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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.11.2005 Shimon Peres entrerà nel nuovo partito fondato da Sharon
la cronaca di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 novembre 2005
Pagina: 16
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Sharon convince Peres, entrerà nel nuovo partito»
Dal CORRIERE DELLA SERA di lunedì 28 novembre 2005 riportiamo un articolo di Francesco Battistini.

Ecco il testo:

GERUSALEMME — È l'eterno rieccolo della politica israeliana. Si mise alla guida del Paese un giorno che faceva l'autostop, giovane immigrato polacco, e incontrò il mitico Ben Gurion. Da allora, non ha mai perso un autobus: in mezzo secolo, senza vincere un'elezione, è stato eletto dappertutto. Due volte premier.
Un'infinità diministeri fra difesa, esteri, finanze, informazione, trasporti... Falco negli anni '70, colomba nei '90, piccione viaggiatore nel 2005: a ottant'anni suonati, il premio Nobel per la pace Shimon Peres si prepara al salto della quaglia su un'altra spiaggia politica. Quella del Kadima, l'Avanti, il nuovo partito di Ariel Sharon. Dicono che è quasi fatta: un paio d'incontri con un deputato laburista già trasvolato, Haim Ramon, e Peres si sarebbe convinto. In cambio di una poltrona di prestigio, naturalmente: Onu, presidente d'Israele, un importante portafoglio. «Non ci sono considerazioni personali — si schermisce lui —. L'unica cosa è l'interesse del Paese».
Non ha altra scelta. Peres ha provato in ogni modo a contrastare Amir Peretz, il nuovo capo laburista che l'ha estromesso dal partito: accusandolo d'irregolarità alle primarie, ritardando l'incontro, facendo sapere delle trattative in corso con Sharon... «Mi riservo la decisione fino all'ultimo minuto», ripete da due settimane. «In realtà, forse nessuno lo vuole — è l'analisi dura dello scrittore Danny Rubinstein —. Da Peretz, ci sono solo cariche onorifiche. Sharon teme che ormai sia una zavorra». La riserva si scioglierebbe in questi giorni: un altro emissario del premier, Uri Shani, sostiene che tutti saranno preziosi nella nuova avventura di Sharon e anche il vecchio Peres, che non si sa quanti voti pesi, è comunque meglio non averlo contro.
La campagna acquisti è frenetica. Il
Kadima corteggia la lobby degli ebrei russi e tratta con gli arabi israeliani. Coi suoi 6 ministri e i 17 deputati fuorusciti da Likud e sinistra, è già il terzo partito della Knesset. Si votasse ora, i sondaggi continuano ad attribuirgli una maggioranza di 32-34 seggi, contro i 28 dei laburisti e i 12-13 di quel che rimane a destra. Premier di transizione, Arik rispolvera il sogno di sempre: cambiare la forma di governo, fare d'Israele una piccola America. «Sharon — anticipa il fedele Meir Sheetrit — introdurrà l'elezione diretta del premier. È la cosa più importante che il nuovo partito può fare».
Non sarebbe una prima volta: già nel '92 ci provarono, qui, ma poi tornarono subito al sistema attuale, coi partiti che indicano i candidati, gli elettori che scelgono, l'incarico di governo affidato al leader della lista più votata. Sharon no, lui vuole un premier designato direttamente dal popolo e una Knesset su base regionale. «Noi cerchiamo sempre medicine per guarire questi governi deboli — commenta Menahem Megidor, costituzionalista dell'Università di Gerusalemme —, ma il problema non è come votare il premier: è dargli i poteri necessari a comandare». I giuristi non la vedono facile: «Il sistema americano o inglese non può funzionare in Israele — dice il politologo Gal Nor —. Avremo sempre sette o otto partitini. Dopo le elezioni di marzo, le grandi coalizioni andranno in pezzi un'altra volta. E Sharon si troverà a rifare la cosa che più odia, quella che l'ha spinto a mollare il Likud: mediare».
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