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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.12.2005 Iraq verso le elezioni
intervista all'islamista Bernard Lewis

Testata:Corriere della Sera
Autore: Frederick S. Kemp
Titolo: ««Questa prova di libertà terrorizza tutti i dittatori»»
Il CORRIERE DELLA SERA di mercoledì 14 dicembre 2005 riprende dall'edizione europea del Wall Street Journal del 13 dicembre un'intervista di Frederick S. Kemp a Bernard Lewis, sulla democratizzazione dell'Iraq.

Ecco il testo:

Professor Bernard Lewis, come storico (britannico ma con cattedra a Princeton, Usa), esperto di Medio Oriente, crede che gli americani comprendano appieno l’importanza del momento in Iraq?
«Primo punto: negli Stati Uniti regna un generale disinteresse nei confronti della storia. In inglese-americano si usa l’espressione "è storia", per indicare un fatto superato, ormai privo di importanza. Secondo: si registra una tendenza a non prestare attenzione alle altre culture. Resiste tuttavia in America una sorta di istintiva attrazione per ciò che è buono e giusto all’interno di una società, istinto che agisce sorprendentemente bene».
Per spiegare la necessità di restare in Iraq l’amministrazione Bush fa appello al nostro senso della storia, assicura che tra 10 o 20 anni saremo tutti più feli ci.
«L’argomento più stringente è lo straordinario successo del processo democratico in Iraq. È un Paese che dopo decenni di dittatura in tempi relativamente brevi è giunto alle prime elezioni libere, nelle quali milioni di cittadini si sono messi in fila per votare rischiando la vita. Un test notevole. Si è poi tenuto il referendum sulla Costituzione e domani saranno scelti i membri del Parlamento. Il processo di democratizzazione ha avuto successo oltre le più rosee aspettative».
Eppure c’è ancora chi teme che la democrazia possa produrre un risultato peggiore della situazione attuale. Il successo dei Fratelli Musulmani alle elezioni egiziane è un argomento a sostegno di questi timori.
«Il processo che porta alla democrazia non è rapido né facile. Esistono dei pericoli. Hitler prese il potere attraverso elezioni libere. Rispetto all’Iraq, non sarei tanto allarmato: la democrazia deve evolvere gradualmente. Ma i Fratelli Musulmani in Egitto rappresentano un effettivo pericolo: una volta al vertice, non lascerebbero il potere nello stesso modo in cui l’hanno conquistato, tramite libere elezioni».
Secondo alcuni, la forza della guerriglia irachena dimostra che l’intervento ha portato a un sistema peggiore .
«In Europa e in alcuni circoli Usa si teme che la democrazia non possa attecchire in Iraq. I tiranni che dominano la maggior parte del Medio Oriente temono il contrario e sono spaventati a morte. Quando si attacca una festa di nozze ad Amman, si è disperati. I terroristi sentono che stanno perdendo».
Crede che i mezzi militari possano portare ulteriori trasformazioni nella regione? In Siria? In Iran?
«No, l’intervento porterebbe le popolazioni a schierarsi compatte a sostegno dei loro regimi. Con un aiuto discreto e limitato, le opposizioni iraniana e siriana possono fare da sole».
È fiducioso sulla possibilità di cambiamenti positivi in Medio Oriente?
«La mia è una posizione di cauto ottimismo. La situazione in Iraq è migliore di quanto emerga dai media. La vita degli iracheni è enormemente migliorata: libertà di stampa, conquiste economiche e sociali...».
Che cosa abbiamo sbagliato in Iraq?
«Prima ne usciremo, meglio sarà, ma non possiamo darcela a gambe. Potremmo fare molto meglio nel passaggio dei poteri, nel coinvolgere di più gli iracheni, nel reclutamento e addestramento del personale di sicurezza. In diverse occasioni avremmo potuto evitare tutti questi problemi senza eccessive difficoltà. Nel ’91 ci tirammo indietro in un momento cruciale».
Qual è la lezione?
«Il nostro compito non è creare la democrazia, ma rimuovere gli ostacoli e lasciare che siano gli iracheni a creare la loro democrazia. È ciò che abbiamo fatto in Germania, Italia e Giappone e che dovremmo fare in Iraq. Pare che ci siamo finalmente mossi in questa direzione».
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