Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Testata:La Stampa - Libero - Il Riformista Autore: Fiamma Nirenstein - Elena Loewenthal - Angelo Pezzana - Oscar Giannino Titolo: «L'azzardo di Sharon "Addio ingrato Likud. Subito le elezioni" - Responsabilità e individuo - Sharon il falco inventa il partito dei moderati -»
LA STAMPA di martedì 22 novembre 2005 pubblica a pagina 12 l'articolo di Fiamma Nirenstein "L'azzardo di Sharon "Addio ingrato Likud. Subito le elezioni" ".
Ecco il testo: I fuochi d’artificio per la nascita del nuovo partito di Ariel Sharon ci hanno pensato gli Hezbollah a organizzarli sul confine del nord, bombardando tutte le cittadine della zona, mandando con le loro «katiushe» all’ospedale una decina di israeliani fra cui uno molto grave. Israele, così, non ha dormito né a Gerusalemme e a Tel Aviv dove le sedi politiche hanno inagurato la convulsione che durerà fino alle elezioni, forse il 28 marzo; nè a Kiriat Shmone o a Metulla dove i vecchi, i bambini, tutti i cittadini, hanno dormito nei rifugi sotterranei. Sharon ha dato il via a una frenetica danza di scelte fatali, di pressioni per restare o andare la mattina presto quando s’è recato a casa del presidente Katsav per annunciargli le sue decisioni e pregarlo di indire le elezioni quanto prima. Da quel momento fino alla sera (al momento della conferenza stampa alle 19,30 in cui in quattro minuti di linguaggio militare ha spiegato di non essere stato «eletto per scaldare la seggiola» e che aveva intenzione di andare avanti senza gli impicci dell’inimicizia intensa del suo partito verso la Road Map) Sharon ha indossato il volto dell’ironia sferzante e della sfida. E a ragione: ci vuole coraggio per affrontare un terremoto come quello che ieri ha scosso Israele, determinazione, forza, ha detto parlando in apertura dell’attacco degli hezbollah e mandando i suoi augurio ai feriti. «Guardate come ci tocca a vivere qui», ha detto. E parlava di sé: tutta la vicenda attuale ruota intorno al tema del coraggio di un settantottenne di rimettersi in giuoco intero, di sfidare un elettorato abituato a un bipolarismo superato dallo sgombero di Gaza, e nel coraggio di Israele di voltare pagina. Sharon dopo aver portato il Likud a 40 seggi e battuto Netanyahu alle primarie, avrebbe potuto correre su un’autostrada verso le prossime elezioni. E poi, a 79 anni, diventare di nuovo Capo di Stato. Sì, sarebbe stato combattuto dalla metà del Likud nella sua scelta di - come ha detto alla conferenza stampa - realizzare la Road Map; è vero, sarebbe stato anche privato dell’aiuto di Shimon Peres e del suo partito, ormai guidato da Amir Peretz. Ma avrebbe mantenuto una posizione che invece adesso si è giocata alla roulette della politica israeliana, fino a correre il rischio che Peretz e il suo Partito Laburista tutto volto alle questione sociali vincano le prossime elezioni. Al momento attuale le previsioni dei sondaggi danno 28 punti a testa a Sharon e a Peretz e 18 al Likud di Netanyahu o di Uzi Landau. E spiegano anche che già ieri un quarto dei votanti del Likud voterebbe per Sharon. Tuttavia, secondo le indagini, oggi l’interesse maggiore della popolazione è spostato sul problema della povertà e in genere sulle questioni sociali che Amir Peretz mette in prima linea, e la sinistra, a fronte di una destra spaccata da una secessione così importante, potrebbe vincre. D’altra parte, purtroppo, l’area mediorientale è talmente soggetta ai problemi della sicurezza che ad esempio una giornata sotto le «katiushe» degli Hezbollah, può cambiare l’umore del votante e gettarlo nelle braccia del più duro dei concorrenti, che sia esso Netanyahu o quant’altri. Quindi Sharon rischia, e lo sa. Ma la sua scommessa è di contenuto, e quindi irrinunciabile: se non lo fa lui, nessuno potrà guidare il Paese nello stesso tempo alla guerra contro il terrorismo e alla politica della mano tesa verso Abu Mazen. «Ma non ci saranno più sgomberi, solo la Road map seguita pedissequamente, con l’adempimento degli impegni dei palestinesi, prenda tutto il tempo che ci vuole», ha detto Sharon. «Io per me intanto sgombererò gli outpost». E dov’è Shimon Peres in tutto questo? Triste dirlo, ma è a casa. Sharon ha bofonchiato e balbettato alla domanda. Peres è orfano del suo partito, che lo ha scansato in maniera piuttosto stupefacente per far largo a Peretz così da ristabilire una propria identità fuori dall’ombra di Sharon. Sarebbe logico pensare che come il ministro laburista Haim Ramon, anche l’altro grande vecchio nazionale («Ci presentò Ben Gurion nel secolo scorso, nel ‘53 - ha riso Sharon - quando lui era direttore del ministero della Difesa e io capo dell’Unità antiterrorismo Commando 101. Mi sembra che sia stufo della politica, e che abbia magnifici programmi di intervento economico». Peres stufo della politica? Ma quando mai! È più facile che Sharon, subito addentato a sangue dai superstiti del Likud che gli danno di traditore, corrotto, dittatore che non sopporta un’opposizione, buffone, cerchi di non esasperare quella parte di elettorato di destra che spera di recuperare per la prossima puntata di una vita spericolata. Elena Loewenthal nell'articolo "Responsabilità e individuo" spiega, sempre su LA STAMPA, il significato del termine ebraico "achraiut", appunto "responsabilità", scelto come nome del nuovo partito.
