Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Le idee e le ragioni della fiaccolata per Israele e per la libertà dei popoli del Medio Oriente espresse da Giuliano Ferrara, Magdi Allam, Emilia Guarnieri e Riccardo di Segni
IL FOGLIO di venerdì 4 novembre 2005 pubblica in prima pagina un editoriale di Giuliano Ferrara che spiega "Com'è nata la fiaccolata dei meticci" in difesa del diritto all'esistenza di Israele.
Ecco il testo: Come è nata la fiaccolata? E’ strano, perché non siamo idealisti, ma è nata da un’idea. Comunicata per telefono venerdì mattina della scorsa settimana dal direttore ai vicedirettori di questo giornale. Comunicata a Pannella e Boselli che registravano una puntata di Otto e mezzo alle dieci di quel giorno, e hanno aderito per primi, di cuore. In rapida sequenza, poi, la riunione di redazione per fare il giornalone di sabato con la convocazione della fiaccolata e il primo titolone rosso, scrittura delle tre righe di appello firmato poi in rigoroso ordine alfabetico da una immensa quantità di brava gente (i "molti, diversi, opposti, normali, strani, uniti" dei nostri titoli successivi), l’appuntamento con Paolo Del Bufalo, che aveva curato con la sua agenzia anche la giornata per Israele del 15 aprile del 2002, reperimento indirizzo ambasciata iraniana, richiesta di permesso in questura, confezione del manifesto (bruttino, ma chiaro), ordinativi per le fiaccole, prenotazione del camion per un po’ di musica e i discorsi. Il tutto per tredicimila euro, novemila euro erano il rimanente della vecchia sottoscrizione della "società dei liberi", lanciata all’epoca del "caso Buttiglione", il resto lo ha messo il supercassiere del Foglio, mica tanto generoso in genere. Ora voi direte, magari influenzati dalle frivolezze e dalle obliquità che si scrivono in genere su di noi. Non ce la conti giusta, caro elefantino, era tutto calcolato, era tutto un marketing per dividere la sinistra, unire la destra, spostare il centro, eteropilotare i giornali e le tv… ma sono scemenze anche un po’ disgustose. I direttori di giornale e di tg hanno chiamato, si sono associati, ci hanno creduto, così anche i singoli, i gruppi e i partiti, e le notizie dall’Iran, la visita infuocata del ministro degli Esteri a Gerusalemme, la folle evoluzione estremista dei pasdaran di Ahmadinejad hanno fatto il resto. Non abbiamo raccolto nemmeno una polemica, anzi le abbiamo spente, non abbiamo bacchettato nessuno, blandito nessuno. L’ideuzza si è fatta strada da sola, camminando sulle gambe della realtà: e questo tipo di idealismo già ci piace un po’ di più. Bipartisan? Trasversale? No, fiaccolata meticcia (e ci dispiace per Pera e per i suoi scioglilingua nocivi; e ci dispiace per Lerner, il superintegrato che si finge bastardo, e per i suoi distinguo posticci). Gli oratori sono stati consultati per telefono, e hanno detto di sì senza remore. Noi non beviamo la rassicurazione culturale di un Hans Küng, che parla di una famiglia abramitica (ebrei, cristiani, musulmani) unita e indistinta: siamo di un’altra scuola teologica e politica e antropologica. Però era tutto chiaro, non c’era bisogno di far niente di speciale. A una fiaccolata così è ovvio che debbano parlare un musulmano coraggioso, che vive scortato per le sue idee (Allam), una dirigente cattolica che sa sposare identità e dialogo (la Emilia Guarnieri), il capo religioso degli ebrei di Roma (Di Segni). Il resto dei distinguo, di destra di sinistra di centro, era perfettamente inutile. Qualche sporca diffamazione era da mettere nel conto, successe già nell’aprile del 2002, accadde il 10 novembre del 2001, all’epoca della solidarietà con gli americani per l’11 settembre. Gli uomini spesso dimenticano di essere uomini e attribuiscono al vicino i loro stessi peccati di presunzione, di egolatria, di faziosità politica, di miserabile malizia morale. La storia dell’ingegnoso hidalgo, Don Chisciotte cavaliere della Mancia, la leggono in pochi. Pazienza. L’unica nota amara è stata la difficoltà di trovare un oratore iraniano dell’opposizione, perché sono minacciati, sia in Italia sia in patria, loro e le loro famiglie. Abbiamo riparato scandendo DURUD BAR AZADI – ZENDEBAB ISRAEL, che in farsi vuol dire: viva la libertà, viva Israele. In prima pagina e a pagina 2 dell'inserto IL FOGLIO pubblica i discorsi tenuti durante la fiaccolata da tre oratori: Magdi Allam, Emila Guarnieri, e Riccardo Di Segni.
