Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Simpatia per il diavolo fondamentalista al mensile cattolico piace l'Iran
Testata: Jesus Data: 29 giugno 2005 Pagina: 1 Autore: Alberto Comuzzi Titolo: «A cavallo tra passato e futuro»
Nel numero di giugno del mensile cattolico Jesus è pubblicato un articolo di Alberto Comuzzi intitolato "A cavallo tra passato e futuro". Un'analisi, non proprio obiettiva, su un paese che da sempre finanzia i maggiori gruppi terroristici Hezbollah e Hamas, che non ha mai rinunciato all'arma nucleare, che odia tutte le democrazie con particolare riguardo per Stati Uniti ed Israele e nel quale le donne non possono uscire dopo il tramonto perchè altrimenti sono definite "scostumate".
L'Iran è oggi il maggior pericolo per la stabilità e la sicurezza di tutta l'area mediorientale e la recente elezione di un ultra conservatore fra i più radicali, Mahmud Ahmadinejad, non può che aumentare tale minaccia.
Un paese che però suscita le simpatie del giornalista. ...."Per i segnali di apertura che le autorità hanno lanciato nei confronti dei crstiani".
Oltre ad un evidente errore di valutazione " è praticamente scontata l'elezione di Rafsanjani alla presidenza" il giornalista ravvisa che "in Iran è difficile trovare segni di povertà, il popolo è ospitale, la Repubblica dell'Iran riconosce libertà di culto anche se le religioni che non siano quella islamica non possono mostrare pubblicamente la propria fede, il governo di Teheran (davvero encomiabile!!) ha invitato le maggiori organizzazioni di pellegrinaggi italiani a organizzare viaggi nel Paese" ecc.....
Riportiamo l'articolo in quanto ogni ulteriore commento è superfluo. L'ala lucente dell’Airbus 320 plana, alle prime luci di un’alba rossastra, sulla pista di Teheran. La città è ancora addormentata, ma dentro l’aeroporto è un brulicare di tonache nere svolazzanti (il chador che tutte le impiegate dello Stato sono tenute a indossare), che acuiscono il contrasto con i variopinti colori di giganteschi poster pubblicitari. A causa dell’embargo, in Iran, da oltre vent’anni, non entrano beni industriali strategici occidentali; il governo iraniano ha così deciso di rifiutare gli altri prodotti di largo consumo, a cominciare dall’universale Coca-Cola. È ben presente, però, la martellante pubblicità, simbolo e reale ancella del più classico consumismo occidentale. Non c’è sala d’aspetto d’aeroporto, viale o piazza di città iraniana in cui non campeggi, nitido e gigantesco, qualche invito a consumare Zam Zam Cola o Zam Zam Orange, versioni islamiche e buone imitazioni, nel gusto e nella colorazione, delle più note Coca-Cola e Fanta.
Strano Paese l’Iran, dove ti fai subito un nemico se non fai capire al tuo interlocutore che hai ben presente che lui, con il mondo arabo, non ha nulla a che vedere. «Noi discendiamo dai Parti e dai Medi», ti ripetono ossessivamente, «che con gli arabi non hanno nulla da spartire». Strano Paese l’Iran, dove coesiste una legislazione che consente di avere quattro mogli e una quinta pro tempore – con il consenso della prima moglie, però – ma dove non s’è ancora compresa e accettata la differenza tra sindaco, responsabile religioso e giudice, essendo le tre figure e i relativi poteri concentrati quasi sempre in un’unica persona, quella dell’imam (che può essere ayatollah, mollah, califfo o mufti, a seconda delle accezioni e delle storie dei vari Paesi musulmani).
Strano Paese l’Iran, dove i seguaci dell’ayatollah Khomeini perseguono l’ideale storico concreto della città musulmana – incarnato nei valori del nazionalismo, del socialismo e della rivoluzione –, ma dove gli stessi seguaci devono poi fare i conti con i valori altrettanto forti pretesi da una società che spinge verso una distinzione fra religione e Stato, modelli di vita occidentalizzanti, sistema politico basato su istituzioni democratiche.