Ecco il testo: RESPONSABILITÀ nazionale: il nome che Sharon ha scelto per il proprio partito suonerebbe quasi improponibile nel nostrano panorama politico. Chiamare in causa tale principio vuol dire stabilire una piattaforma comune - e ineludibile - per elettori ed eletti: una mossa coraggiosa, quasi azzardata. La parola «achraiut», responsabilità, è infatti in ebraico carica di significato: si ricava sulla radice «aher», che indica l’altro, l’essere diverso. Come a dire che la responsabilità è prima di tutto il riconoscimento del prossimo, di quel «tu» (divino e umano) che è fondamento religioso e morale. Il principio di responsabilità è ciò che, per dirla al modo di Lévinas, rende così «difficile» la libertà dentro l’ebraismo: una libertà memore dei confini della legge (la Torah) ma anche e costantemente del rispetto dovuto all’altro da sé. Nessuno l’ha spiegato meglio di rav Hillel, vissuto più di duemila anni fa. Lui allora si rivolgeva a un discepolo un po’ scettico, ansioso di imparare tutta la Torah nel tempo in cui un uomo riesce a stare in piedi su una gamba sola. «Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te e ama il tuo prossimo come te stesso. Solo questo insegna la Torah. Ora cala quella gamba e corri a studiare», rispose il grande maestro. In ebraico il principio di responsabilità segna i confini dell’individuo e il tracciato della sua libertà di scegliere fra bene e male, giusto e sbagliato: mai per caso o per istinto, ma sempre e soltanto attraverso la consapevolezza, di sé e del prossimo. È una parola assai impegnativa, ma che proprio per questo racchiude in fondo tutta l’etica d’Israele. LIBERO pubblica a pagina 15 l'articolo di Angelo Pezzana "Sharon il falco inventa il partito dei moderati".
Ecco il pezzo: "Lascio il partito che ho fondato più di trent’anni fa", ha dichiarato Ariel Sharon, annunciando contemporaneamente che alle elezioni anticipate del marzo prossimo lui sarà alla guida un nuovo partito, al quale ha già trovato il nome, "Responsabilità Nazionale". Chi pensava che si sarebbe ritirato dopo la rivolta all’interno del suo stesso partito, deve prendere atto che il dissolvimento del Likud, causato dalla sua uscita, è stato un gesto di magistrale capacità politica. In pochi giorni la scena israeliana è stata messa sottosopra da un cambiamento epocale. Sharon, qui sta il suo capolavoro politico, contrariamente a quel succede sempre in politica, non ha cercato di ricucire, modificare, ritrattare, giustificare, come accade, tanto per fare un esempio, nel nostro paese quando un governo traballa, quando i voti per governare scendono al di sotto del 50% o quando un ribaltone annulla il risultato elettorale. E’ vero che Israele ha problemi diversi dai nostri, ma quello della governabilità è comune. Da noi, un partito che sembrava nuovo, di fatto si è trasformato nella levatrice di uno che si riteneva morto e sepolto, da noi, invece di mettere alla porta chi non mantiene i patti sottoscritti ma strizza l’occhio a destra e a manca, rimane saldo al governo, non causa elezioni anticipate, anche se gli si imputa di impedire al governo di governare. Con i risultati che conosciamo.