Ecco il testo del coraggioso intervento di Magdi Allam:
Cari amici, non vi nascondo la mia profonda emozione da cittadino italiano, musulmano, laico, nel testimoniare la mia strenua difesa del diritto inequivocabile all’esistenza di Israele. Cari amici israeliani e ebrei, la vostra battaglia per il diritto di Israele all’esistenza è anche la mia battaglia per il diritto alla vita di tutti, compresi i palestinesi che aspirano legittimamente a un proprio Stato indipendente, compresi i troppi musulmani vittime del barbaro terrorismo di matrice islamica. Sul terreno del diritto alla vita, tutti noi giochiamo in casa. Ed è una battaglia di civiltà e per la vita che dobbiamo affrontare insieme e che vinceremo insieme. Quanto sta avvenendo questa sera a Roma rappresenta a mio avviso una svolta rilevante nell’atteggiamento dell’Italia sul tema cruciale della lotta al terrorismo globalizzato di matrice islamica e dell’ideologia manichea, nichilista, negazionista che lo alimenta disconoscendo il diritto alla vita propria e altrui. Ed è la stessa ideologia che sottostà alla negazione del diritto di Israele all’esistenza. (segue dalla prima pagina) Negazione elevata a strategia di stampo nazista dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, da perseguire con la minaccia delle armi di distruzioni di massa di cui l’Iran è già in possesso mentre rincorre il sogno dell’atomica. Grazie alla vostra massiccia partecipazione a questa fiaccolata promossa dal Foglio di Giuliano Ferrara, avete riscattato l’onta che si è abbattuta sulla nostra Italia quando, all’indomani delle efferati stragi di Madrid e Londra, poco più di un centinaio di persone raccolsero l’invito del sindaco di Roma Walter Veltroni a manifestare in Campidoglio contro un terrorismo che è simile nella sua efferatezza a quello che insanguina Israele, l’Iraq e molti altri paesi musulmani. E’ triste constatare che ci sia voluta la minaccia nazista di Ahmadinejad per compattare un fronte interno italiano che non perde occasione per dividersi su tutto. Questa volta ha prevalso il buon senso e la nostra Italia ne ha tanto bisogno. Così come dopo la seconda guerra mondiale riconoscere de facto lo Stato di Israele è stato il parametro per vagliare l’eticità di quanti si resero responsabili, complici o conniventi dell’Olocausto, oggi nell’era del terrorismo globalizzato di matrice islamica il riconoscimento del diritto di Israele all’esistenza è il parametro per vagliare l’eticità di quanti si sono resi responsabili, complici o conniventi dell’ideologia che legittima il massacro di innocenti strumentalizzando e offendendo l’islam. Ecco perché chiedo alla classe politica italiana che questa sera ha dato una formidabile prova di maturità etica e politica, di continuare ad assumere degli atteggiamenti coerenti. Il che significa che non è più possibile stringere la mano e sottoscrivere accordi con chi disconosce il diritto di Israele all’esistenza. Nella consapevolezza che legittimando e rafforzando i nemici del diritto alla vita di tutti, si continuerà a fomentare insicurezza e con flittualità ovunque nel mondo. Noi tutti questa sera dobbiamo ringraziare Israele, faro di democrazia e àncora di libertà in medio oriente. La tenace e risoluta battaglia di Israele per la vita è un fulgido esempio che deve ispirarci. E si tratta di una battaglia per la vita di Israele ma anche dei palestinesi e dei popoli arabi circostanti. Piaccia o meno ma è una realtà storica che i palestinesi hanno potuto incamminarsi sulla via della realizzazione del sogno di uno Stato indipendente soltanto grazie alla volontà e alla disponibilità di Israele, quando il 13 settembre 1993 Rabin strinse la mano ad Arafat. Per contro, piaccia o meno, gli stati arabi hanno sempre ostacolato la nascita di uno Stato palestinese. Da