Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Il fondamentalismo islamico in Italia: una realtà sottovalutata da un'inchiesta troppo ottimistica
Testata: Jesus Data: 09 novembre 2005 Pagina: 1 Autore: Vittoria Prisciandaro Titolo: «Tante anime, un solo Corano»
Il mensile cattolico Jesus pubblica nel numero di novembre un articolo di Vittoria Prisciandaro intitolato "Tante anime, un solo Corano"
Si tratta di un’ ampia analisi sulla presenza dei musulmani in Italia, sul loro modo di vivere, di pregare, sul livello di integrazione e sulla loro capacità di rapportarsi, nella vita di tutti i giorni, con la comunità che li circonda. Un’analisi a nostro parere venata da un eccesso di "ottimismo" perché non focalizza a sufficienza l’attenzione su una percentuale, tutt’altro che irrisoria, di musulmani che approvano il terrorismo, incitano alla violenza, considerano i kamikaze che fanno strage di civili, "martiri" o "resistenti" e vorrebbero buttare i crocifissi dalla finestra. Ricordiamo a beneficio dei lettori la campagna diffamatoria inscenata da Abdel Smith contro il crocifisso. Alcune sere fa inoltre l’imam di Bologna durante la trasmissione Matrix affermava, sollecitato dal giornalista a rispondere in merito al terrorismo in Israele, che in quel paese NON esistono dei civili, quindi le stragi sono giuste. Analogamente Hamza Roberto Piccardo (Segretario nazionale dell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) nel numero di Panorama del 22 settembre alla domanda: "Le azioni terroriste suicide sono lecite?" risponde: "Dipende". E alla domanda Israele ha diritto di esistere? Risponde "NO": Ancora. Il 17 settembre il giornalista Magdi Allam, Vice Direttore del Corriere della Sera, mentre si apprestava a presentare il suo ultimo libro è stato vittima di una aggressione da parte di un gruppo di islamici (non cattolici, ebrei o induisti) con l’intento di impedirgli l’incontro. In quel contesto Safwat El Sisi ha fatto irruzione urlando: "Io sono il presidente della comunità islamica di Como, Magdi Allam danneggia l’Islam".
A questo proposito scrive lo stesso Allam: " La verita è che questi loschi figuri accampano un potere che poggia sul controllo di moschee trasformate in centri di potere religioso, politico e finanziario……e continuano a trovare sostegno e traggono una qualche forma di legittimità grazie all’ingenuità, alla viltà e alla collusione ideologica di ambienti politici, religiosi cristiani e accademici italiani. Ebbene mettetevi nei panni dei musulmani perbene e capirete che non affatto facile dover combattere sia contro gli estremisti islamici sia contro gli italiani ideologizzati che danno loro man forte".
Riportiamo integralmente l’articolo. I musulmani che vivono in Italia sono sempre più numerosi. Vivono pacificamente nell’appartamento accanto al nostro; e i loro figli vanno a scuola con i nostri. Eppure, l’immagine che ne danno i grandi media è spesso stereotipata e distorta. Jesus ha compiuto un viaggio in questo universo complesso, variegato e diviso. Anche sulla questione "calda" dell’Intesa con lo Stato italiano.
Coccinelle e lupetti multietnici e multireligiosi. E un domani, chissà, alcune guide scout in pantaloncini e altre con il velo. È l’esperimento che si sta tentando a Roma in un centro diurno per minori gestito dall’associazione Astalli. Dalla collaborazione con la Federazione degli scout d’Europa è nata l’idea di dare vita a un gruppo scout multireligioso. Il metodo scout cerca strade nuove per incontrare la società che cambia, ma non è il solo: nelle scuole elementari, negli oratori, nel mondo del divertimento e dell’abbigliamento si fanno i conti con una società ormai plurale, in cui la componente musulmana è sempre più numerosa e chiede diritto di cittadinanza.