Sharon avrebbe potuto dire che l’uscita da Gaza, lo smantellamento di alcuni villaggi in Cisgiordania non avrebbero avuto un seguito, tacitando l’opposizione interna e la destra religiosa. Con gli alleati laburisti, prima delle loro primarie, avrebbe potuto rinsaldare l’alleanza di governo concedendo poltrone, allontanando la minaccia dell’arrivo del capo del sindacato. Sharon ha fatto l’opposto. Gli è bastato un fine settimana nel suo ranch insieme ai consiglieri più fidati e la decisone era presa. Ai suoi deputati, che comunque non gli avrebbero mai più garantito una maggioranza solida anche in caso di vittoria, ha detto accomodatevi, tenetevi pure il Likud, una vittoria con voi non mi interessa, sarei continuamente sotto ricatto, sareste voi a governare e non io. A Shimon Peres, ma questa è soltanto una supposizione, non lontana però dal vero conoscendo l’uomo, Sharon offrirà di continuare l’alleanza, ben sapendo che non sarà solo un gesto verso il partner di governo che ha reso possibile e concreto il piano di pace con i palestinesi. Peres, se ad 82 anni avrà ancora la voglia politica di continuare la lotta, potrà raccogliere intorno a sé quella fetta più che ragguardevole di voto laburista che mal sopporterà la deriva statalista impressa dall’altro Peretz al partito che fu anche di Rabin. In fondo si assomigliano nel destino politico. Entrambi sono fuori dai loro partiti, entrambi antepongono un progetto politico a quello partitocratrico. Se Peres è di fatto isolato dal gruppo dirigente laburista, diverso è l’elettorato, che nei mesi scorsi si era espresso in maggioranza addirittura in favore di una alleanza Likud-Laburisti con a capo Sharon. E’ a questo elettorato, insieme a quello di centro che l’ha seguito nel suo distacco dalla destra più estrema, che Sharon guarda. Per sapere se lo appoggerà ancora ha scelto la strada del coraggio, esattamente l’opposto dei quello che avviene in Europa, dove in Germania, per esempio, i democristiani della Merkel, pur avendo vinto le elezioni, si alleano con i socialdemocratici riformando sì subito, ma nel senso opposto a quello promesso durante la campagna elettorale. Nei prossimi giorni vedremo con più chiarezza i contorni definitivi di "Responsabilità Nazionale". Per intanto il nome è stato registrato e la corsa elettorale è iniziata. E il regista è sempre lui, Ariel Sharon. IL RIFORMISTA pubblica a pagina 2 l'articolo di Oscar Giannino "Il terzismo si dichiara prima delle elezioni La sfida di Sharon al vetero bipolarismo".
Ecco il testo: Per Israele, ieri, è stato un giorno storico. Ariel Sharon non si è fermato. La rottura laburista da una parte, sotto il nuovo leader Amir Peretz, dall’altra il freno nel Likud alla linea di continuare in Cisgiordania sulla strada già imboccata con il ritiro unilaterale da Gaza, hanno avuto da parte del vecchio leone una risposta che da mesi gli osservatori della vita politica israeliana descrivevano come a metà strada tra una speranza o un incubo, a seconda di come si consideri il piano unilaterale di ritiro da parte delle colonie al quale Sharon lavora da tempo come il suo più alto contributo possibile alla sicurezza e alla stabilità di Israele. E la risposta di Sharon è stata la rottura con l’ala oltranzista del Likud, insieme ad altri tredici deputati su 38 del partito che aveva condotto a sconfiggere trionfalmente il partito laburista reduce dalla leadership di Barak. Lo scioglimento della Knesseth con elezioni a marzo, per non dare tropo tempo agli avversari di organizzarsi. E la nascita di un nuovo partito di centro, "Responsabilità nazionale", destinato a diventare un coagulo del realismo per la sicurezza d’Israele contro l’indifendibilità della prospettiva ultraortodossa da una parte, e dall’altra l’interlocutore obbligato - se non addirittura l’approdo - di molte personalità della cultura e della vita israeliana che in questi anni sempre più hanno stentato a identificarsi con la posizione laburista, dopo la crisi verticale della leadership laburista al quale Shimon Peres coi suoi 82 anni non poteva essere la risposta, e dopo che lo Shinui di Tommy Lapid aveva ottenuto molti dei voti laici e di sinistra in libera uscita da sinistra, col suo fermo no ai finanziamenti di Stato all’istruzione ultraortodossa. In altre parole, la mossa di Sharon è volta alla nascita di Pun terzo polo. Ma che differenza, rispetto al dibattito strisciante