quando, dichiarando guerra al neonato Stato ebraico nel 1948, seppellirono la risoluzione 181 dell’Onu che contemplava la contemporanea nascita di una entità palestinese. E poi spartendosi i territori palestinesi con l’annessione della Cisgiordania da parte della Giordania nel 1949 e il passaggio sotto amministrazione egiziana di Gaza fino al 1967. Perché mai gli arabi non consentirono che su quei territori si desse vita a uno Stato palestinese? Perché mai sono morti più palestinesi massacrati dagli eserciti arabi che non palestinesi caduti nelle rappresaglie dell’esercito israeliano per contrastare il terrorismo? Sbagliano quelle forze politiche italiane che hanno disertato questo nostro stupendo incontro immaginando che il riconoscimento senza se e senza ma del diritto di Israele all’esistenza possa essere considerato come lesivo del diritto dei palestinesi a un proprio Stato. La verità è esattamente opposta. Perché a impedire la nascita di uno Stato palestinese sono proprio coloro che disconoscono il diritto di Israele all’esistenza. Lo prova il fatto che il terrorismo suicida palestinese esplose nell’ottobre del 1993 proprio all’indomani della storica stretta di mano tra Rabin e Arafat. Da allora con una lunga scia di sangue israeliano innocente si vuole in primo luogo impedire il successo del processo di pace, da parte di gruppi estremisti palestinesi che disconoscendo il diritto di Israele all’esistenza di fatto impediscono la nascita di uno Stato palestinese. Oggi più che mai tutti coloro che sinceramente vogliono uno Stato per i palestinesi, devono anzitutto sostenere senza se e senza ma il diritto di Israele all’esistenza. Oggi più che mai tutti coloro che sinceramente vogliono un mondo arabo e islamico libero e democratico, devono anzitutto sostenere senza se e senza ma il diritto di Israele all’esistenza. Oggi più che mai tutti coloro che hanno a cuore una comune civiltà dell’uomo dove trionfi il valore della sacralità della vita di tutti, devono sostenere senza se e senza ma il diritto di Israele all’esistenza. Di seguito, l'intervento di Emilia Guarnieri, presidente dell' associazione Meeting per l’amicizia fra i popoli: Voglio rivolgere un caloroso ringraziamento a Giuliano Ferrara che mi ha invitato qui stasera. Perché quelle parole furiose arrivate dall’Iran – "Cancellate Israele" – mi hanno ferito profondamente in quanto irragionevoli e assolutamente dissonanti con l’esperienza che vivo. E hanno fatto nascere in me delle domande che provo a porre stasera a tutti voi. C’è qualcosa di più atroce dell’affermazione di un’identità al prezzo dell’eliminazione dell’altro? Da quale sorgente sgorga una inimicizia così radicale e autolesionista? L’unico modo che conosco per giudicare un evento, qualunque evento, è paragonare la mia esperienza con quanto accade. E la mia esperienza, come quella di tanti che lavorano al Meeting – questo bizzarro appuntamento che 26 anni fa dedicammo, con termine oggi desueto, all’amicizia fra i popoli –, è che si può. Si possono costruire legami tra identità diverse per nascita, tradizione, cultura, si può avviare un dialogo che aggiunga qualcosa alla conoscenza e al rispetto reciproci, senza per questo rinunciare alla propria identità. (segue dalla prima pagina) Ci risuonava in mente, quando iniziammo – primi Ottanta, secoli fa – una bellissima frase di San Paolo. L’avevamo imparata da don Giussani e ce la siamo sentita ripetere poi, nel 1982, da Giovanni Paolo II a Rimini: "Vagliate tutto e trattenete ciò che è buono". Cosa è buono? Il desiderio di giustizia, di verità, di bellezza che alberga nel cuore dell’uomo, che gli fa giudicare ogni cosa. E’ questo anelito di verità per la nostra vita che ci permette di riconoscerlo nell’altro, e di valorizzarlo nell’altro. E’ anche il punto di partenza per il dialogo interreligioso, perché consente di invitare l’altro ad andare al fondo della sua tradizione, paragonandola con le esigenze del suo cuore. E di aiutarlo, sostenerlo in questo tentativo che è sempre commovente. Se in ogni esperienza umana vera alberga un frammento di verità, di giustizia, di