Le statistiche dicono che oggi i musulmani in Italia sono quasi un milione, circa il due per cento della popolazione. Percentuali ancora basse, se confrontate con una media europea del 4 per cento. Marocco, Albania, Senegal, Tunisia, Egitto, Bangladesh e Pakistan, Algeria e Bosnia, Nigeria e Turchia... è l’elenco dei Paesi che ogni imam vi farà se gli chiederete da dove vengono i fedeli che frequentano la sua moschea. Infatti, oltre a un nucleo di convertiti italiani, sono decine i Paesi di provenienza degli immigrati; e diversissime tra loro sono le visioni dell’islam di cui ogni cultura è portatrice. Modi di vivere e pensare la fede che qui devono essere reinterpretati, o quanto meno fare i conti con la cultura e la società italiana.
È l’operazione che hanno dovuto fare coloro che vent’anni fa scelsero di studiare nelle università italiane e quanti decisero di lavorare nel commercio, nell’edilizia o nell’industria. È quanto oggi fanno i loro figli: costruire un’identità complessa, che deve mediare retaggi culturali familiari con la molteplice e contraddittoria realtà italiana.
In questi venti anni, dice Stefano Allievi, uno dei maggiori studiosi dell’islam italiano, i cambiamenti più significativi nella comunità musulmana sono stati la presenza delle seconde generazioni («che hanno bisogno di maggiore integrazione e quindi coinvolgono anche i genitori») e il processo di femminilizzazione. Se all’inizio l’immigrazione era fatta da giovani maschi soli, oggi siamo in presenza di famiglie, che vivono stabilmente in Italia. «E le stesse persone che sono arrivate vent’anni fa sono cambiate: hanno un livello di consapevolezza maggiore e una capacità di muoversi in un contesto più difficile che in passato». L’accresciuta attenzione dell’opinione pubblica, anche se talvolta in modo deformato, «ha sviluppato nella comunità islamica un’attitudine al dibattito e al confronto, anche interno». I problemi aperti? «L’incapacità di comunicare in modo chiaro con l’opinione pubblica; la difficoltà nel fare sintesi tra i conflitti, per individuare degli obiettivi comuni; e, soprattutto, il fatto che in questi vent’anni sono cambiate poche leadership: sia nelle organizzazioni dei convertiti, sia nelle altre, sia tra gli imam, c’è pochissimo turn over», conclude Allievi.
Ma qual è il volto dell’islam nel nostro Paese? Se le cronache preferiscono raccontare quello estremo e minoritario – chi non ricorda gli show nei salotti televisivi di Adel Smith, guida di un’organizzazione quasi inesistente, l’Unione musulmani d’Italia –, esiste una maggioranza pacifica, plurale al suo interno, fatta anche da associazioni culturali e da intellettuali, più o meno integrata nei piccoli centri e nelle grandi città, che nella prassi sta cercando una via italiana all’islam. Spesso con il contributo degli enti locali: «In questi anni il quadro istituzionale è cambiato pochissimo», dice Allievi, «ma a livello locale c’è una presa d’atto della presenza islamica in cose molto concrete: scuole, mense, mediatori culturali. In questo, anche la Chiesa e il mondo cattolico giocano un ruolo importantissimo».
Il sociologo Renzo Guolo distingue quattro gruppi tra le diverse anime dell’islam italiano: «I neotradizionalisti, divisi al loro interno tra attivisti e separatisti: i primi pensano a un’identità islamica strutturata, lavorano sulla scena pubblica e fanno riferimento all’Unione della comunità e delle organizzazione islamiche in Italia (Ucoii), mentre i secondi non vogliono nessuna contaminazione con la società italiana e, per intenderci, fanno capo alle moschee milanesi di viale Jenner e via Quaranta».
Il secondo filone è l’islam di Stato, istituzionalizzato, «che fa riferimento alla grande moschea di Roma, di cui una componente è la Lega musulmana». Costruita con i finanziamenti dei Paesi arabi e in particolare dell’Arabia saudita, la moschea di Roma e il suo Centro islamico culturale hanno scarsi legami con il mondo delle migrazioni.
La terza componente, secondo Guolo, è l’islam più spirituale, rappresentato dalle confraternite, spesso a carattere etnico, caratterizzate da «una privatizzazione della sfera religiosa: i singoli sono anche impegnati per rivendicare diritti di cittadinanza, ma come gruppo non fanno politica». In questa sfera rientrano i Mourid senegalesi; la Comunità religiosa islamica (Coreis), espressione di un gruppo di convertiti con sede a Milano; e numerose realtà culturali a carattere etnico-nazionale.