L’Iran di oggi dà l’impressione d’essere impegnato nella ricerca di una nuova via al capitalismo, però di stampo islamico. In altri termini è come se l’attuale leadership iraniana dicesse: il capitalismo occidentale non ci piace e non lo vogliamo, ma quello che realizziamo noi può stare in piedi. D’altra parte il Paese, dal punto di vista delle risorse naturali, è uno dei più ricchi del mondo: detiene il 9 per cento delle riserve mondiali di petrolio e il 15 per cento di quelle di gas. L’ayatollah Ali Akhbar Hashemi Rafsanjani, attuale presidente del Consiglio delle scelte (un organismo atipico, preposto fra l’altro a dirimere le dispute fra il Parlamento e il potentissimo Consiglio dei guardiani che ha poteri di veto sulle leggi e sugli atti del governo e, soprattutto, che seleziona i candidati alle elezioni), appartiene a un’antica famiglia dell’aristocrazia economica che controlla l’intera produzione di pistacchi del Paese.
Il 56 per cento della produzione mondiale di pistacchi è prodotto nel Rafsanjan, la zona a sud-est del Paese che porta lo stesso nome dell’ ayatollah, e dove opera la Rppc (una gigantesca cooperativa che rappresenta 70 mila coltivatori, aziende di lavorazione e di esportazione del pistacchio). Per capire che cosa significhi controllare la produzione e la commercializzazione del pistacchio in Iran, basti ricordare che, dopo il petrolio e il gas, questa particolare pianta di frutta secca costituisce – assieme alla produzione di tappeti – le maggiori entrate dalle esportazioni del Paese
Nell’imminente tornata elettorale (il 17 di questo mese si vota per eleggere la massima carica dello Stato) è praticamente scontata l’elezione di Rafsanjani alla presidenza. Su di lui, politico pragmatico a capo del partito dei tecnocrati, convergeranno sia una parte dei voti dei riformisti (guidati da Khatami) sia dei conservatori (che fanno capo a Khamenei).
Nonostante la devastante guerra con l’Iraq e i ripetuti terremoti, è difficile notare segni di povertà tra i settanta milioni di iraniani. Girando per le principali città del Paese – dall’antica capitale, Isfahan, alla nuova, Teheran, dalla città giardino di Shiraz (poco distante dalla storica Persepoli) a Yazd (che ospita il tempio del fuoco e le torri del silenzio degli zoroastriani) – non si notano accattoni, né segni di povertà endemica. La capitale Teheran, nonostante sia circondata da imponenti montagne, soffre invece degli stessi mali che affliggono le grandi città dell’Occidente: traffico caotico e inquinamento. I ricchi viaggiano su Mercedes o su fuoristrada giapponesi, le classi medie e piccolo borghesi su Paikan, letteralmente "Freccia" (un modello di vettura anni Sessanta, prodotta da una fabbrica francese nel Paese), le classi meno abbienti usano motociclette di tipo economico in gran parte di marca giapponese.
Agli occhi di un occidentale, talune contraddizioni di questo singolare Paese al confine tra mondo arabo e Oriente asiatico appaiono davvero stridenti. Per esempio: i prodotti di cosmesi femminile, gli abiti e la stessa biancheria intima per signora hanno fatturati ragguardevoli, eppure i manichini nei negozi sono tutti rigorosamente maschili. Le donne possono uscire di casa la sera, ma devono essere accompagnate da uomini. Dopo il calare del sole, le iraniane sono considerate "scostumate" anche se, in gruppo, prendono una boccata d’aria per strada. Eppure le iraniane sono donne molto emancipate: tra le nuove generazioni pochissime non terminano gli studi superiori, moltissime frequentano l’università e quasi tutte parlano fluentemente l’inglese o il francese.
Anche sotto il profilo religioso non mancano le sorprese. Monsignor Ignazio Bedini – originario di Sassuolo, in Emilia, ma da 15 anni vescovo di Teheran e da 42 residente nel Paese – dice che «l’Iran è un Paese di 70 milioni di credenti, dove nessuno si permetterebbe mai d’imprecare contro i santi, i profeti o, meno che meno, di bestemmiare il nome di Dio». Le moschee sono tutte molto ben tenute, ma il venerdì, giorno sacro nell’islam, è difficile stabilire quanti siano i fedeli che le frequentano più per ascoltare il discorso politico dei capi spirituali che per raccogliersi in preghiera.
