Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
L'antisionismo è antisemitismo: occorre capirlo per evitare il ripetersi di episodi che degradano le università lettera aperta di Giorgio Israel al Rettore dell'Università di Torino
Testata:Informazione Corretta Autore: Giorgio Israel Titolo: «L'antisionismo è antisemitismo: occorre capirlo per evitare il ripetersi di episodi che degradano le università»
Pubblichiamo una lettera aperta inviata oggi, 10 maggio 2005, da Giorgio Israel al rettore dell'Università di Torino: Egregio Rettore,
con la stessa franchezza con cui ho criticato sul Corriere della Sera e su Il Foglio di oggi l'insufficiente reazione delle autorità accademiche ai fatti gravi di antisionismo-antisemitismo avvenuti negli ultimi mesi, desidero esprimere il mio apprezzamento per la sua dichiarazione riportata da La Stampa in cui "si invitano studenti, docenti e personale alla massima vigilanza perché non abbiano a verificarsi atti che a qualunque titolo e in qualunque forma si possano ricondurre a culture dell'intolleranza che non possono avere né sede né alimento nelle aule e nei palazzi universitari". E' questo precisamente il punto su cui ci si attendeva e ci si attende questo genere di chiarezza: poiché nel momento in cui l'università dovesse perdere la sua caratteristica di luogo in cui si confrontano liberamente e civilmente le idee, la sua funzione sarebbe finita e si aprirebbe un grave rischio per tutta la società - non soltanto per un gruppo particolare. Quando una donna israeliana e una donna palestinese che dialogano proficuamente riescono a farlo in tante sedi, mentre nell'Università di Bologna il loro incontro viene annullato per ragioni di prudenza, siamo di fronte a un segnale che non può essere sottovalutato. Ho trovato molto triste che la risposta ai problemi da me sollevati sia stata in alcuni casi sprezzante e simile a una scrollata di > spalle. Si è parlato di gruppi sparuti, dimenticando che lo squadrismo è sempre un fatto ultra-minoritario e che la sua forza può derivare soltanto dal riuscire a imporre con la violenza la sua volontà. Si è parlato di manifestazioni "vivaci" ed eccessive ma comunque di espressioni di opinioni, come se urlare slogan fanatici e impedire di fatto di parlare sia un modo di confrontare opinioni e non una manifestazione di violenza. Si è parlato di casi isolati, dimenticando di dire che le università sono affollate di manifestazioni cui vengono invitati e trattati con ogni cortesia (e giustamente) dei rappresentanti palestinesi e che, negli ultimi mesi, solo in quattro casi sono stati invitati rappresentanti israeliani e che in tutti i casi è finita male. Si sono rivendicate le stigmatizzazioni e le condanne verbali, trascurando il fatto che se - come è accaduto a Pisa - un diplomatico israeliano deve andarsene senza poter parlare e non viene reinvitato, la violenza ha vinto, e questa vittoria resta agli atti come precedente per future prevaricazioni, e le delibere si riducono a grida manzoniane. Non ci si può nascondere che la vera difficoltà nascerà nel momento in cui le deliberazioni del Senato Accademico della sua Università dovranno confrontarsi con la realtà. Leggiamo già sui giornali le dichiarazioni dei gruppi autonomi che chiedono all'Università di vietare l'ingresso di qualsiasi rappresentante israeliano, e invocano un regime di boicottaggio, riproponendo quindi senza pudore la loro visione totalitaria, liberticida e contraria a ogni forma di dialogo. Il loro antisionismo esprime un rifiuto totale di Israele, un odio senza limiti e che ha come solo orizzonte la soppressione del "nemico" e non una prospettiva di dialogo, di pace e di riconciliazione. E' perciò assolutamente derisorio che essi dicano di non essere antisemiti ma soltanto antisionisti, perché una forma di odio così radicale e che esclude il dialogo è razziale. In tal senso, la questione nevralgica, che non può essere elusa, è che oggi le manifestazioni di antisionismo - non la critica costruttiva e specifica dei singoli atti del governo israeliano in carica - sono manifestazioni di antisemitismo. Come ha scritto molto efficacemente Elena Loewenthal su La Stampa di oggi - "le cose hanno un nome ed è doveroso usare quello giusto per chiamarle... Negare la parola a un rappresentante dello stato ebraico invitato all'Università, è un atto di antisemitismo bello e buono. Si chiama così, ed è inutile tentare scivolose arrampicate sui vetri per dimostrare che è qualche cosa di diverso". E' da augurarsi che anche su questo punto emerga la dovuta chiarezza. Altrimenti, andremo incontro a ulteriori eventi che degraderanno le nostre Università.