La quarta componente è l’islam radicale, «che ritiene legittimo lo jihad, "lo sforzo di guerra", come combattimento per la fede. L’idea di fondo di questa componente è la presa del potere per islamizzare una società ritenuta secolarizzata». Un’idea che dopo il ventennio ’70-’90 e il fallimento dell’esperienza egiziana e algerina sembrava sconfitta, ma ha avuto una ripresa con al Qaeda, che «stabilisce una nuova ripartizione geopolitica religiosa del mondo: lo jihad è giustificato ovunque, non c’è più distinzione tra i Paesi».
In Italia i covi di queste cellule radicali sono stati spesso identificati con le moschee. Una criminalizzazione di massa contro cui interviene il professor Allievi: «Alcuni terroristi, per esempio quelli delle stragi di Londra, sono transitati in due o tre moschee ben definite. Lo Stato ha il diritto di difendersi e se alcuni imam hanno avuto un ruolo di aggregazione per gruppi fondamentalisti vanno colpiti. Ma la stragrande maggioranza delle moschee gioca un ruolo di controllo sociale, in cui si veicolano valori opposti a quelli propagandati dal terrorismo e dove si fa un controllo diretto sulle persone, isolando i più facinorosi». Come ben sanno Digos e servizi segreti.
La minaccia jihadista ha interpellato la politica: e se un partito di governo come la Lega fa campagna anti-islamica tout court, il ministro dell’Interno il 10 settembre ha firmato un decreto (la cui pubblicazione è però slittata) in cui dà vita a una Consulta per l’islam italiano. I membri della Consulta, nominati con un successivo decreto, pronto secondo il Ministero per fine anno, saranno «persone di cultura e religione islamica di accertata affidabilità ed esperienza, a prescindere da qualsiasi criterio di appartenenza e rappresentanza».
Anche se a oggi, 24 ottobre, non c’è ancora traccia del primo decreto, appena il Ministero ha diffuso la notizia i commenti si sono moltiplicati. Intellettuali ed esponenti delle comunità di fede e associazioni religiose (dalle Acli agli induisti, dagli ebrei del Martin Buber ai valdesi e ai comboniani) hanno scritto al ministro Pisanu perché la Consulta «sia rappresentativa delle diverse componenti teologiche e culturali dell’islam italiano, senza aprioristiche esclusioni». Se così non fosse, dice il professor Allievi, «produrrebbe più conflitti di quelli che vuole sedare. Perché, anche al di là delle intenzioni del ministro, sarà in nuce una rappresentanza dei musulmani d’Italia. Una Consulta non serve solo per ascoltare, ma è anche un modo per far parlare le persone: per questo dovrebbe avere la più ampia rappresentanza, come accade in Francia».
Nel lessico del Viminale la parola d’ordine è diventato "islam moderato". È con loro, con i musulmani considerati "moderati", che il governo italiano vorrà fare i conti. «Una definizione politica, che non coincide con quella religiosa», dice Renzo Guolo. «Ma è evidente che dietro il dibattito sulla Consulta si nasconde un’altra partita, quella sull’Intesa». Se infatti la stragrande maggioranza dei musulmani nel nostro Paese non ha interessi di ampia rappresentanza, le organizzazioni che citavamo – Lega musulmana, Ucoii, Coreis – già in passato si sono autocandidate a firmare con lo Stato un’Intesa che andrebbe a regolamentare alcuni nodi irrisolti che gravano sulla vita della comunità (i cimiteri, la costruzione di moschee, la macellazione rituale, le scuole islamiche...). E poiché tra le varie organizzazioni non c’è accordo, né esiste un organismo di confronto, ciascuna corre per conto suo. Tanto che oggi c’è chi pensa sia meglio puntare a una buona legge sulla libertà religiosa che moltiplicare le Intese.
Come andrà a finire non si sa. Le elezioni di primavera, d’altro canto, rischiano di essere un ostacolo al sereno svolgimento della partita, che potrebbe essere rimandata a futura legislatura o giocata, nei prossimi mesi, con finalità e strategie che puntano ad altri obiettivi. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta a scrivere alla redazione di Jesus per esprimere la propria opinione. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail pronta per essere compilata e spedita