Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Si apre il negoziato per l'ingresso della Turchia nell' Unione Europea Anna Momigliano intervista Emma Bonino
Testata: Autore: Anna Momigliano Titolo: «Emma Bonino festeggia: l'Europa non dice più»
IL RIFORMISTA di martedì 4 ottobre 2005 pubblica un'intervista di Anna Momigliano a Emma Bonino sull'apertura del negoziato per l'adesione della Turchia all'Unione europea.
Ecco il testo: E’ «un’assunzione di responsabilità da parte dell’Europa » la decisione presa dai ministri degli Esteri Ue di dare inizio ai negoziati per l’ammissione della Turchia in Europa, secondo Emma Bonino. Che ha atteso la risposta di Ankara a Rabat dove sta prendendo parte a una conferenza sulla democrazia nel mondo arabo. Abdullah Gul è in viaggio per Lussemburgo, è già l’inizio di «una pagina positiva». Lei è insieme una sostenitrice dei diritti umani e una sostenitrice dell’ingresso di Ankara nell’Ue. Non è una contraddizione? «Non solo sono favorevole all’affermazione dei diritti umani, ma ho sempre cercato, insieme alla mia famiglia radicale, di promuoverli. E sono convinta che una delle poche politiche attive che l’Europa ha sviluppato in questi ultimi anni è stata proprio l’allargamento: questo progetto di adesione all’Europa ha fatto sì che molti paesi che uscivano dalla caduta del comunismo avviassero una serie di riforme per adeguarsi ai criteri richiesti. Questo percorso può aiutare la Turchia nella sua evoluzione riformatrice in tutti i campi, dall’economia allo stato di diritto. Il processo avviato dal governo di Erdogan non può che essere rafforzato da un’apertura dei negoziati. Saranno lunghi (dureranno, credo, almeno 10 anni) e come andranno a finire non si sa. Non solo perché non si sa dove andrà a finire la Turchia, ma perché lo stesso si può dire dell’Europa». Sì, però l’articolo due del Trattato costituzionale europeo indica chiaramente che ogni stato membro deve condividere il rispetto della dignità umana, della libertà e della democrazia. «Nessuno propone che la Turchia entri domani nell’Unione. Quello che è in discussione è se dopo tanto tempo si possano aprire i negoziati per l’accesso nell’Ue, negoziati che Ankara ha chiesto dal 1959. Con nessun altro paese, del resto, abbiamo aperto i negoziati quando tutto era già risolto». Nel 2004 il rapporto della commissione indipendente sulla Turchia, di cui lei faceva parte, parla non solo dei benefici che l’ammissione della Turchia apporterebbe all’Unione, ma anche dei costi di un eventuale rifiuto da parte dell’Europa. «Nel 1999 e nel 2001 l’Europa ha dichiarato che se la Turchia avesse cominciato a conformarsi ai criteri di Copenaghen, avrebbe aperto i negoziati. Lo hanno ribadito all’unanimità i capi di Stato e di governo europei. Ora, per una grande forza politica, alzarsi una mattina e dire "abbiamo cambiato idea" ha un costo altissimo in termini di credibilità». Dove Londra ha sbagliato Crede che l’Undici settembre abbia cambiato l’attitudine europea verso la Turchia? «Dopo l’attentato contro le Torri gemelle, ma ancor di più dopo gli attacchi a Madrid e a Londra, l’Europa si è accorta delle cellule dormienti [di al- Qaeda] sul proprio territorio, e di avere sottovalutato l’emarginazione dei 20 milioni di musulmani che già vivono in Europa. La constatazione di avere fallito le politiche d’integrazione - ammesso che le abbiamo mai tentate seriamente, e io ne dubito - è stato un trauma. Certo, a questo si è aggiunta una paura dell’Islam, quasi un "mamma li turchi," perché se è vero che non tutti i musulmani sono terroristi, è pur sempre vero che tutti i terroristi si dicono musulmani». Non siamo riusciti a integrare i musulmani di casa nostra - neppure l’Inghilterra ci è riuscita - e come potremo integrare l’intera Turchia? «Credo che la situazione sia molto diversa: l’ingresso a pieno titolo nell’Unione - diciamo tra 10 anni - sarebbe un grandissimo aiuto di nel dialogo con questi 20 milioni di musulmani che sono già in Europa e che tra dieci anni saranno almeno 35 milioni. Detto questo, la tesi multiculturalista inglese non mi ha mai convinta». A differenza dall’approccio di maggiore integrazione negli Stati Uniti? «Sicuramente. L’idea che esistano zone di stato nello stato, non è una politica sostenibile. Ho seguito la polemica sulle scuole private islamiche e mi sembra che stiamo sbagliando il tono. Certo ci sono scuole ebraiche e cattoliche, ma il fatto che siano finanziate da privati non vuol dire che siano svincolate dalla leggi dello stato ». Quindi lei non è contraria tout court a una scuola islamica in Italia? «Purché le funzioni di controllo e il rispetto del codice civile e penale valgano per loro come per gli altri. E mi sembra che per ora non abbiamo applicato molto questa regola, come se le moschee fossero territorio sottratto alla giurisdizione nazionale». E’ divenuta popolare in Europa l’idea che la democrazia si possa esportare. E parlando di Medio Oriente spesso si menziona la Turchia come modello di democrazia musulmana. Eppure, come ha detto un intellettuale di Istanbul, "più si definisce la Turchia come un modello per il Medio Oriente, meno essa appare europea". «E’ molto probabile che i turchi non vogliano essere un modello: pero` molti democratici nel Medio Oriente guardano ad Ankara. Quanto alla democrazia che si esporta oppure no, è un discorso trito e ritrito e in fondo basterebbe sostenere i democratici che già ci sono, magari in maniera più