bellezza, questi frammenti noi abbiamo cercato, riconosciuto e valorizzato nei testimoni che abbiamo portato a Rimini: ognuno di loro ha aggiunto qualcosa al cammino che ci accomuna, quello teso al destino, alla scoperta del senso della vita. Al Meeting in questi anni sono arrivati ebrei, musulmani, buddisti, teologi e pensatori, agnostici e santi. E’ arrivato persino un irriducibile come Giuliano Ferrara. E sono nate amicizie che hanno resistito all’usura del tempo e della distanza. In questo percorso, è inevitabile arrivare, a un certo punto, alla radice della parola tolleranza. Perché troppo spesso ci siamo sentiti ripetere che sviluppo e integrazione sono possibili solo sacrificando l’identità e la cultura dei popoli sull’altare di criteri e diritti tanto astratti, da arrivare ad attuarsi come indifferenza. Una generica indifferenza che si trasforma facilmente in violenza nei confronti dell’uomo concreto. Per immaginare una possibile convivenza, occorre allora combattere quel relativismo che da tempo attraversa la cultura e la politica europea, una corrente che vede ogni verità – politica, morale e religiosa – sullo stesso piano. Quando tutto si equivale, nulla ha valore, come ha scritto qualcuno proprio sul Foglio: la ragione non distingue e il cuore non sceglie. All’uomo non è riconosciuta la sua grandezza spirituale, in cammino. Alberga qui, nell’esperienza di un’identità certa che si fa incontro all’altro, che non ha paura, la radice della democrazia, nell’esigenza naturale che la convivenza aiuti l’affermazione della persona, che i rapporti "sociali" non ostacolino la personalità nella sua crescita. Il senso dell’uomo "in quanto è", l’affermazione dell’uomo "perché è". Solo la scoperta che ho bisogno dell’altro per vivere, e il desiderio profondo, interessato, che l’altro possa esprimersi compiutamente, salva dalla tentazione di ridurre la convivenza democratica a puro fatto di ordine esteriore o di maniera. Perché in tal caso, il rispetto per l’altro tende inevitabilmente a coincidere con una fondamentale indifferenza per il suo destino. In questi anni, al Meeting sono accadute cose che forse il Palazzo di Vetro non riuscirebbe nemmeno a immaginare. E lo dico con un certo stupore, perché l’incontro è un imprevisto e, aggiungerebbe Montale, "un imprevisto è la sola speranza". Per tutti. I ministri degli esteri israeliano e palestinese seduti allo stesso tavolo, lo scorso anno, lo scrittore ebreo Chaim Potok che parla del Mistero con mons. Lorenzo Albacete, davanti a diecimila ragazzi, il rabbino David Brodman che discute di felicità con Ali Qleibo, professore presso la Al Quds University di Gerusalemme. E David Rosen, Direttore dell’Inter- Religious Affairs, che accoglie a casa sua una sconosciuta come me, arrivata a Gerusalemme con una richiesta impossibile – il prestito dei preziosi "frammenti di Qumran" per una grande mostra da realizzarsi a Rimini sulle origini del Cristianesimo, "Dalla terra alle genti" – e dice sì. Mi ero portata dietro, come unico biglietto da visita, il telegramma che don Giussani aveva inviato al Presidente dello Stato di Israele e a Simon Peres, in segno di cordoglio per la uccisione di Yitzhak Rabin. C’erano queste parole: "La vicenda storica del popolo di Israele è decisiva per tutto il mondo. Per questo ciò che è accaduto non insanguina solo gli immediati partners. Di tale popolo noi osiamo sentirci così devoti da esserne, se fosse possibile, quasi parte. Proprio dalla sua storia noi abbiamo imparato che Dio, mentre prova il suo popolo, gli rimane fedele". Rosen venne poi al Meeting nel ‘96 e nel ‘97. Cosa ci accomuna a lui, cosa ci accomuna a tutti gli ebrei, al punto da provare un soprassalto davanti alle grida scomposte che arrivano dall’Iran, quasi fossero rivolte a noi? Il senso di una storia, quell’idea di persona unica e irripetibile che è patrimonio di tutto il mondo civile. O, come ha ricordato Benedetto XVI, "le nostre radici comuni e il ricchissimo patrimonio spirituale che gli ebrei e i cristiani condividono". E ancora, "l’elezione di un popolo che nasce da Abramo, per cui la persona viene