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Avvenire Rassegna Stampa
15.12.2005 Antisemitismo e negazionismo nel mondo arabo hanno una storia
ce la ricorda Graziano Motta

Testata: Avvenire
Data: 15 dicembre 2005
Pagina: 4
Autore: Graziano Motta - Barbara Uglietti
Titolo: «Quel silenzio del mondo arabo ha radici che vengono da lontano - Ahmadinejad tuona su Israele: «L’Olocausto? È solo un mito»»
AVVENIRE di giovedì 15 dicembre 2005 pubblica un interessante articolo di Graziano Motta sulle radici storiche dell'antisemitismo e del negazionismo del presidente iraniano e della buona accoglienza cge trova nel mondo arabo e islamico.

Ecco il testo: Quel «silenzio» del mondo arabo ha radici che vengono da lontano"

La campagna anti-israeliana di Mahmoud Ahmadinejad, nel suo crescendo di intensità, tra le reazioni sdegnate del mondo occidentale e un eloquente "silenzio" di gran parte del mondo arabo, non è per nulla nuova. Affonda infatti negli slogan, nelle motivazioni e nei principi dell'ideologia antisemita e antisionista che i regimi del Vicino e Medio Oriente hanno edificato per tutta la metà del secolo scorso a sostegno della loro lotta armata contro il nemico Stato d'Israele.
Considerato dal 1947-48, a dispetto della legittimità della risoluzione dell'Assemblea generale dell'Onu, un «intruso» nella realtà storica, politica e sociale della regione (e come «intrusi» e «predatori della terra araba» erano stati osteggiati e combattuti negli anni Venti-Trenta gli immigrati ebrei che si stabilivano nella Palestina sotto mandato britannico). Una campagna che, utilizzando argomenti antisemiti di tipo hitleriano e maurrasiano (di Charles Maurras, fondatore del momento antisemita "Action français"), vedrà la Lega Araba promuovere la riedizione e la diffusione in milioni di copie dei «Protocolli dei saggi di Sion» di Matthieu Golovinski, libro che nel 1978 i rivoluzionari iraniani diffonderanno nel loro Paese.
Negli anni Settanta, dopo la sconfitta araba nella guerra del Kippur e la crisi petrolifera mondiale, rinasce in tutto il mondo arabo e musulmano la campagna antisionista e antirazziale propugnata da ideologi negazionisti dell'Olocausto come il francese Roger Garaudy e sorretta in Europa da correnti di partiti di sinistra e da movimenti pacifisti pro-palestinesi e anti-israeliani.
Si giungerà addirittura all'approvazione da parte dell'assemblea generale dell'Onu di una risoluzione che equiparerà il sionismo al razzismo (poi tuttavia revocata) e al suggerimento del leader libico Gheddafi di regolare il problema palestinese trasferendo gli ebrei d'Israele in Alsazia-Lorena o in Alaska o nei Paesi baltici.
È su questo tessuto di ostinato odio che è stata accreditata la tesi, divulgata adesso da Ahmadinejad, che l'Olocausto degli ebrei è affare interno del mondo occidentale; e che essi costituiscono un «tumore» per il mondo islamico, la sua purificazione non potrà avvenire che con la loro espulsione. In Europa o altrove, non importa.
La cronaca di Barbara Uglietti "Ahmadinejad tuona su Israele: «L’Olocausto? È solo un mito»" corretamente presenta nella sua conclusione il problema del silenzio del mondo arabo di fronte alle dichiarazioni di Ahmadinejad.
Le quali vengono però "spiegate" come retoriche ed esclusivamente rivolte afini di politica interna. Dunque come no realmente minacciose.
Ma questa interpretazione trascura proprio le radici storiche di un'ideologia di odio che ha accompagnato il regime degli ayatollah, tra gli altri, fin dalla sua nascita. Trascura il sostegno all'aggressione terroristica contro Israele dato da Teheran. Rifiuta, infine, di mettere in relazione le parole d'odio dei leader iraniani al loro programma nucleare, e di cogliere così la concretezza e l'urgenza della minaccia.

