla fuga lo scià, ma tutto ciò non è comunque parte della memoria storica degli iraniani. Auschwitz non è nella memoria degli iraniani come lo è per gli europei, e per questo trovo importante che gli intellettuali iraniani ne parlino di più.
Ma è possibile farlo sotto questo regime?
Credo di sì. In Iran abbiamo organizzato senza problemi delle conferenze su Hannah Arendt.
Vogliamo che i giovani sappiano chi è Emmanuel Lévinas. Devono sapere degli intellettuali perseguitati dai nazisti solo perché ebrei. Sarebbe sorpreso dal constatare quanto l’Iran sia oggi diverso dal mondo arabo e dal resto del mondo musulmano. A Teheran abbiamo una gioventù curiosissima del mondo.
E dove sono oggi i riformisti? Cosa fanno?
I riformisti hanno fallito. Dopo otto anni, l’ex presidente Khatami è praticamente uscito di scena e guida una ong.
I riformisti sono divisi, e ogni gruppo continua a lavorare in modo diverso. Pubblicano giornali e riviste, ma ormai possono anche non essere più necessariamente considerati parte della società civile iraniana.
Ma allora dov’è la speranza per un Iran più moderno?
La speranza è nella società civile, nell’impegno delle donne, degli studenti e degli intellettuali.
Ma potrà riuscire a tradursi in “politica”?
Certo, perché “essere politico” significa essere presenti e consapevoli dei problemi economici, sociali e culturali, far sentire la propria voce. Quello della società civile è già una nuova politica, un trend, un modo di vedere le cose diverso da quello del governo. Non è “parlamentarizzata”, e non si esprime nemmeno in forme partitiche. Ma quando ho organizzato una lettura filosofica con intellettuali americani e europei, nel pubblico sedevano 2000 persone. C’è un interesse vero, un network, uno spazio pubblico secolarizzato.
Un’ultima parola sul nucleare. Gli americani ritengono che la posizione europea, sul nucleare di Teheran, sia troppo soft.
E io penso che la posizione americana si troppo hard, troppo arrogante, perché non tiene conto dei fattori culturali e guarda solo a quelli militari. Gli americani sfidano governi e popoli, ma non è così che si raggiungono i risultati. Gli europei sono sempre stati ottimi mediatori, e devono continuare a fare gli europei, senza copiare gli americani.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione de L'Unità e di Europa


lettere@unita.it
Rubrica.lettere@europaquotidiano.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT