A pag. 5 di Metro di venerdi la redazione riporta il seguente articolo dal titolo: "Tornano i kamikaze. Attentato a Tel Aviv"
Un attentatore suicida si è fatto saltare in aria nei pressi della vecchia stazione degli autobus di Tel Aviv. E' l'unica vittima, mentre i feriti sono sedici, uno dei quali in gravissime condizioni. A darne notizia è la polizia israeliana, spiegando che in seguito all'attentato le autorità hanno innalzato il livello di allerta in tutto il Paese.
Poco dopo l'esplosione, è arrivata la rivendicazione della Jihad islamica. L'attentatore di Tel Aviv è stato identificato poco dopo come un ragazzo di 20 anni originario del campo profughi di Balata, vicino a Nablus.
L'attacco è avvenuto dopo che l'aeroporto internazionale Ben Gurion era stato chiuso temporaneamente, a seguito di un allarme causato dalla perdita di contatti con un aereo della El Al in atterraggio in Israele. Allarme poi rientrato.
L'attentato suicida giunge a più di un mese di distanza dall'ultimo attacco kamikaze in Israele. E' il sesto compiuto da quanto è stato dichiarato, lo scorso febbraio, il cesate il fuoco con le autorità palestinesi. Condanna del presidente dell'Anp Mahmoud Abbas, che ha definito l'attacco un atto di "sabotaggio" alla vigilia delle elezioni parlamentari del 25 gennaio. (adnkronos)
Dell'attentatore si dice che è l'unica vittima. Vittima l'attentatore? Si danno le generalità, omettendo stavolta il nome e il cognome, mentre nulla si sa dei feriti israeliani, considerati sempre soltanto dei numeri.
Dichiarare l'attacco a dei civili inermi un atto di sabotaggio delle elezioni palestinesi non è propriamente una condanna, quanto un voler scaricare su altri, su ignoti, la responsabilità della violenza di coloro che dovrebbero essere i propri cittadini che non si riesce o non si vuole fermare.
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