Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La verità su Tariq Ramadan e sui Fratelli Musulmani, luoghi comuni confutati alcuni errori da non fare se si vuole davvero vincere al guerra la terrorismo islamista
Testata:Il Foglio Autore: un giornalista - Fiammetta Venner - Carlo Panella Titolo: «Londonistan, arriva Tariq - Fidarsi dei Fratelli musulmani? Scelta alla Chamberlain - Vedemecum dei luoghi comuni che non resisteranno alla Jihad»
IL FOGLIO di sabato 16 luglio 2005 pubblica in prima pagina l'articolo "Londonistan, arriva Tariq", che offre un ritratto dell'islamista Tariq Ramadan. Il CORRIERE DELLA SERA di lunedì 18 luglio 2005 pubblica invece un'intervista a Ramadan che, nonostante tutto ciò che sul suo conto è ormai noto,lo presenta come un interlocutore rispettabile. Londra. E’ già venuto in Inghilterra almeno cinque volte, Tariq Ramadan. Ora il controverso professore svizzero, che si muove nell’alveo dei Fratelli musulmani (è anche nipote del fondatore), che ha l’abitudine di definire gli attentati terroristici semplici "interventi", che condanna gli attacchi ma li correda sempre con qualche giustificazione, che il terrorismo lo chiama "resistenza", ha in mano l’invito per varcare la frontiera britannica un’altra volta. Dovrebbe arrivare il 24 luglio, a poco più di due settimane dal primo attentato suicida della storia della Gran Bretagna, grazie alla munificenza dell’Association of chief police officers (Acpo), un’organizzazione che fa consulenza alla polizia inglese e ne controlla gli standard professionali, e della stessa Scotland Yard. Provengono infatti da loro i fondi che sono stati donati al Da’watul Islam – una delle più importanti fondazioni musulmane d’Inghilterra, nata negli anni Settanta – per organizzare la Conferenza annuale, che si terrà al Centro di cultura islamico di Londra, a due passi da Regent’s Park: s’intitola "The Middle Path" e si rivolge ai giovani della comunità islamica. Ramadan è stato invitato perché "è il commentatore ideale", dicono al Da’watul Islam, per trattare il tema dell’incontro, cioè "la coesione, la tolleranza e il rispetto per gli altri in una società multireligiosa e multiculturale". Al Centro di cultura islamico è giorno di preghiera, nessuno rilascia interviste, ma un signore che sta entrando in moschea s’illumina appena gli si cita il nome dell’intellettuale svizzero- egiziano: "E’ bravo, lui". Il Da’watul Islam ha già mostrato di non avere particolari filtri nei confronti dei suoi convenuti. All’inizio dell’anno ha invitato a una delle sue conferenze Youssef al Qaradawi, il teologo di riferimento dei Fratelli musulmani e la star di al Jazeera che approva gli attacchi suicidi, che dice che l’unico dialogo possibile con gli ebrei è "con la spada e con la pistola", che ha dispensato più di una "fatwa", una tra le più recenti contro gli Stati Uniti, dicendo prima che si devono poi "soltanto" che si possono uccidere gli americani, anche civili, in Iraq. Quella visita aveva fatto scalpore: Qaradawi era stato accolto in pompa magna dal sindaco di Londra, Ken Livingstone, con tanto di conferenza stampa congiunta. La foto dei due insieme, sorridenti e gioviali, è stata riesumata in questi giorni da alcuni blogger inglesi con l’amara scritta: "Caro sindaco, noi non dimentichiamo". Il Sun, il tabloid più letto d’Inghilterra, ha rivelato l’imminente visita di Ramadan, il 12 luglio. "Perché ora, perché qui?", ha chiesto polemico, mettendo la foto di Ramadan in prima pagina, con il titolo: "Bandito negli Stati Uniti per i suoi legami con il terrorismo. Bandito in Francia per i suoi legami con il terrorismo. Benvenuto in Inghilterra alcuni giorni dopo gli attacchi di al Qaida". E con un sottotitolo rivolto a ogni singolo cittadino britannico: "E indovina un po’? Sei tu che stai pagando per accoglierlo". Il columnist del Sun Richard Littlejohn ha scritto un editoriale acidissimo dal titolo: "Pensavo che Ian Blair arruolasse musulmani per la polizia non per al Qaida", corredato da un disegno che ritrae il capo di Scotland Yard con il dito puntato e la scritta: "Al Qaida ha bisogno di te". Il professore ha smentito: "Non è vero che non posso entrare in Francia – ha scritto in un comunicato, in cui ha però ammesso di non avere più accesso agli Stati Uniti – Non è vero che ho avuto contatti con un braccio operativo di al Qaida in Algeria (come ha sostenuto un giudice spagnolo nel 1999). E’ invece vero che ho condannato gli attentati suicidi: l’uccisione di persone innocenti è da condannare". Poi però ha aggiunto: "Dobbiamo capire perché queste persone usano questi modi per ‘resistere’. Per spiegare, non per giustificare"L’Apco, che ha partecipato in misura maggiore rispetto a Scotland Yard all’organizzazione della conferenza, invece, non ha smentito. Anzi. Hannan Gardiner, responsabile della comunicazione, dice al Foglio, nel suo luminoso ufficio in Victoria Street: "Non ci vediamo nulla di male in questa visita. Il professor Ramadan non è né bandito dall’Inghilterra né ritenuto illegale e ha credito presso i giovani musulmani. Per questo è un interlocutore ideale". Gardiner conferma che l’Apco ha fornito fondi al Da’warul Islam per il valore di "6 mila sterline", circa 9 mila euro, "e non ha nulla da recriminare nell’aver dato il suo sostegno a un incontro che promuove il dialogo". Neppure a Scotland Yard smentiscono. Helen Kennedy, dell’ufficio stampa della Metropolitan Police, dopo un iniziale smarrimento – "Ramadan chi?" – dice al Foglio che "non ci sono dichiarazioni ulteriori" rispetto a quelle rilasciate da Ian Blair, tranne una rettifica sull’ammontare della cifra donata: 1.500 sterline, non 3 mila, come aveva detto Blair. In un’intervista alla London Radio della Bbc, il capo della polizia ha spiegato di essere "divertito" dalla polemica – "Con Littlejohn berrò un bicchiere di vino alla salute di questa vicenda", ha scherzato – e ha poi aggiunto: "Sono dell’idea che i nemici dei miei nemici siano miei amici. Ramadan ha costantemente denunciato i fatti avvenuti in giro per il mondo. Non sono un suo sostenitore: ha una visione della situazione in Palestina e in Iraq che trovo difficile da accettare e offensiva (…). Ma il ragazzo è venuto qui per anni e se dice, ed è quello che voglio che dica e sono sicuro che lo farà, che ciò che è accaduto qui a Londra è scellerato e totalmente non-islamico, sarà una voce utile da ascoltare per i giovani in Inghilterra". Due comandanti della polizia intervistati dal Foglio a Trafalgar Square, durante la veglia di commemorazione a una settimana dall’attentato, hanno opinioni differenti. Il primo, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha definito Ramadan "un estremista che non dovrebbe avere diritto di parola nel nostro paese". Il secondo, invece, Bob Broadhurst, dice che "forse questo non è il momento giusto per invitare Ramadan", anche perché ci sono molti che sostengono che "è un terrorista", ma "se promette di dire parole che aiutano il dialogo e a favore dell’islam moderato, perché non farlo venire?". La tolleranza nei confronti di Ramadan e dei Fratelli musulmani è diventata ancora più difficile da accettare ieri, quando il ministero dell’Interno dell’Egitto ha fatto sapere di aver arrestato Magdi el Nasher, lo studente di chimica di 33 anni ricercato a Leeds in connessione all’attacco di Londra. I dubbi sull’atteggiamento adottato dal governo inglese nei confronti degli islamici radicali sono sempre più opprimenti. Charles Clarke, ministro dell’Interno, è corso ai ripari. L’Home Office sta preparando un pacchetto di misure di sicurezza che prevede il divieto automatico d’ingresso ai religiosi islamici che sono stati banditi o dagli Stati Uniti o dall’Unione europea: la priorità di queste nuove leggi è impedire qualsiasi forma di "incoraggiamento, elogio o sostegno" alle azioni terroristiche. Al momento la visita di Ramadan a Londra è confermata. A pagina 4 un articolo di Fiammetta Venner tratto dal Wall Street Journal spiega perché concedere credito ai Fratelli Musulmani come interlocutori sarebbe per l'Occidente un grave errore. Gli attentati di Londra non hanno sorpreso nessuno, eccetto forse il ministro dell’Interno, Charles Clarke, che ha dichiarato che "sono semplicemente piovuti dal cielo". Tuttavia è