È comunque vero, come afferma monsignor Bedini, che il popolo iraniano è ospitale e che l’esigua comunità cattolica è rispettata. «La gente ha fede», ribadisce il vescovo, che ricorda come «questa terra è anche biblica». L’antica Persia è citata in diversi libri dell’Antico Testamento (Genesi, Isaia, Esdra, Abacuc, Daniele, Ester, Tobia, Giuditta, Maccabei) e persino nel Nuovo Testamento, dove Matteo descrive i Magi venuti dall’Oriente. In quel Paese si svolgono fatti e vivono re – Ciro, Dario, Serse, Artaserse – che coinvolgono il popolo ebraico. Ciro, nel libro di Isaia (45,1), è chiamato addirittura "messia" per il compito affidatogli da Dio di liberare gli ebrei dalla deportazione di Babilonia. «La Parola si è rivelata anche qui dove nel VI secolo prima di Cristo gli ebrei furono deportati dall’Iraq», ricorda monsignor Bedini.
Il trattamento riservato ai cattolici è garantito anche agli armeni, accolti dopo la persecuzione patita dai turchi che, nel 1915, nel corso del primo grande genocidio del XX secolo, ne sterminarono un milione e mezzo. Altra comunità religiosa presente in Iran è quella dei mazdei, detti anche zoroastriani, il cui numero s’aggira attorno ai 15 mila fedeli. Il mazdeismo era la religione dell’Iran prima della conquista araba e della conversione progressiva all’islam. Nel Paese rimangono solo due isole mazdee, a Kerman e nelle vicinanze di Yazd, oltre ai mazdei insediati da poco a Teheran. Lo scià Reza Pahlevi, negli anni Cinquanta, vietò l’uso delle cosiddette torri del silenzio, luoghi con mura circolari posti sulle sommità di piccole colline con al centro un braciere permanentemente acceso, dove i seguaci del mazdeismo abbandonavano i cadaveri dei propri defunti perché fossero dati in pasto agli avvoltoi. Oggi questa pratica (basata sul principio che «l’uomo, venendo dalla natura, alla natura deve tornare») è permessa solo in India dove la comunità mazdea conta 5 milioni di fedeli.
La Repubblica islamica dell’Iran riconosce quindi libertà di culto, ma non ammette quella religiosa. In Parlamento sono però garantiti cinque seggi alle minoranze religiose: 3 ai cristiani, e uno rispettivamente agli zoroastriani e agli ebrei. Così come tutti gli edifici di culto – che non siano le moschee, ovviamente – non possono affacciarsi su strade, piazze, giardini, ma devono essere racchiusi in spazi non visibili al pubblico; anche i credenti in religioni che non siano quella islamica non possono mostrare pubblicamente la propria fede, che deve essere esternata unicamente all’interno dei propri luoghi di culto. Il musulmano che volesse convertirsi a un’altra religione incorrerebbe in gravi sanzioni, fino alla condanna a morte.
Da questo punto di vista le leggi iraniane in materia di libertà religiosa sono molto precise. Il nunzio apostolico, il vescovo e i sei preti cattolici, uno per le altrettante parrocchie riconosciute in tutto il Paese (4 a Teheran, una a Isfahan e una a Tabriz), sono autorizzati a muoversi, senza avvisare le autorità, esclusivamente solo entro un raggio di 70 chilometri dalla capitale. Il motivo, come spiega il nunzio, monsignor Angelo Mottola, è quello di garantire, da parte delle forze dell’ordine iraniane, la sicurezza ai ministri del culto stranieri. Poco prima della rivoluzione khomeinista del 1979 hanno lasciato il Paese 300 mila cristiani, che oggi sono ridotti a circa 90 mila contando tutte le confessioni. La comunità più numerosa è quella degli armeni ortodossi (circa 60 mila), seguita da quella dei caldei (6 mila) e da quella cattolica latina (poco più di 3 mila persone, tutte straniere, residenti nel Paese il tempo previsto dai contratti di lavoro). I sacramenti più amministrati sono i battesimi di bimbi coreani, italiani e filippini, le nazionalità cui appartengono le tre maggiori comunità di lavoratori stranieri presenti in Iran
Il nunzio ammette che occorre grande equilibrio per non urtare la sensibilità dei leader che oggi reggono l’Iran. «Il compito della comunità cattolica», spiega, «è quello della testimonianza silenziosa. È un periodo non facile, l’attuale, soprattutto dopo che lo Stato s’è incamerato le quattordici scuole con relative cappelle, impedendo così ai pochi cattolici presenti qualsiasi attività anche di tipo culturale, sociale o assistenziale».
