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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.02.2006 Le vignette antislamiche sono diverse da quelle antisemite ?
Perchè non ha senso equipararle.

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 febbraio 2006
Pagina: 1
Autore: Pierluigi Battista
Titolo: «Vignette anti-Islam, vignette antisemite»

Pierluigi Battista su chiede oggi 4.2.2006 sul CORRIERE della SERA se le vignette antislamiche sono diverse da quelle antisemite, di nazifascista memoria, riprodotte tali e quali dalla pubblicistica araba dal dopoguerra sino ad oggi. La sua conclusione è che non c'è differenza. Non siamo d'accordo. In nome dell'ebraismo nessun ebreo ha mai scatenato guerre sante, non ha mai incitato all'odio verso i musulmani, non ha mai lanciato fatwe o anatemi contro vignettisti o umoristi in genere. I fondamentalisti islamici, al contrario, vogliono imporre agli altri, a tutti gli altri, la loro visione del mondo. L'odio contro gli ebrei è il collante che unisce tutto il terrorismo di matrice islamica. E' ridicola l'equiparazione. Siamo stupiti che il Corriere sostenga questa tesi:

Ecco l'editoriale di Pierluigi Battista:

La libertà di stampa va difesa con intransigenza, e per chi la difende non è lecito tentennare tra chi rischia la vita minacciata dal fondamentalismo omicida di quanti vogliono sottomettere l'Europa per incatenarla all'onnipotenza della censura e chi, come insegna l'assassinio rituale del regista Van Gogh, emette seriali condanne a morte attraverso messaggi carichi d'odio. Ma chi è dalla parte della libertà non deve forse ragionare, captare sottintesi che suonano ambigui e inquietanti, anche a costo di apparire pignoli sino alla pedanteria? Non si può non condividere l'appello di Sergio Staino e Adriano Sofri dove si invoca una giornata in cui le vignette incriminate siano pubblicate simultaneamente da tutti i quotidiani europei. E però, anche se ricattati dalla prepotenza di una fatwa,
sovrastati dal frastuono ostile di chi brucia in piazza i simboli dell'Occidente liberale e tollerante, bisogna insistere. Difendiamo lo spirito critico. Ma nel nome della libertà della critica non sarà superfluo un supplemento di attenzione per scorgere qualcosa di repellente in quelle vignette di cui pure deve essere libera la circolazione: qualcosa che, nei tratti iconici raffigurati, nei moduli stilistici, nel linguaggio delle immagini ci precipita ancora una volta in un abisso di pregiudizi.
Guardatelo, l'«arabo» tratteggiato in quelle vignette: la linea somatica che induce al disgusto chi legge e osserva, il volto truce, lo sguardo malvagio, l'aspetto sordido, le barbe nere e sterminate. Cosa ricorda, questa iconografia del nemico ridotto a caricatura del Male? Quei nasi malformati, quelle occhiate stereotipizzate, quelle sopracciglia selvatiche, dove le abbiamo già viste e dove continuiamo a vederle?
Coincidenza vuole che sia in questi giorni in libreria una rilettura antologica della Difesa della razza (1938-1943)
curata dalla studiosa Valentina Pisanty. Ecco, in queste pagine, l'«Eterno Ebreo» maltrattato nelle copertine, nelle illustrazioni, nelle fotografie pubblicate in quel ricettacolo del razzismo italiano: con il naso adunco, gli occhi «libidinosi» l'espressione «rapace», i tratti «avidi», la fisionomia «depravata». Indebolisce forse la determinazione della battaglia per la libertà riconoscere (come ha suggerito il Financial Times) un'aria di famiglia, una comune inclinazione alla condanna somatica (persino «razziale») nelle predilezioni estetiche dei vignettisti di oggi e in quelle degli antisemiti degli anni Trenta?
E di quelle, occorre purtroppo aggiungere, che oggi, non settant'anni fa esprimono la stilizzazione dell'odio nella pubblicistica anti-ebraica che funesta la stampa araba. Basta confrontare le vignette, come il lettore del Corriere può verificare a pagina 5. Nei giornali arabi (e nel silenzio, bisogna ricordare con sgomento, della cultura occidentale narcotizzata dal pregiudizio anti-israeliano) l'anti- ebraismo si coglie nella deformazione somatico- morale del Nemico «sionista», nella sua effigie orripilante, nel racconto per immagini in cui l'«Eterno Ebreo» allude all'incarnazione di un carattere demoniaco. Ma le vignette anti-islamiche sono stilisticamente così diverse? Difendere i vignettisti dalla fatwa
deve forse impedirci di cogliere la presenza inquinante di un'estetica del disprezzo? E non cancellare gli interrogativi meno accomodanti non è forse il marchio di cui l'Occidente libero e tollerante può andare orgoglioso?

Invitiamo i nostri lettori ad inviare la loro opinione al Corriere cliccando sulla e-mail sottostante.


lettere@corriere.it

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