stato proprio per evitare questo tipo di tragedie che la Gran Bretagna ha accettato per tanti anni di offrire asilo a jihadisti di tutto il globo. Algerini della FIS e partigiani del GIA, ammiratori dichiarati di Osama bin Laden, tutti trovavano in Inghilterra un comodo rifugio. Ed è dall’Inghilterra che i predicatori islamici invocavano ufficialmente il jihad. Tutto ciò in nome della libertà di espressione, e anche – come ci è stato detto – affinché i servizi segreti britannici potessero tenerli d’occhio. Una sorta di patto in virtù del quale gli jihadisti avrebbero risparmiato la Gran Bretagna in cambio di un rifugio tranquillo da cui ordire le loro trame contro altri paesi. Dopo l’11 settembre questa tregua ad alto rischio è stata criticata aspramente. Le autorità inglesi sostengono di essere diventate meno tolleranti, ma ogni volta che viene arrestato uno jihadista, inevitabilmente finisce per essere rimesso in libertà. Le scelte tattiche dell’Inghilterra A una settimana di distanza dagli attentati del 7 luglio, sappiamo che le bombe che hanno fatto 52 vittime sono state portate da quattro giovani pachistani nati e cresciuti in Inghilterra. Non sappiamo esattamente chi li ha aiutati o chi li ha ispirati, o chi altri potrebbe essere coinvolto. E molte domande ancora più importanti restano senza risposta. Per esempio, perché c’è voluto più di un anno prima che i servizi di controspionaggio inglesi arrestassero Abu Qatada, assiduo frequentatore e veemente predicatore della moschea di Finsbury Park, nonché fidato complice di Osama bin Laden a Londra? Perché gli assassini del gruppo di terroristi algerini GIA non sono stati estradati in Francia oppure in Algeria, come richiesto da questi paesi? Come mai Mohamed al Guerbouzi, sospettato di aver partecipato all’attentato di Casablanca nel 2003, malgrado la richiesta di estradizione avanzata dal Marocco vive libero nel Regno Unito? Le scelte tattiche fatte in questi ultimi mesi in Inghilterra sembrano indicare un cambiamento di rotta. Mentre gli jihadisti più attivi restano sottoposti a sorveglianza, sembra che le autorità britanniche sperino che il movimento salafita riformista, guidato essenzialmente dai Fratelli musulmani, si opponga al movimento salafita jihadista. Quindi Abu Qatada non può più lanciare il suo messaggio dalla moschea di Finsbury Park, dopo che le autorità hanno appoggiato un colpo di mano da parte dei Fratelli musulmani, che attualmente la controllano, e che hanno dato già prova di notevoli doti di strategia e di marketing appendendo sulla strada uno striscione rassicurante: "Un nuovo inizio per la moschea". Da quel momento tutti gli articoli dei giornalisti più giovani parlano con entusiasmo di una moschea rinnovata, controllata da "un movimento musulmano moderato". Ma la manovra inglese resta una scommessa rischiosa. Infatti, anche se i Fratelli musulmani non sono fanatici assetati di sangue, sono tutt’altro che moderati. A lungo termine potrebbero rivelarsi più pericolosi di un pugno di jihadisti che l’Inghilterra avrebbe potuto estradare o arrestare se l’avesse voluto. Anche se indossano quasi sempre un abito occidentale anziché una jellabah e sanno come parlare ai mass media e rassicurarli in merito alle loro intenzioni pacifiche, i Fratelli musulmani portano avanti un’impronta fondamentalista e politica dell’islam che è tipica dell’islamismo più intransigente. Basta vedere quello che ha fatto nel Sudan il regime ispirato dai Fratelli musulmani. Il loro progetto di conquista attraverso un’islamizzazione graduale minaccia ormai di destabilizzare diversi paesi arabi musulmani, impedendo qualsiasi cambiamento democratico. Se dovessero prendere il controllo dell’Egitto o della Siria, vi è da temere un drammatico riassetto dell’ordine mondiale. La loro paziente attesa di un’islamizzazione graduale ha spesso spinto i membri più impazienti a compiere azioni violente, come Ayman al Zawahiri, il numero due di al Qaida e probabile ispiratore degli attentati dell’11 settembre 2001. La faccia buona del problema Se alcuni dei Fratelli musulmani sembrano in completo disaccordo con l’opzione jihadista