creata per la salvezza del mondo con un compito identificabile con quello del popolo stesso". E siccome il concetto di popolo non è astratto, ma riguarda l’uomo, il suo destino, il radicamento in una terra, ogni difesa degli ebrei che non difenda Israele è ipocrisia o antisemitismo mascherato. Perché lo Stato di Israele, che ha dato una patria agli ebrei sperduti nel mondo, è elemento irrinunciabile a un equilibrio di pace internazionale. Come è giusto dare una patria ai palestinesi e assicurare uno sviluppo a tutte le nazioni del medio oriente, è fondamentale preservare il diritto di Israele a crescere e a prosperare. E dunque, non è retorica ripetere "noi siamo ebrei". Siamo ebrei quando tre ragazzine cristiane vengono decapitate per strada, in Indonesia. Siamo ebrei davanti alle scritte ingiuriose, vergate su una chiesa di Torino, contro il Papa. Aggiungo un dettaglio, che però tale non è nella vita civile: come cristiana, sono profondamente grata allo Stato di Israele che ci permette di visitare i luoghi santi della nostra fede. In chiusura, voglio ringraziare ancora chi ha ideato e organizzato questa impressionante mobilitazione, che mi colpisce profondamente e mi commuove. Credo sarebbe riduttivo attribuirle soltanto quella valenza emotiva che sicuramente ha contribuito al suo successo. Ma il nostro ritrovarci qui, stasera, è evidentemente qualcosa di più: un giudizio e, insieme, un impegno. Di mestiere faccio l’insegnante e l’evento di stasera ha tutte le caratteristiche di una esperienza educativa. Che poi, tradotto in soldoni, vuol dire che se non impariamo continuamente a distinguere il bene dal male, se non ci lasciamo educare dalla realtà, non la scampiamo. E a proposito di educazione, mi scuserete se chiudo proprio con le parole di quello che, per me e per tanti, è maestro e padre, don Giussani. Che scriveva, il 18 novembre 2003, per la copertina del TG2 dedicata ai funerali delle vittime di Nassirya: "Questo canto popolare potrebbe risorgere, se una educazione del cuore della gente diventasse orizzonte dell’Onu, invece che schermaglia di morte – favorita da quelli che dovrebbero farla tacere – tra musulmani ed eredi degli antichi popoli, ebrei o latini che siano. E questa sarebbe la vera ricchezza della vita di un popolo! Se ci fosse una educazione del popolo, tutti starebbero meglio". Oggi, sentiamo queste parole più vere che mai. Grazie Concludiamo con l'intervento di Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma: Prima di tutto desidero ringraziare tutti voi presenti qui, un numero incredibile di persone, senza distinzione di religione e di credo politico, uniti dal comune desiderio di denunciare un evento gravissimo: la minaccia all’esistenza stessa dello stato d’Israele. E’ il superamento grave e intollerabile di un limite insuperabile. Ma vorrei salutare anche chi non è presente qui questa sera. A chi dissente dai modi della protesta ma non dalla protesta chiediamo che l’assenza non si trasformi in silenzio. Che la scelta di opportunità politica non prevalga sull’istanza morale. Perché è un’istanza morale, quella che testimoniamo qui questa sera. A chi invece non c’è perché è indifferente alle parole del presidente dell’Iran o magari le condivide desideriamo spiegare con forza e pacatezza civile il senso del nostro orrore. Sappiamo che in Iran qualcuno, pochi, stanno manifestando contro l’ambasciata d’Italia, in segno di protesta per questa nostra manifestazione. Chissà se i manifestanti potranno leggere liberamente quello che stiamo dicendo ora. Ma almeno diciamocelo subito e chiaramente: la nostra non è una protesta contro l’Iran, né contro il popolo iraniano, di cui ammiriamo la civiltà e abbiamo seguito con trepidazione le vicende di questi ultimi anni. Noi non bruciamo bandiere. La bandiera dell’Iran è qui esposta nel palco, al posto di onore che merita, insieme a quelle d’Italia e di Israele. Se qui in occidente commentiamo quanto succede in quelle terre non lo facciamo certo con lo spirito dell’imperialismo. Lo facciamo perché in Europa abbiamo imparato a caro prezzo che cosa significano certe idee e