da mesi in Italia intorno al cosiddetto «terzismo». Sharon risponde rilanciando la doppia offensiva portatagli da destra e da sinistra dopo il ritiro da Gaza, uscendo dall’accerchiamento e mirando a propria volta ad accerchiare gli avversari, e per far questo deve riuscire a fare di "Responsabilità nazionale" il primo partito in Parlamento, alle prossime elezioni. Se si votasse oggi, i sondaggi gli darebbero ragione, avrebbe 28 seggi rispetto ai meno di 20 del Likud. Ma di qui a marzo molte cose possono cambiare. Il 25 gennaio alle elezioni palestinesi Hamas può ottenere un’affermazione in grado di limitare di molto il ruolo dei moderati di Al Fatah che appoggiano Abu Mazen, e un esito di quel tipo rafforzerebbe inevitabilmente i falchi del Likud contrari a ogni apertura sulle colonie cisgiordane. Che la situazione sia complicatissima lo testimonia la prudenza nel seguire Sharon di Shaul Mofaz, il serio e tetragono ministro della Difesa. Mentre fa ben sperare che abbia seguito Sharon fin da subito Gideon Ezra, il ministro degli Interni che pure molti meriti ha dell’ordine assoluto con cui i giovani poliziotti e poliziotte israeliane hanno saputo aver ragione della protesta ultareligiosa a Gaza. La differenza rispetto al terzismo italiano non sta solo nel coraggio del rilancio politico, da parte del vecchio generale che grazie a una mossa simile capovolse la guerra del Kippur varcando il canale di Suez, e puntando con le sue colonne corazzate diritto sul Cairo. Sta nel fatto che "Responsabilità nazionale" nasce prima delle elezioni, dichiaratamente respingendo due opposti radicalismi di destra e di sinistra. Il primo nega ogni spazio per iniziative anche unilaterali di ritiro dalle colonie. Il secondo, come ha proposto il neoleader laburista Amir Peretz sabato scorso, intende invece accelerare il ritiro sulla base di un principio che devasterebbe Israele dalle sue fondamenta, adottando come criterio che si lascia ogni insediamento in cui il 60% dei coloni fosse favorevole. La ricetta di Peretz solo a occhi europei può sembrare di estremo buon senso: in realtà tralascia basilari considerazioni in ordine alla sicurezza della nuova linea che verrebbe a disegnarsi come confine orientale di Israele, e nasce inficiata dalla rabbia "sindacale" di un leader più attento a lucrare voti alle elezioni dai redditi mediobassi il cui potere d’acquisto è stato falcidiato in questi anni di difficoltà per Israele, dalla seconda Intifada in avanti. Tanto è vero che Peretz ha strappato la leadership interinale a Peres proprio in base alla sua radicale linea di politica economica, attaccando le colonie perché beneficiarie di troppi shekel pubblici: ma su questa base Israele si rompe e si spezza in due senza alcuna maggioranza, e nessun governo diventa interlocutore di nessun ritiro. Il terzismo di Sharon, insomma, ci insegna che una terza forza può nascere anche spezzando i partiti storici che si è contribuito in prima fila a fondare, ma concretamente presentando al paese prima del voto una seria alternativa ai blocchi contrapposti e paralizzati dal proprio stesso oltranzismo. Sharon non è affatto diventato pacifista e di sinistra. Pensa che il ritiro da Gaza possa essere replicato in grande stile, cioè senza trattative preventive coi palestinesi per definire la linea di sicurezza orientale, e che dal tratto di strada parallelo che attende l’Anp attuale solo la storia dirà se altrettanta determinazione e volontà i moderati palestinesi sapranno mettere, per candidarsi apertamente contro ogni oltranzismo anche nel proprio campo. In quel caso e dal tipo di ritiro unilaterale che ha in mente, pensa Sharon, accanto a un Israele rafforzato nella sua identità moderata nella sicurezza, nascerebbe un’entità palestinese sempre più vicina a un vero e proprio Stato, grazie al sostegno e al favore della comunità internazionale. Che oggi deve scommettere su Sharon, e aiutarlo in tutti i modi a guadagnare il voto degli israeliani. Un terzismo come questo, che rischia per soluzioni concrete e coraggiose innanzitutto la vita del leader - e non solo in senso politico - è qualcosa che rifiuta anche solo l’ipotesi di adottare la stessa formula per qualcosa che si attagli alla vita politica italiana di oggi. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione della Stampa, Libero e Il Riformista . Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.