abbracciata da altri Fratelli, colpisce notare come i più moderati traggano vantaggio dalla paura che diffonde ogni attacco terrorista. Poiché sostengono di rappresentare una "giusta via di mezzo" tra l’Islam terrorista, che condannano, e l’Islam riformista, che combattono, non di rado i politici e gli intellettuali guardano a loro con speranza, al punto da favorire i loro progetti fondamentalisti. Si finisce così per aggiungere a un male – il terrorismo – un altro, non meno pericoloso: il fondamentalismo politico. Ed è esattamente quello che accade a Londra. Sicuramente la moschea di Finsbury Park si è rifatta una facciata, ma alla Fondazione islamica – un istituto islamico vicino ai Fratelli musulmani e che ha ricevuto persino la visita del Principe Carlo – si insegnano ancora le idee di Sayyd Qutb, il più eminente pensatore del movimento. Gli scritti e gli insegnamenti di Qutb hanno giustificato l’uccisione di "tiranni apostati" e ispirato Osama bin Laden e gli assassini di Anwar Sadat. Ken Livingstone, sindaco laburista di Londra, è felice di mostrarsi in pubblico a fianco di Youssef al Qaradawi, il teologo preferito dei Fratelli musulmani. Qaradawi, predicatore di successo, spiega come picchiare la propria moglie e dichiara appassionatamente che "non può esserci dialogo tra noi e gli ebrei, se non a colpi di spada e di fucile". In una fatwa, ha persino approvato gli attentati suicidi, fornendo una giustificazione a Hamas, il braccio armato dei Fratelli musulmani in Palestina, per le aggressioni contro Israele. Tuttavia i Fratelli musulmani godono ancora di una posizione di tutto rispetto in Inghilterra. Il Guardian ha appena pubblicato una lettera di Tariq Ramadan, leader della campagna di immagine dei Fratelli musulmani, in cui si esprime una ferma condanna degli attentati londinesi, salvo chiedere, nella frase successiva, maggiore tolleranza verso l’autentico Islam – da intendersi come il fondamentalismo islamico. Ancor meglio, ha in programma di intervenire a una conferenza da tenersi a Londra entro questo mese, conferenza finanziata in parte dalla Polizia metropolitana. Le parole del signor Ramadan sono molto caute in questi giorni, anche se ogni tanto abbassa la guardia e si lascia sfuggire il termine "intervento" per descrivere gli atti terroristici di New York e di Madrid, o "esecuzione", riferendosi all’assassinio di Sadat. E sul Mejliss.com forum, un sito web frequentato da molti seguaci di Ramadan, la condanna degli attentati di Londra è tutt’altro che unanime. La Gran Bretagna viene descritta come "il cagnetto degli Stati Uniti… in Iraq". E i visitatori del sito preferiscono credere a una trama "sionista" piuttosto che ammettere la responsabilità islamica: "Al Qaida è una mascheratura, in realtà… significa Cia nel linguaggio sionista". Questa è la mentalità delle persone che subiscono l’influenza dei Fratelli Musulmani – e non c’è da sorprendersi se si pensa alle idee ampiamente pubblicizzate dei leader dei Fratelli in Europa. Poi all’improvviso la sorpresa Quando si tratta di questioni musulmane, le autorità britanniche tendono a rivolgersi a Ahmed al Rawi, una delle persone responsabili della Federazione delle Organizzazioni Islamiche in Europa, la struttura che rappresenta i Fratelli musulmaninel Vecchio continente. Vive in Inghilterra dal 1975, da quando è stato condannato a morte dal regime di Saddam Hussein. Questo non gli impedisce di approvare il jihad contro le forze anglo-americane in Iraq. Nell’agosto del 2004 ha emesso un parere con cui autorizzava qualsiasi iracheno o palestinese a uccidere inglesi, americani o israeliani. Di fronte alla stampa sconcertata, che l’aveva sempre lodato e lo considerava l’incarnazione dell’islam liberale, si è giustificato paragonando le truppe britanniche di occupazione in Iraq all’invasione nazista in Europa. Sembra quindi illusorio, se non suicida, contare sui Fratelli musulmani per combattere l’estremismo islamico. Tony Blair si dichiara sconvolto da "questa terribile perversione dell’autentica fede islamica" che rappresenta lo jihadismo. Ma il suo governo continua ad appoggiare i Fratelli musulmani