Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Testata:Il Giornale - Il Foglio Autore: R. A. Segre - Gian Micalessin - Anna Barducci Titolo: «I chiodi dei coloni - Sharon, bolocco totale per Gaza, fuori gli ultrà - Ecco come governo e settler si preparano al D-Day del ritiro»
IL GIORNALE di venerdì 1 luglio 2005 pubblica in prima pagina l'editoriale di R. A. Segre "I chiodi dei coloni", che riportiamo.
Le notizie e le immagini che giungono dal Medio Oriente (dove gli hezbollah libanesi hanno riacceso la tensione con Israele con un sanguinoso attacco ad una loro postazione seguita da una immediata reazione aerea di Gerusalemme) non (...) corrispondono alla realtà della situazione. Se si estrapolano alle loro ultime conseguenze le previsioni spesso catastrofiche mediatiche (non dimentichiamo però che siamo in estate, che in gergo giornalistico si chiama «l’epoca dei cocomeri » per l’usuale mancanza di notizie) la situazione potrebbe essere questa. a) Una guerra civile fra coloni e forze di sicurezza israeliane. b)Unaspaccatura all’interno dell’esercito ebraico fra obbedienti e ribelli agli ordini del governo. c) Una crisi di governo con ministri che rifiutano il loro sostegno a Sharon. d) Un rilancio della rivoluzione khomeinista in chiave anti-israeliana dal Libano come conseguenza diretta dell’elezione di un «radicale estremista» alla presidenza dell’Iran. Il peggio può sempre naturalmente succedere, ma: 1) il 55 per cento dei coloni ha già accettato di evacuare pacificamente Gaza in compenso a 300mila dollari per famiglia, il che rompe il fronte del rifiuto. Gli attivisti contrari all’evacuazione hanno commesso un errore madornale bloccando il traffico e soprattutto spargendo chiodi sulle strade. In Israele si possono perdonare gli errori politici ed economici del governo. Mai chi ti tocca l’automobile o ti fa restare per ore in coda sotto il sole. Fra gli scontri che la polizia ha dovuto affrontare mercoledì scorso c’erano anche quelli fra automobilisti infuriati e militanti antievacuazione.Èstata l’ira di questi israeliani che si vedono obbligati a cambiare gli pneumatici delle loro macchine a permettere al governo di dichiarare Gaza zona militare con un anticipo di due mesi sulla data dell’evacuazione bloccando l’accesso ai sostenitori dei coloni ma soprattutto alle Tv che sono, dei coloni, l’arma più importante. 2) Il soldato che si è rifiutato di obbedire agli ordini di distruggere una casa vuota dei coloni è un giovane di leva cresciuto in una colonia, di origine americana molto sensibile al «politically correct ».Nonrappresenta il nerbo dell’esercito che sarà impegnato nell’evacuazione e che è formato di riservisti. 3) Rottura nel governo. Se esso non si è ancora rotto con tutte le crisi che Sharon ha dovuto affrontare, difficilmente entrerà ora in crisi. La sorte politica del primo ministro sarà determinata dal «dopo evacuazione», non dal «prima». Gaza è una patata bollente che tutti i politici israeliani sono ben lieti di lasciare nelle mani del primo ministro. 4) Rilancio della rivoluzione khomeinista dal Libano contro Israele. Rappresenterebbe un regalo al fronte internazionale antiterrorista che il presidente Bush cerca con difficoltà di tenere in piedi e di attivare. Poiché Israele, dopo il suo ritiro dal Libano, ha dalla parte sua l’Onu, il nuovo governo libanese, quello americano mentre la Siria che sosteneva in passato gli hezbollah cerca ora di evitare gli scontri,una sua reazione militare agli attacchi dei partigiani dell’Iran sarebbe molto più facile che in passato. Cesare diceva agli ambasciatori di Vercingetorige: «Gli dei accecano coloro che vogliono perdere». Forse gli hezbollah e il nuovo presidente iraniano non hanno mai letto il De Bello Gallico. R.A. Segre A pagina 13 la cronaca di Gian Micalessin "Sharon, bolocco totale per Gaza, fuori gli ultrà" Sono momenti difficili, ma serviranno a garantirci tempi migliori». La dichiarazione dai toni liberatori di Ariel Sharon arriva al termine di una giornata che per il primo ministro israeliano è stata l'equivalente di una passeggiata su un campo minato. Per sette lunghissime ore Arik ha temuto di ritrovarsi assediato su tre fronti. Allo scontro sul ritiro da Gaza con un'estrema destra sempre più violenta e aggressiva e alle battaglie sul confine settentrionale con i guerriglieri libanesi sciiti di Hezbollah s'era aggiunta,nel pomeriggio, anche la misteriosa vicenda di due soldati dati per scomparsi o uccisi nel cuore di Balata, il campo