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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
26.05.2005 Leo Strauss, un grande filosofo che difese Israele
il legame con il sionismo e lo Stato ebraico al centro di una relazione al convegno del Centro Studi Americani

Testata:Il Foglio
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Strauss, l'ideologia e la tirannide»
IL FOGLIO di giovedì 26 maggio 2005 pubblica a pagina 4 dell'inserto un articolo di Giulio Meotti sull'intervento del ricercatore del Shalem Center di Gerusalemme Daniel Doneson tenuto al convegno dedicato al filosofo Leo Strauss dal Centro Studi Americani.

Ecco il testo:

Roma. Ieri si è conclusa la due giorni dedicata a Leo Strauss dal Centro Studi Americani. Puntuale la conclusione di Raimondo Cubeddu, docente all’Università di Pisa, che ha rievocato il misconoscimento che ha accompagnato l’opera straussiana in Italia. Uno dei più celebri filosofi del diritto, Guido Fassò, nel 1958 definì Strauss giusnaturalista laico ed "epigono dell’illuminismo più che di San Tommaso", nient’altro che "relativismo etico empirico". E scrisse che la sua lettura era solo "tempo sprecato". Si aggregò Norberto Bobbio, che, seppure più onesto nel giudizio, lo chiamò "rapsodico". Tra gli interventi quello di Daniel Tanguay, dell’Università di Ottawa, è stato il meno agiografico, la voce più insolita del convegno, una critica da sinistra, culturalmente di suono molto francese. Ha sostenuto,
infatti, con un tono che è parso forzato e un po’ eccessivo, il modo in cui Strass è diventato una celebrità intellettuale. Ha parlato dell’innocenza e contemporaneamente dell’audacia degli arcana straussiani. Sottolineando però che alcuni allievi della scuola di Chicago si sono appropriati del linguaggio e della sua analisi sul crollo di Weimar, repubblica senza spada, per rivolgerla contro il nichilismo e il relativismo della filosofia e della politica liberale. "I neoconservatori sono le vittime della filosofia ottimistica della storia contenuta nel sogno americano". Secondo l’ungherese András Lánczi la grandezza di Strauss consiste invece nella sua offerta di una "visione" alternativa e critica alla krisis moderna, all’egualitarismo solidaristico e al nichilismo culturale, che sapesse tornare quindi alla comprensione di una verità sganciata dallo storicismo delle idee.
Daniel Doneson, ricercatore israeliano dello Shalem Center, ha toccato il rapporto fra Strauss e lo Stato ebraico. "Gli esseri umani non creeranno mai una società libera da contraddizioni". Credeva con Churchill che la democrazia fosse il peggiore dei sistemi possibili, fatta eccezione per tutti gli altri. E’ da qui che partiva il filosofo tedesco, da questo realismo consolante. Disse di essersi formato sui testi di Leo Pinsker e Theodor Herzl, consapevole che il movimento sionista altro non fosse che la risposta giusta al fallimento del liberalismo, della Repubblica di Weimar e del voltafaccia delle democrazie europee a Monaco. Secondo Doneson, Strauss faceva parte di quella schiera di intellettuali ebrei tedeschi, insieme a Gershom Scholem, che vedeva nel progetto sionista una via per "restaurare la dignità, l’orgoglio e l’onore ebraico". Nelle parole di Strauss sionismo significava, infatti, "un movimento di élite in una comune decadenza per la restaurazione dell’onore attraverso l’acquisizione di una patria". Al Foglio Doneson spiega che per Strauss c’era un chiaro collegamento fra la Shoah e l’assimilazione fallita della comunità ebraica tedesca. E’ così che il progetto di Israele si trasformò per lui in "una benedizione per tutti gli ebrei, che lo ammettano o meno". Contemporaneamente accusò d’impotenza il sionismo culturale di alcuni suoi contemporanei, come Martin Buber, Franz Rosenzweig e Walter Benjamin. E additò Spinoza come responsabile sia della fragilità della democrazia liberale sia dell’assimilazione ebraica. La "sovrastoria sionista" del maestro kantiano Hermann Cohen, uno dei pensatori "culturali", secondo Strauss aveva condotto il popolo ebraico nelle fauci della storia tedesca. Doneson ha ricordato quindi il suo percorso sfociato nella fiera difesa dello Stato d’Israele, quando nel 1957 persino la National Review era maldisposta. "Israele è la sola nazione che è anche un avamposto dell’occidente in oriente. Inoltre è una nazione circondata da nemici morali di una superiorità numerica travolgente, in cui un solo libro domina assolutamente l’istruzione elementare e superiore: la Bibbia ebraica. Lo spirito della nazione può essere descritto in questi termini: austerità eroica supportata dalla frugalità dell’antichità biblica". Fu il suo unico intervento su Israele, a fronte di nessuno sulla Shoah. Una delle stranezze sottolineate da Doneson. Strauss rimase sempre convinto che "gli ebrei sono il simbolo manifesto del problema umano". Nel 1962 tenne una lecture in cui disse che "il popolo ebraico e il suo destino sono la testimonianza vivente dell’assenza di redenzione. Qualcuno potrebbe dire che è il significato del popolo eletto. Gli ebrei sono scelti per dimostrare l’assenza di redenzione". Nel biennio 1954-55 Leo Strauss accettò un incarico come visiting professor alla Hebrew University di Gerusalemme. Constatò che anche qui "il giornale aveva sostituito la preghiera del mattino". George Anastaplo lo ha ricordato spesso seduto davanti a casa fin dalle primissime ore della giornata. Aveva scritto che "il sionismo politico è problematico per ovvie ragioni. Ma non posso dimenticare cosa ha rappresentato come forza morale in un’era di completa dissoluzione".
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