nel Consiglio musulmano d’Inghilterra, distruggendo così qualsiasi speranza di veder emergere in Europa un Islam illuminato e tollerante. Anche in Francia e forse in America E la Gran Bretagna non è la sola a scommettere sui Fratelli musulmani. In Francia, Nicolas Sarkozy segue esattamente la stessa politica sin da quando ha permesso ai Fratelli musulmani dell’Unione delle Organizzazioni Islamiche Francesi, UOIF, di entrare a far parte del Consiglio francese per la fede musulmana. Negli Stati Uniti, diversi intellettuali consigliano all’Amministrazione Bush di allacciare legami più stretti con i Fratelli musulmani, in previsione di un cambiamento di regime in Egitto, ed eventualmente di concludere un patto che permetterebbe di ridisegnare la mappa politica del Maghreb e del Mashrek senza lanciare operazioni militari come è avvenuto in Iraq. Secondo la stampa araba e secondo le mie fonti personali, sono già stati presi contatti con Qaradawi, anche se questi non può mettere piede negli Stati Uniti a causa dei suoi legami con le organizzazioni terroristiche. Se ciò fosse confermato, ne consegue che alcuni paesi europei e gli Stati Uniti si stanno impegnando in una delle scommesse più pericolose della storia. Infatti, se l’ascesa dei Fratelli musulmani promette un’islamizzazione radicale e fondamentalista che potrebbe destabilizzare il mondo, come potrebbe costituire un antidoto per il terrorismo? Gli attentati di Londra non provano a sufficienza che questa scelta non ha possibilità di successo? I leader che vogliono seguire questa strada dovrebbero ricordare le parole di Churchill a Chamberlain: "Avevate la scelta tra la guerra e il disonore… avete scelto il disonore e avrete la guerra". Sempre a pagina 4 Carlo Panella conclude il suo viaggio nei luoghi comuni sulla guerra al terorismo, nell'articolo che riportiamo: SOLO LA PACE IN PALESTINA SCONFIGGE IL TERRORISMO L’avvicinarsi del ritiro israeliano da Gaza, la morte di Yasser Arafat, i primi mesi della leadership di Abu Mazen, si sono incaricati in abbondanza di ridicolizzare questa analisi politically correct, ossessivamente ripetuta dopo l’11 settembre 2001 (anche perché riversava su Israele buona parte di responsabilità delle Twin Towers). Il terrorismo islamico infatti non è affatto nato con il conflitto arabo-israeliano – che semmai è una conseguenza delle sue profonde radici religiose – non trova in quello scenario neanche le sue motivazioni formali (Osama bin Laden ne parla solo come uno dei tanti fronti del suo jihad, mai il principale) e non subirà nessuna flessione quando – mai troppo presto – vi sarà una pace tra lo Stato di Israele e il futuro Stato di Palestina. Lo scontro di civiltà da cui il terrorismo islamico è scaturito non è deflagrato con la nascita di Israele, ma con la risposta che una parte della dottrina politica islamica ha dato al trauma della fine del califfato ottomano dopo la Prima guerra mondiale. Il terrorismo islamico altri non è che la forma militare con cui una parte – consistente, anche se non maggioritaria – tenta di imporre alla umma musulmana, innanzitutto un ritorno al "califfato delle origini". La lotta contro lo Stato di Israele è stato solo il primo momento cronologico, ma marginale, in cui questa grande "rinascita politica dell’islam" (i cui ideologi sono stati Rashid Rida, Hassan al Banna, Sayyed Qurb, Sayyed Mawdudi, l’ayatollah Ruollah Khomeini il pragmatico Abdulaziz ibn Saud) si è applicata. Ma il vero punto di svolta del fondamentalismo islamico emerge altrove, prescindere da Israele: in Iran con la rivoluzione islamica del 1979 e contemporaneamente in Pakistan con le riforme islamiste di al Mawdudi e Zia ul Haq. Il momento di emersione del terrorismo islamico, poi, è stato l’Iran delle lotte fratricide tra musulmani dopo la rivoluzione (là dove viene inventata la tecnica dei kamikaze, l’11 settembre 1981, a Tabriz), l’Egitto con l’attentato a Anwar al Sadat del 6 ottobre 1981, il Libano della guerra civile dei cristiani, drusi, sunniti, sciiti e l’Olp di Arafat, l’Algeria degli anni Novanta e solo a partire dal 6 aprile 1994, con l’attentato di Afula (19 