profughi di Nablus, culla e roccaforte delle Brigate Al Aqsa. Una notizia che i comandi militari hanno smentito e dichiarato assolutamente priva di fondamento soltanto dopo un interminabile pomeriggio di accertamenti. La situazione politicamente più complessa resta dunque quella di Gaza. Ad aiutare il premier israeliano hanno contribuito, ieri mattina, le drammatiche foto pubblicate dai quotidiani israeliani del 16enne palestinese Khaled El Astal circondato da un gruppo di estremisti ebraici decisi a Le immagini del ragazzo insanguinato, protetto dai militari e poi ricoverato in gravi condizioni in un ospedale israeliano, fanno scattare un sentimento di rabbia e ripulsa e contribuiscono a mitigare il sostegno per la battaglia dei coloni. E in mattinata le interviste di condanna rilasciate nella serata di mercoledì da Sharon campeggiano sulle prime pagine di tutti i quotidiani. «Quanto è successo mi fa indignare, quell'aggressione - dichiara ad Haaretz il primo ministro - è stata un atto selvaggio linciarlo. volgare ed inaccettabile, queste azioni devono venir fermate, non possiamo permettere che un piccolo gruppo di delinquenti imponga il regno del terrore». Poi sfruttando l'emozione e lo sdegno collettivo, il premier e i suoi ministri impongono la chiusura totale di Gaza, la dichiarano zona militare, danno ordine di procedere allo sgombero del Palm Beach Hotel, l'albergo abbandonato occupato da 150 coloni e ribattezzato Maoz Hayam, fortezza sul mare. L'operazione di sgombero scatta alle due del pomeriggio. Fino a quell'ora la totale chiusura della Striscia e la sua trasformazione in zona militare viene giustificata con la necessità di fermare i manipoli di estremisti che starebbero tentando di unirsi ai coloni presenti sul posto. In verità i commandos della polizia hanno già circondato il Palm Beach Hotel e stanno trasportando lunghe scale fin sotto il suo perimetro. Dentro le famiglie dei coloni si preparano a resistere. Mentre i ragazzini danno fuoco ai pneumatici i genitori s'incatenano gli uni agli altri in catene umane che si allungano lungo le varie stanze dell'hotel diroccato. Prima dell'irruzione dei poliziotti il portavoce dei 150 «barricaderos» esclude qualsiasi violenza e promette che i coloni si limiteranno alla resistenza passiva. Da quel momento bastano dieci minuti per concludere lo sgombero. I 150 fra padri, madri e torme di figlioletti aggrovigliati in un intrico di mani e piedi vengono separati dalle forze di sicurezza e trascinati sui pullman in attesta. Il tutto tra i pianti dei bimbi e le urla delle donne che una dopo l'altra ripetono il grido di battaglia negli insediamenti minacciati. «Gli ebrei non deportano gli ebrei». «Li abbiamo portati via tutti, non c'è dubbio si stavano preparando a un lungo assedio - dichiara più tardi il generale Dan Harel comandate dell'esercito nella regione di Gaza - abbiamo trovato finestre sigillate, scorte di pneumatici e bottiglie molotov, lì dentro s'era asserragliato un gruppo di teppisti incuranti della legge e senza rispetto per la vita umana». Intanto non s'interrompe la battaglia sul fronte nord iniziata mercoledì con i durissimi scontri costati la vita a un giovane caporale L'esercito e gli elicotteri israeliani hanno continuato ieri a contrastare le infiltrazioni dei guerriglieri sciiti nella zona delle fattorie di Sheeba, il fazzoletto di terra considerato da Hezbollah, nonostante il parere contrastante delle Nazioni Unite, parte integrante del territorio libanese. IL FOGLIO pubblica a pagina 1 dell'inserto l'analisi di Anna Barducci "Ecco come governo e settler si preparano al D-Day del ritiro": Roma. L’avvio del piano di ritiro dai territori palestinesi si avvicina e i "settler" continuano a protestare, chi passivamente e chi più attivamente. L’esercito israeliano ha dichiarato la Striscia di Gaza zona militare inaccessibile, vietando l’ingresso ai non residenti, per evitare che gruppi estremisti possano provocare scontri o tensioni. Il ministro della Pubblica sicurezza, Gideon Ezra, ha detto ieri alla radio israeliana, che saranno perseguiti secondo la legge i responsabili per il linciaggio di un palestinese di sedici anni, protetto da un soldato dell’IDF che aveva fatto scudo con il proprio corpo. Il premier Ariel Sharon ha spiegato di essere "disturbato da questo tipo di violenze" e ha accusato il movimento estremista illegale Kach, i cui membri arrivano da fuori Gaza. Sharon è comunque ottimista. "Non abbiamo perso la retta via – ha detto – queste sono difficoltà momentanee, che dobbiamo affrontare e lo faremo nella maniera più rigorosa". I mitnachalim (settler, in ebraico) si sentono traditi. Sì, protestano. E’ la cosa più normale, ma devono utilizzare – dice Yossi Klein Halevi, analista politico dello Shalem Center – strumenti legali. I settler sono obbligati a lasciare le proprie case, la sinagoga dove hanno trascorso gli shabbat e gli Yom Kippur di quasi tutta una vita, abbandonare il sogno di Eretz Israel. E’ una lacerazione interna lasciare le terre ancestrali del popolo ebraico. Sono "dolorose concessioni", lo ha detto il premier stesso. Si può camminare per i Territori con una Bibbia in mano e ritrovare ogni luogo citato nelle Sacre scritture. I mitnachalim hanno costruito le proprie case, hanno mandato i propri figli nell’atzvah (esercito), alcuni di loro sono morti e le loro tombe si trovano a Gaza, la terra che dovranno lasciare, spostando i corpi e riprovando per la seconda volta il dolore del lutto. Non c’è quindi da stupirsi se ci sono proteste e nemmeno c’è da drammatizzare quel che è successo finora. Il problema però sorge dai movimenti di estrema destra. Qualche sera fa, un esaltato ha buttato dell’olio e dei chiodi in una strada nella capitale. Dormire per terra nella via Ben Yehuda, nel centro di Gerusalemme, è una protesta legale, fermare una strada di città, dove le macchine vanno a bassa velocità, pure. Gli israeliani, come in ogni democrazia, hanno domande e dubbi su come affrontare la situazione che si sta prospettando e non sono affatto contenti che un gruppo di ragazzi blocchi un’autostrada. "Si tratta di mettere a repentaglio la nostra sicurezza pubblica", dice al Foglio Yossi Klein Halevi. "La battaglia adesso non è sul piano di ritiro, ma sull’immagine e sul futuro d’Israele e in nessuna circostanza possiamo ammettere che delle gang senza legge prendano il controllo della situazione – ha detto Sharon – I cittadini d’Israele devono capire il pericolo e ogni misura deve essere presa per mettere fine a questi scontri". Per Halevi, il messaggio del premier è significativo. "Stavolta non è una colomba, come Shimon Peres, o qualche altro laburista a decidere, ad attuare un piano che influenza le vite dei settler. E’ il capo del Likud, un uomo di destra, votato da loro. Solo lui riuscirà a riportare l’ordine". Sui numeri dei mitnachalim che vogliono lasciare Gaza c’è ancora incertezza. Si pensa che siano un terzo su otto mila. Probabilmente si arriverà anche a più della metà. Le forze di sicurezza temono attentati in Israele da parte dei gruppi estremisti. Non è ancora chiaro se Sharon approverà lo strumento eccezionale delle detenzioni amministrative. L’IDF si trova in un momento difficile. Da un lato, ci sono i casi di alcuni refusenik dell’esercito che appoggiano lo slogan "lo transfer" (no alla deportazione, ndr) dei mitnachalim, dall’altro le misure militari da attuare per prevenire gli attacchi terroristici delle fazioni armate palestinesi e i lanci di Qassam. In questi ultimi dieci giorni, tre israeliani sono stati uccisi in Cisgiordania, accrescendo ulteriormente il malcontento dei settler. Mentre da nord, gli Hezbollah, che finanziano il gruppo terroristico Hamas, sperando di far passare il ritiro per una "seconda libanizzazione", continuano ad attaccare. Shlomo, un settler, racconta al Foglio come si sta preparando per il D-day. "La mia è una protesta passiva. Ho messo una bandiera arancione sulla mia macchina e quando arriverà il momento mi metterò per terra davanti ai bulldozer. Altri miei amici sono più attivi e partecipano al blocco dei veicoli. C’è molta confusione e incertezza, non sappiamo che cosa accadrà, ma è certo che non sarà niente di buono. Molti però si sentono sicuri e determinati. Sostengono che riusciranno a bloccare il disimpegno. Esistono molti tipi di mitnachalim. Ci sono coloro che hanno deciso di evacuare, altri continuano la loro vita normalmente. Molti miei amici hanno lasciato il lavoro per andare ad appoggiare i settler nei Territori. Io vivo in un avamposto illegale con cinque ragazzi. Di notte facciamo i turni di guardia. Non abbiamo acqua potabile e nessuna comodità. E’ dura, siamo tutti ragazzi. Ma non possiamo permettere che degli ebrei siano evacuati e trasformati in rifugiati. Non solo, i gruppi armati palestinesi prenderanno il sopravvento. E’ semplicemente immorale". Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Giornale e Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.