Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Un bel ritratto di Arik una vita al servizio d'Israele
Testata: Libero Data: 06 gennaio 2006 Pagina: 10 Autore: Maurizio Stefanini Titolo: «Prima combatti poi tratta, Arik il falco in cerca di pace»
Un bel ritratto di Arik Sharon su LIBERO di oggi 6.1.2006 a firma di Maurizio Stefanini.
“Kadima”: in ebraico significa “avanti!”, o “seguitemi!”, e prima di diventare il nome del partito con cui Ariel Sharon si presenta alle prossime elezioni, era stato il tradizionale grido di guerra degli ufficiali israeliani. Non c’è però plagio: era stato sempre Sharon nel 1948 a lanciarlo per primo, all’epoca in cui Israele combatteva la sua prima, cruciale guerra per la sopravvivenza, e lui era un ventenne comandante di plotone. Curioso, certo, che uno slogan di guerra sia stato poi usato dal falco Sharon quando si è trasformato in colomba per lanciare un messaggio di pace, Ma, precedenti di De Gaulle con l’ Algeria o di Begin con il Sinai a parte, va pure ricordato che Sharon viene da una famiglia di sinistra: nasce infatti il 27 febbraio 1928 nel moshav di Kfar Malal, cioè in un villaggio agricolo collettivista. Dunque, tra i suoi doveva aver riecheggiato quel logo tipico del socialismo ottocentesco, e che si ritrova infatti in molte testate storiche della socialdemocrazia europea, dalla tedesca Vorwärts! all’ italiana Avanti!. In origine, comunque, il suo cognome è Scheinermann. Ma come molti ebrei immigrati in Israele anche i suoi genitori, di origine lituana il padre e russa la madre, preferiscono poi adottare un nuovo nome in ebraico. Sharon, una parola biblica dal significato letterale di “Foresta”, è la denominazione di quella fertile pianura costiera proprio al centro della quale Kfar Malal stava. Membro di un battaglione paramilitare a 14 anni, gravemente ferito a 20 anni come tenente nella Prima Guerra Arabo-Israeliana, Sharon è capitano a 21 anni e ufficiale dell’intelligence a 23. Ma si stufa della divisa che lascia per l’Università, di cui poi si stanca per tornare alla divisa. Maggiore, è comandante di una speciale Unità 101 inventata apposta per reagire con rappresaglie agli attacchi terroristici contro il territorio israeliano. Ma in una di queste azioni nel 1953 muoiono 60 civili palestinesi, e l’unità è sciolta. Come verrà chiarito anni dopo, però, Sharon ha fatto da capro espiatorio, e in effetti in capo a pochi mesi la 101 è ricostruita come Brigata Paracadutisti 202. Generale all’ età napoleonica di 28 anni, combatte alla testa dell’esercito la Guerra del ’56, ma qui combina un nuovo pasticcio, impegnando oltre gli ordini la battaglia di Mitla, e provocando la morte di 40 soldati. Congelato nella carriera per 6 anni, ne approfitta per laurearsi in Legge. Nuova resurezione nel 1962, quando diventa capo di Stato maggiore il futuro Nobel per la Pace Rabin, che lo stima. Comandante della Scuola di Fanteria, Responsabile dell’Addestramento, è comandante di una divisione corazzata durante la Guerra dei Sei Giorni, e comandante del Comando Sud nel 1969. Ma nel ’72 il ministro della Difesa Moshe Dayan, che lo ha in antipatia, blocca la sua nomina a Capo di Stato Maggiore. Lascia di nuovo l’esercito sbattendo la porta, e si imbarca a questo punto in politica. Ormai col Likud, in opposizione al laburista Dayan. Ma scoppia la Guerra del Kippur, ed è richiamato in servizio al comando di una divisione corazzata della riserva. Non solo il generale Elazar, che Dayan gli ha preferito come capo di Stato maggiore, si fa prendere di sorpresa: è poi proprio Sharon a risollevare la situazione, aggirando le truppe egiziani sbarcate sul canale con un ardito controsbarco sulla costa africana, e iniziando addirittura una marcia sul Cairo, fermata dalla tregua quando è già arrivato al Km 101, numero evidentemente fatidico. Furibondo, lascia la divisa definitivamente, tuonando contro il governo che ha preferito il negoziato alla vittoria sul campo. Di quell’epoca, famosa è una foto con la testa fasciata, per una caduta dalla jeep. “Ma perché non usi l’elmetto?”, gli chiede la seconda moglie Lily, sorella di quella prima moglie Margalith morta in un incidente stradale nel 1962. “Contro gli arabi non mi serve. Lo metterò quando sarò tornato a Tel Aviv”, è la risposta. Deputato del Likud nel ’73, anche lì si stufa dopo un anno e dà le dimissioni, per fare tra ’75 e ’76 il consigliere dell’amico Rabin, nel frattempo divenuto premier laburista. Tornato deputato nel ’77 con una sua lista personale, rientra poco dopo nel Likud, per diventare prima ministro dell’Agricoltura, poi della Difesa, conducendo la guerra in Libano del 1982. Costretto alle dimissioni dopo la strage di Sabra e Shatila, resta però ministro senza Portafoglio nel 1983-84, per poi andare al Commercio e Industria tra 1984 e 1990 e all’Edilizia tra 1990 e 1992. Di nuovo ministro delle Infrastrutture tra 1996 e 1998 e degli Esteri tra 1998 e 1999 con Netanyahu, dopo la sua sconfitta è divenuto il nuovo leader del Likud. Accusato di aver provocato la Seconda Intifada del 2000 con una provocatoria passeggiata presso il complesso delle moschee di Al-Aqsa apposta per poter vincere le elezioni del 2001 su una piattaforma di critica agli accordi di Oslo, a sorpresa una volta al potere è diventato l’uomo del ritiro da Gaza, dopo aver comunque ridotto al minimo gli attentati suicidi con la costruzione di un muro di protezione. Contestato nel Likud, ha fondato Kadima, in cui è confluito anche il Nobel per la Pace Shimon Peres. Era in testa ai sondaggi, ma bisogna ora vedere che succederà con questo ictus che, se pure sopravviverà, minaccia comunque di compromettere definitivamente le sue capacità di leadership.
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