morti), Israele. Ma quell’attentato palestinese del 1994, non è per la pace, ma contro la pace possibile. E’ "contro" gli accordi di Oslo, è "contro" il percorso comune delineato da Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, prefigura l’intera strategia che oggi è di Hamas, di Hezbollah e anche di una grande parte di al Fatah (le Brigate dei martiri di al Aqsa), che vede la possibilità solo di siglare una hudna con Israele, una tregua, finalizzata non alla pace, ma unicamente ad accumulare forze per rilanciare la guerra per distruggere lo Stato degli ebrei. La pace tra palestinesi ed ebrei disarmerà quindi solo le bombe di quella componente palestinese minoritaria, che ha scelto il terrorismo per liberare la "terra". Ma avrà l’effetto sicuro di armare ancora più il cuore e la mano dei milioni di fondamentalisti che credono che non i Territori vadano liberati, ma che Israele debba essere distrutta. Uno Stato, un grande paese islamico, l’Iran, ancora oggi apre la parata – stile Piazza Rossa – con cui celebra ogni anno l’anniversario della rivoluzione islamica dell’11 febbraio 1979, con la parola d’ordine: "Distruggere Israele". Quello stesso Stato finanzia, arma, dirige militarmente il "partito fratello" di Hezbollah che è determinante per i rapporti politici in Libano. Nessun compromesso, nessun accordo, può spazzare via quella parola d’ordine, scritta a parole di fuoco nello statuto di Hamas. D’altronde, per comprendere questa drammatica realtà, basta guardare a un fenomeno sempre ignorato – colpevolmente – dai propugnatori di questa tesi, e subito si comprende quanto sia irreale. A oggi, non meno di mille sono le vittime straziate da decine di attentati islamici all’interno di moschee musulmane (per non parlare delle decine di migliaia di fellaha, poveri contadini algerini, sgozzati dal Gia e similari). Attentati di musulmani contro fedeli musulmani, nel momento della preghiera, nel luogo sacro del raccoglimento dinnanzi ad Allah in Iraq, in Pakistan, in Bangladesh, in Afghanistan, in Algeria. In queste terribili, oscure imprese sta il Dna più profondo del terrorismo islamico. Un terrorismo che ha i suoi nemici nei cristiani, negli ebrei, ma anche e soprattutto nei musulmani "apostati", che stermina senza pietà.
IL TERRORISMO ISLAMICO NASCE DALLA MISERIA Per fortuna questa castroneria tende sempre più a scomparire dalle analisi del terrorismo islamico. In Europa ha resistito con forza sino all’11 marzo 2004, alla strage di Atocha, a Madrid. Quel giorno, quell’efficacissima rivendicazione "Voi amate la vita, noi la morte", ha spazzato via anche questo misero rigurgito economicista. Anche perché, alla evidente constatazione di un terrorismo islamico che ha il suo centro più vitale nel paese arabo col più altro standard di vita e reddito, l’Arabia Saudita dei petrodollari, che è assente solo e unicamente nei paesi musulmani più poveri (Mauritania, Mali, Niger, Senegal), si sono sommate le analisi sulla estrazione sociale di centinaia di kamikaze, sempre più spesso appartenenti alla middle class araba, anche ben radicata nel Londonistan e altrove in Europa. Nessun rapporto col colonialismo (in Algeria il terrorismo islamico combatte il più quotato governo anticoloniale dell’Africa), con lo sfruttamento economico, con la povertà. Semmai, un perverso rapporto inverso. Le organizzazioni terroristiche infatti hanno dimostrato di essere eccellenti elargitrici di reddito. L’attività terroristica in Palestina, così come in Iraq ha mostrato una straordinaria versatilità in quel tipo di economia che in Italia chiamiamo mafiosa. E’ un attività molto redditizia, come si nota nella fiorente industria dei rapimenti – che in Iraq era stata fondata dalla polizia di Saddam Hussein ed è preesistente alla guerra – nel commercio dell’oppio dei Talebani e nei vari racket che taglieggiano le città palestinesi. Per di più una attività che attira ingenti finanziamenti di "fondazioni islamiche caritatevoli" (molte saudite) e consolida gruppi dirigenti facoltosi. Il terrorismo islamico, insomma, è anche un buon business. (4. fine) Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.