Una non insignificante apertura "politica" verso la Chiesa di Roma è stata fatta di recente dal presidente iraniano Mohammad Khatami che – accompagnato dal ministro degli Esteri, Kamal Kharrazi – ha partecipato a Roma ai funerali di Giovanni Paolo II. Questo atto s’inscrive nell’onda lunga di un processo di riavvicinamento alla Santa Sede iniziato dal governo iraniano nel 1999, quando proprio Khatami fu il primo presidente della Repubblica islamica a incontrare il Papa in Vaticano. In sintonia con questa linea si muovono autorevoli esponenti del ministero del Turismo, il dicastero più idoneo a togliere l’Iran dall’isolamento con l’Occidente. Per bocca di Ahad Qasaei, il governo di Teheran ha invitato le maggiori organizzazioni di pellegrinaggi italiani a organizzare viaggi nel Paese. Già ambasciatore in Afghanistan, Qasaei dirige oggi l’Ufficio ricerche e marketing dell’organizzazione che sovrintende al patrimonio culturale e turistico dello Stato (una specie di superdicastero che ha il compito di dare all’estero l’immagine di un Iran turisticamente appetibile). La sua opinione è che i 700 mila stranieri che, nel 2004, hanno visitato il Paese per ragioni turistiche sono un numero che può essere facilmente incrementato. Il turismo su cui punta l’Iran è quello che gli operatori del settore definiscono "culturale" e "religioso". Ancor più che in altri Paesi islamici, infatti, Teheran gradisce avere in casa turisti rispettosi dei costumi locali perché attratti soprattutto dalla storia, dalla cultura e dalla spiritualità dei luoghi.
I tour operator specializzati in pellegrinaggi – da Brevivet a Opera romana pellegrinaggi – confermano che i gruppi che si appoggiano alle loro organizzazioni sono costituiti da persone interessate a visitare l’antica Persia per i suoi luoghi ricchi di storia e non certo per appagare desideri d’esotismo o d’evasione. L’ostacolo è la rigidità delle autorità locali iraniane su alcune questioni di fondo non secondarie come, per esempio, la possibilità di accedere con facilità a luoghi cari alla tradizione giudaico-cristiana. «Un pellegrinaggio, infatti, ha senso», come spiega monsignor Ruggero Zucchelli, presidente di Brevivet, «se è possibile visitare, per esempio, luoghi come la tomba di Ester e di Mardocheo nella città di Ecbatana (attuale Hamadan), la tomba del profeta Abacuc a Tuyserkan, la tomba di Daniele a Susa o anche se si riesce a confortare la tradizione allusiva ai Magi, citati da san Matteo, accostati alla nascita di Gesù».
«Proprio per approfondire la conoscenza dell’islam», gli fa eco l’amministratore delegato di Brevivet, Giovanni Sesana, «sarebbe anche particolarmente interessante visitare e sostare a Qom, la città santa musulmana, ma non ci sono strutture d’accoglienza adeguate e soprattutto le autorità non gradiscono la presenza di non musulmani». Qualcosa però, in questi ultimi mesi, si sta muovendo. Nel Paese degli ayatollah solo le persone in malafede si ostinano a identificare il cristianesimo con gli interessi economici dell’Occidente. Il riavvicinamento dell’Iran all’Ovest passa anche attraverso la Chiesa di Roma e i suoi fedeli. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta a scrivere alla redazione di Jesus per esprimere la propria opinione. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail pronta per essere compilata e spedita.