certi proclami. E di conseguenza non solo ci permettiamo di parlarne, ma sentiamo il dovere di farlo. Potrà sembrare in un certo senso ovvio e scontato, che a parlarvi del diritto dello Stato d’Israele ad esistere sia un rabbino. Ma ciò che cercherò di spiegare non sarà affatto ovvio e scontato. Sarà un invito a riflettere sul significato angosciante delle parole del presidente iraniano. Preciso subito che non ho intenzione di dimostrare il diritto dello Stato di Israele all’esistenza. Mettersi su questo piano significa ammettere una distinzione preliminare tra questo e gli altri Stati. E questo non è accettabile. Non si mette in discussione l’esistenza dell’Italia, della Francia, dell’Iraq, dell’Iran e di qualsiasi altro Stato del mondo. Non la si mette in discussione quali che siano i comportamenti dei suoi governi, quale che sia l’antichità della sua fondazione o la crudeltà delle guerre che hanno portato quello Stato all’indipendenza. Ogni Stato europeo ha nel suo passato la memoria di guerre, di milioni di morti, di confini che si spostano. Di nessuno si contesta l’esistenza, di Israele invece sì. Sappiamo bene quale sia il livello di democrazia in Israele, quale sia la qualità delle sue strutture parlamentari e giudiziarie, quanto sia forte la tensione del dibattito sul rapporto con i vicini quasi sempre ostili. Eppure dello Stato d’Israele si contesta il diritto ad esistere. Non lo si fa con le peggiori dittature del mondo, con i governi più macellai. Non è strano? Non c’è dietro a questo qualcosa di tenebroso, un male antico che riemerge sempre in forme nuove? Non si contesta nessuno Stato della terra ma si contesta quello d’Israele, quello che ha il più alto rapporto del mondo di libri rispetto al numero di abitanti; che ha università di livello eccezionale, un sistema sanitario invidiabile e aperto a tutti, un enorme progresso tecnologico, uno stato che continua a produrre premi Nobel per la scienza invece che aspiranti kamikaze. Con lo Stato d’Israele, a confronto con gli altri Stati, si adottano spesso due pesi e due misure, quello che fanno i suoi governi è immediatamente al centro dell’attenzione, mentre su ben altre cose del mondo c’è indifferenza o silenzio; e subito c’è la corsa al giudizio e alla condanna morale, spesso sostenuta dal pregiudizio religioso. I metri di giudizio sono differenti perché il presupposto più o meno confessabile è che gli ebrei siano differenti e da trattare in modo negativo e differente. Prima di tutto negando al popolo d’Israele il suo diritto all’autonomia politica. Gli analisti politici in questi giorni cercano di comprendere le complesse ragioni che hanno portato la leadership di un grande paese come l’Iran ad esprimere posizioni tanto radicali. In realtà certe idee circolavano da decenni; la novità sta solo nella sconcertante sincerità con cui questi propositi sono stati affermati ai massimi livelli. L’analisi politica cerca poi di spiegare le ragioni di questo fenomeno, l’aspetto più inquietante dello scenario del nuovo millennio, inaugurato dall’attacco alle Torri Gemelle. Accanto all’analisi politica la visione ebraica propone altre prospettive: quella storica millenaria, e quella religiosa. Anche chi non la condivide non potrà sottrarsi a domande inquietanti. Perché in questa prospettiva il progetto politico del presidente iraniano non è una novità. Sarà pure clash of civilizations, sarà pure riscossa del mondo islamico, sarà quel che si vuole in termini politici ma per noi è sempre la stessa cosa. E’ l’odio primordiale contro il popolo d’Israele, che lo segue dalla sua nascita e appena cerca di organizzarsi. E’ l’odio dei Filistei (la Palestina prende il nome da loro) contro i Patriarchi; è l’odio del Faraone che fa uccidere tutti i neonati Israeliti perché li considera una minaccia militare; è l’odio di cui parla il salmo 83, di cui vorrei citare alcuni versi: "O Signore i tuoi nemici sono in tumulto, contro il tuo popolo, dicono: venite e distruggiamoli come nazione, e che il nome di Israele non sia più ricordato. Sono le tende di Edom e gli Ismaeliti, Moav e gli Hagariti, Gheval. Amon