Ecco il testo della Uglietti

Israele dovrebbe essere cancellato dalle carte geografiche, anzi spostato in Europa, magari in Germania, o in Austria. O, perché no? in Alaska. In ogni caso, sia chiaro: l'Olocausto è una leggenda. Dichiarazioni di un folle, se non fosse che a metterle in fila, nel giro di pochi mesi, è stato Mahmoud Ahmadinejad, il presidente dell'Iran, Paese al centro dei fragilissimi equilibri mediorientali e protagonista della più delicata crisi nucleare in atto. L'ultima sortita del leader ultraconservatore, "confezionata" davanti a una folla oceanica a Zahedan, nel sud dell'Iran, e spedita in diretta dalla Tv di Stato, punta dritta al cuore di Israele: «Loro (gli occidentali) hanno inventato il mito del massacro degli ebrei e lo mettono al di sopra di Dio, delle religioni e dei profeti. Se qualcuno nei loro Paesi mette in discussione Dio, non dicono nulla, ma se si critica il mito del massacro degli ebrei, gli altoparlanti sionisti iniziano a sbraitare». Ahmadinejah è poi tornato a ribadire, precisandola, la sua "proposta" di trasferimento in blocco di Israele: «Mettete un pezzo di terra a disposizione in Europa o negli Stati Uniti , in Canada o in Alaska - ha detto - in modo che gli ebrei possano creare il loro Paese».
Difficile capire cosa abbia in testa l'ex sindaco di Teheran. I fatti dicono due cose. Primo: è in difficoltà all'interno del Paese perché dopo essere stato eletto presidente a giugno con la promessa di combattere la corruzione e la povertà ha saputo dimostrare ben poco (tant'è che dal Mosharekat, il maggior partito riformista iraniano, si levano voci sempre più critiche sull'operato del presidente). Secondo: è sempre più sotto pressione per la questione nucleare: le trattative con la troika europea (Gran Bretagna, Francia, Germania) si sono interrotte in agosto, quando la Repubblica islamica ha ripreso la sua attività di conversione dell'uranio (ultimo passo prima dell'arricchimento, sulla strada verso l'atomica), difendendo il proprio diritto a produrre materiale per «scopi pacifici». Il polverone ideologico e anti-ebraico sollevato a più riprese in questi mesi potrebbe servire a entrambi gli scopi: a ricompattare il consenso interno dirottandolo contro il nemico sionista e occidentale; e ad alzare la posta sulla questione nucleare. Guarda caso, tra pochi giorni, il 21 dicembre, è in programma un tentativo di ripresa dei colloqui con la troika Ue e Ahmadinejad ieri, tra una provocazione e l'altra, si è premurato di mettere le mani avanti, ripetendo che l'Iran «non indietreggerà di una virgola sul nucleare». «I nostri scienziati hanno creato questa tecnologia - ha dichiarato - e il nostro popolo difenderà questa conquista».
Resta il fatto che, qualunque sia la strategia del leader iraniano, non piace affatto alla comunità internazionale che ieri è tornata a condannare con estrema durezza le sue dichiarazioni, «totalmente inaccettabili» per l'Unione europea, («Gli iraniani non si meritano il presidente che hanno», ha detto il presidente della Commissione Ue José Manuel Durao Barroso); «oltraggiose» e «scandalose» per la Casa Bianca». Mentre Israele ha invitato il mondo «ad aprire gli occhi» sul regime iraniano, «dissipando tutte le illusioni» sulle sue intenzioni. Il ministero degli Esteri dello Stato ebraico ha detto che con le ultime sortite l'Iran «si è posto fuori dalla decenza internazionale» e «ha dimostrato di essere un elemento politico canaglia». Mentre il portavoce del premier Ariel Sharon ha avvertito: «Israele ha i mezzi per difendersi».
Secondo molti osservatori, Ahmadinejad si sta concedendo il "lusso" di certe dichiarazioni perché conta sulla "prudenza" americana: l'Amministrazione Bush, impegnata sul fronte iracheno, si sta "limitando" a tenere l'Iran nel mirino. Il problema è che, come ha evidenziato ieri Raan Gissin, consigliere del premier Sharon, «Ahmadinejad esprime opinioni che esistono in molti circoli nel mondo arabo convinti che il popolo ebraico non abbia diritto a uno Stato proprio, democratico, nella propria terra». Il silenzio del mondo arabo che anche questa volta ha accompagnato le dichiarazioni di Ahmadinejad è, da questo punto di vista, piuttosto significativo.
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