coerente di quanto non facciamo adesso. Detto questo, si esporta la dittatura, e non vedo perché non si possa almeno sostenere la democrazia: tutta una serie di dittatori sono stati messi lì da noi. E’ un peccato che il mondo occidentale abbia sempre amato più gli uomini forti che le istituzioni forti». La lezione egiziana A proposito di dittatori longevi, cosa ne pensa della rielezione di Mubarak? Si può parlare di elezioni democratiche? «No. Ma è stato un momento storico, in primis perché la democrazia è un processo ed esistono momenti in cui il processo è più importante del risultato finale. In Egitto quello che sta succedendo è che il regime non può più reprimere le manifestazioni e un dibattito che ormai si è innescato e veleggia via satellitare, via internet, ma anche nelle piazze. E poi quello che accadrà nei prossimi tempi sarà altrettanto importante». Intende il post Mubarak? «No, dico le elezioni parlamentari di fine novembre. Le parlamentari ci sono sempre state, ma in una situazione in cui tutti i partiti erano, in pratica, cooptati. Ora se al- Ghad, questo nuovo partito che alle presidenziali è arrivato secondo, andrà bene alle politiche, si formerà il primo gruppo di opposizione parlamentare nella storia dell’Egitto, il che creerà dei processi di transizione necessari. Specialmente se la comunità internazionale e l’Europa sosterranno questo processo». E cosa accadrà quando i Fratelli Musulmani non saranno più al bando in Egitto? Sarà il paradosso di Algeri, la democrazia che annulla se stessa?«Tanto per cominciare da Algeri, ho l’orgoglio di essere una dei pochi che nel 1992 si sono espressi contro l’annullamento del secondo turno, perché la democrazia non è necessariamente la vittoria degli "amici", con tutto ciò che esso comporta. Poi, finché l’unica alternativa a Mubarak sono le moschee, è normale che la gente si rivolga ai Fratelli Musulmani. Ma quando si riusciranno ad aprire spazi di democrazia politica per i partiti laici non sarà più così: i due autoritarismi si sorreggono l’un l’altro. In ogni modo, credo che oggi l’attrazione esercitata dalla teocrazia islamista che ha portato all’Iran di Khomeini o ai Talebani in Afghanistan sia in via di esaurimento». E come spiega il risultato delle elezioni irachene? «Ahmadinejad ha fatto una campagna che non era affatto islamista né religiosa, semmai populista. Non ha puntato l’accento sull’Islam, ma sul nazionalismo economico. Il discorso anti-americano del nuovo presidente all’Onu è stato chiarissimo: contro Israele e Stati Uniti, ma tutto sul piano dell’ "imperialismo economico".Tipicamente terzomondista». Al tavolo di Rabat Lei sta tornando da Rabat, dove con Non c’è Pace Senza Giustizia ha organizzato una conferenza sulla democrazia nel mondo arabo, insieme a esponenti politici del mondo arabo. «Abbiamo cominciato due anni fa: la conferenza metteva alla stessa tavola governi e attori non governativi a discutere di democrazia.Avevamo toccato un tema maturo. Il segretario della Lega Araba disse "non esiste una democrazia occidentale e una araba, esiste la democrazia punto e basta con diversi stadi di appropriazione." Da lì abbiamo fatto una serie di iniziative seguendo due filoni: la questione donne, e la democrazia politica. Rispetto al convegno a cui ho partecipato a Venezia, quello fatto da Rutelli, dove si discute se Islam e democrazia sono compatibili, Rabat mi sembra è più avanti. Il discorso è ormai più nel dettaglio:come si organizza questo spazio di libertà? Come si organizza una legge sui partiti? Quali i processi elettorali?» La discussione di Venezia Non siete venuti a capo di molto, a Venezia? «Quello che è venuto fuori, a mio avviso un po’ in ritardo, e’ che Islam e democrazia sono compatibili e che in realtà lo scontro non è né di religioni né di civiltà, bensì uno scontro tra sistemi politici chiusi e aperti. Un po’ in ritardo, ma va è pur sempre positivo che non siano soltanto i Radicali, ma anche qualche forza politica più consistente, a farsi portatrice di questa cosa. Nel mio intervento ho però avvertito che dobbiamo stare attenti a non perdere il treno e a non stare qui a interrogarci in eterno se Islam e democrazia sono compatibili». Costituzione e Sha’aria Lei considera accettabile, in una democrazia propriamente detta, l’ingerenza nella politica da parte della religione, qualunque essa sia? «Assolutamente no». E allora come considera il riferimento della Sha’aria, per quanto minimale, inserito nella bozza costituzionale irachena. «Bisogna però tenere conto che il riferimento alla Sha’aria esiste anche nella costituzione marocchina, paese che pure ha approvato recentemente un diritto di famiglia fra i piu’ avanzati non solo del mondo arabo, ma anche rispetto agli standards europei ».Niente di male, allora? «A me i richiami alla religione nelle costituzioni non piacciono affatto, che si tratti di Sha’aria o di radici cristiane, ma so bene che sono i sistemi politici che definiscono i ruoli di questi richiami. Un giorno ho visto su Repubblica un titolo che diceva più o meno «la democrazia esportata dagli americani finisce in una teocrazia». Ma c’è lo stesso riferimento [alla Sha’aria] in Afghanistan. Solo che lì eravamo «tutti insieme», non c’era bisogno di fare gli anti-americani, e quindi nessuno l’ha fatto notare». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta di inviare il proprio parere alla redazione de Il Riformista. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.