e Amaleq, Filistea e abitanti di Tiro e anche l’Assiria con i figli Lot". Fin qui le parole del salmo, che descrive un bello scacchiere mediorientale, con molti riferimenti all’attualità. Gli esempi biblici finiscono proprio con l’antico Iran, dove fu sventato il progetto di genocidio del primo ministro Haman, che ancora ricordiamo nella festa del Purim. Non si creda alla favola che mettere in dubbio il diritto dello Stato d’Israele sia solo un problema politico di anticolonialismo e non sia invece una manifestazione di odio contro gli ebrei. Non si elimina lo Stato ragioni di questo fenomeno, l’aspetto più inquietante dello scenario del nuovo millennio, inaugurato dall’attacco alle Torri Gemelle. Accanto all’analisi politica la visione ebraica propone altre prospettive: quella storica millenaria, e quella religiosa. Anche chi non la condivide non potrà sottrarsi a domande inquietanti. Perché in questa prospettiva il progetto politico del presidente iraniano non è una novità. Sarà pure clash of civilizations, sarà pure riscossa del mondo islamico, sarà quel che si vuole in termini politici ma per noi è sempre la stessa cosa. E’ l’odio primordiale contro il popolo d’Israele, che lo segue dalla sua nascita e appena cerca di organizzarsi. E’ l’odio dei Filistei (la Palestina prende il nome da loro) contro i Patriarchi; è l’odio del Faraone che fa uccidere tutti i neonati Israeliti perché li considera una minaccia militare; è l’odio di cui parla il salmo 83, di cui vorrei citare alcuni versi: "O Signore i tuoi nemici sono in tumulto, contro il tuo popolo, dicono: venite e distruggiamoli come nazione, e che il nome di Israele non sia più ricordato. Sono le tende di Edom e gli Ismaeliti, Moav e gli Hagariti, Gheval. Amon e Amaleq, Filistea e abitanti di Tiro e anche l’Assiria con i figli Lot". Fin qui le parole del salmo, che descrive un bello scacchiere mediorientale, con molti riferimenti all’attualità. Gli esempi biblici finiscono proprio con l’antico Iran, dove fu sventato il progetto di genocidio del primo ministro Haman, che ancora ricordiamo nella festa del Purim. Non si creda alla favola che mettere in dubbio il diritto dello Stato d’Israele sia solo un problema politico di anticolonialismo e non sia invece una manifestazione di odio contro gli ebrei. Non si elimina lo Stato d’Israele con una conferenza diplomatica; lo si elimina uccidendo i suoi milioni di cittadini ebrei e non ebrei in una nuova shoah collettiva. Il paradosso attuale è che mentre l’Europa e il cristianesimo si riconciliano con il popolo d’Israele, il mondo islamico riscopre con la religione l’ostilità antiebraica, e la usa a sostegno di interpretazioni storiche rozze e grossolane, come il mito dello Stato d’Israele avamposto della civiltà occidentale e ostacolo al risveglio musulmano. Semplificazioni balorde, che tra l’altro ignorano il peso essenziale in Israele della componente sefardita, cioè di ebrei di origine dai paesi islamici. Ma non siamo venuti qua per ascoltare un lamento o l’ennesima protesta per l’odio antiebraico. La nostra presenza qui è per riaffermare il diritto di tutti, e non solo d’Israele ad esistere come popoli liberi. Per affermare diritti universali che vengono sistematicamente violati da culture totalitarie e opprimenti. L’attacco a Israele è solo un simbolo, una scusa e un pretesto per mascherare pulsioni violente e micidiali contro tutta l’umanità e contro il suo progresso. Il popolo ebraico che di nuovo si presenta come ferito e attaccato, è anche e soprattutto un popolo ottimista, che crede fermamente nella vita, che si pone al servizio del mondo portando luce, speranza e fermento di libertà. E’ con le parole di Isaia che ci presentiamo questa sera, "per mandare libero chi è oppresso e spezzare ogni giogo di schiavitù". Ed è forse proprio per questa istanza radicale che il mondo totalitario non può tollerarci. Ma è anche perché speriamo fermamente in un mondo migliore che siamo qui a testimoniare questa sera. Grazie a voi tutti. Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma
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