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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Informazione Corretta Rassegna Stampa
29.07.2005 L'ambiguo messaggio dell'Unità
due articoli sul dialogo con l'islam indicano strade molto diverse, ma è la confusione a prevalere

Testata:Informazione Corretta
Autore: la redazione
Titolo: «L'ambiguo messaggio dell'Unità»
L'UNITA' di venerdì 27 luglio 2005 pubblica a pagina 6 un articolo informato ed equilibrato di Umberto De Giovannangeli, "Israele cerca il dialogo con l'islam moderato", che riportiamo:
Il dialogo è possibile.Il dialogo è necessario. Aprire all’Islam moderato per isolare le frange più radicali e integraliste, e per rafforzare le ragioni della coesistenza. È una indicazione tanto più significativa in quanto proviene dal Paese che più di ogni altro è
costretto a fare i conti con l’Islam armato: Israele. Il governo di Gerusalemme vuole allacciare un dialogo con esponenti musulmani moderati in Europa e istruzioni di operare in questo senso sono state impartite alle ambasciate dello Stato ebraico nelle capitali europee. A rivelarlo alla radio delle forze armate è un diplomatico israeliano, Reda Mansur, membro della comunità drusa. Parallelamente alla ricerca e alla identificazione di gruppi estremisti musulmani che in Europa fomentano l’antisemitismo e l’odio per Israele, spiega Mansur, «noi vogliamo anche trovare le voci silenziose e dare loro i mezzi per parlare in modo che possano condannare l’antisemitismo, il terrorismo e si possano collegare con le comunità ebraiche locali in nome di attività civili in comune». Evidentemente, aggiunge il diplomatico, «la nostra attività sarà più intensa in quegli Stati dove le comunità islamiche sono più numerose, come la Gran Bretagna, la Francia, l’Olanda, il Belgio, l’Italia e altri simili Paesi».
Dialogare significa anche ricercare un terreno di convergenza comune nel rispetto delle diverse identità. È la tesi di Meir Shalev, tra i più impegnati scrittori israeliani: «Il rispetto e la difesa dei diritti umani, il riconoscimento dei diritti delle minoranze, il rigetto di una concezione militante e aggressiva delle fedi religiose, sono i possibili punti di incontro con l’Islam moderato», dice Shalev a l’Unità. Voci da Israele. Voci di chi punta sul dialogo per abbattere i muri della diffidenza e dell’odio. E per sfidare «chi impugna strumentalmente la religione per creare fossati e per fomentare lacerazioni insanabili», sottolinea la scrittrice Shifra Horn, in Italia per presentare il suo ultimo romanzo «Inno alla gioia». Un dialogo vero, fruttuoso, deve fondarsi sulla chiarezza dei presupposti e su obiettivi condivisi. E un obiettivo da condividere è il «rifiuto del terrorismo e della violenza contro civili inermi, sempre e comunque», ribadisce con forza Yossi Sarid, leader storico del Meretz, la sinistra sionista, più volte ministro nei governi a guida laburista: «Non esistono - rimarca Sarid. scorciatoie militariste e terroriste per la soluzione di controversie tra Stati e popoli. È un’acquisizione fondamentale su cui deve poter far leva il dialogo tra noi e le comunità islamiche in Europa e nel mondo». Una tesi rilanciata con forza da Yael Dayan, scrittrice, già deputata del Labour, figlia del generale Moshe Dayan, l’eroe della Guerra dei Sei giorni (1967): «Ai miei interlocutori islamici - spiega - non chiedo di essere più "moderati" nelle loro rivendicazioni di giustizia e di emancipazione da vecchie e nuove oppressioni, né chiedo di definire la propria libertà in rottura con la propria identità religiosa. La "moderazione" riguarda in primo luogo gli strumenti di lotta e dunque il rigetto del terrore come arma politica». Sta qui il vero spartiacque, il salto di qualità da imprimere alla strategia del dialogo: «La costruzione di società aperte, fondate sull’integrazione e al tempo stesso sulla salvaguardia del multiculturalismo è una caratteristica fondante di una società democratica e moderna. Piuttosto che demonizzare l’Islam come fosse un monolite integralista, occorre realizzare un patto comune, un’agenda di valori e di intenti in cui riconoscersi al di là dell’appartenenza etnica e religiosa», è la riflessione che consegna a l’Unità, Shlomo Ben Ami, ministro degli Esteri ai tempi dei negoziati di Camp David e di Taba, già ambasciatore d’Israele in Spagna.
Un dialogo nella chiarezza è anche quello perorato da Avi Pazner, portavoce del premier Ariel Sharon, già ambasciatore a Roma e Parigi: «Siamo interessati a ricercare un confronto e se possibile iniziative comuni con esponenti musulmani moderati - dice - in grado di isolare non solo chi pratica la violenza ma anche chi la predica, magari da una moschea. Perché dietro le azioni terroristiche si cela spesso una campagna di odio e di demonizzazione che passa attraverso i libri di scuola o dai mezzi di comunicazione».
Molto lontano dallo spirito delle parole di Avi Pazner con le quali u.d.g. chiude il suo pezzo è l'articolo di Oreste Pivetta, pubblicato nella pagina accanto, la numero 7, "Quando la cultura mette paura al "Corriere" ". Un attacco a Libero, per la segnalazione del problema rappresentato dalla formazione in Italia, precisamente a Trieste, di scienziati atomici provenienti da dittaure del mondo arabo e islamico (in passato, ad esempio, dall'Iraq di Saddam Hussein) e a Magdi Allam, reo di aver denunciato un accordo di cooperazione tra università italiane e l'università Al Azhar del Cairo, diretta dallo sceicco Mohammed Sayed Tantawi, che legittima con le sue fatwa il terrorismo suicida anti-israeliano.

Pivetta ostenta scetticismo verso le circostanziate denunce di Allam e difende l'iniziativa in nome del "dialogo".
Un dialogo di fatto fondato sul silenzio di fronte all'antisemitismo, al fondamentalismo e al filo-terrorismo degli interlocutori islamici; talora, come nell'articolo di Pivetta, sulla volontaria ignoranza circa le loro reali posizioni.

Accostato all'articolo di Pivetta, anche quello di u.d.g. finisce per contribuire a dare un messaggio ambiguo.Un messaggio che promuove il dialogo con l'islam, senza però escludere con chiarezza chiunque abbia una qualche indulgenza verso il terrore. Anche quando le sue vittime sono israeliane.
Nell'articolo di u.d.g., infatti, non vi sono chiare indicazioni di quali siano i gruppi con i quali è possibile intavolare un dialogo e di quali siano da escludere. Provvede poi Pivetta ad attaccare chi quelle distinzioni le traccia, sulla base di informazioni di pubblico dominio mai smentite. Le traccia indicando anche, al contrario di quanto suggerito dal giornalista dell'UNITA' quando accusa Allam di presentare se stesso come "l'unico buono nel mare dell'integralismo", gli interlocutori possibili dell'occidente.


Ecco l'articolo:

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