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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
06.04.2005 L'Arabia Saudita, "motore immobile" del terrorismo
che irradia in tutto l'islam

Testata:Il Foglio
Autore: un giornalista
Titolo: «Sauditi a caccia di al Qaida, 72 ore di battaglia. Ma manca l'arma letale»
IL FOGLIO di mercoledì 6 aprile 2005 pubblica a pagina 25 un articolo sulla battaglia urbana tra terroristi e forze di sicurezza nella città saudita di Rass.
Ecco il testo:

Roma. I tre giorni di battaglia urbana tra terroristi e forze di sicurezza nella città di al Rass – 320 chilometri a nord di Riad, nella provincia di Qassim – dimostrano che la presa del terrorismo islamico in Arabia Saudita è crescente, incontrollata e anche appoggiata da una parte della popolazione. Mai si è infatti verificato in nessun paese al mondo – escluso il caso solitario dell’Iraq – uno scontro a fuoco con terroristi di così grande portata e di così lunga durata in una città. Le forze di sicurezza, agli ordini del principe reggente Abdullah, sono in palese difficoltà, i terroristi invece – secondo la versione ufficiale, circondati e imbottigliati – sono in grado di resistere per ben tre giorni a un assedio massiccio, impegnando un gran volume di fuoco e conseguendo un eccellente risultato politico.
Le notizie date dal ministro dell’Informazione, Iyad Madani, e dal generale Mansour al Turki sono contraddittorie e – in pieno contrasto con i toni sicuri e burocratici – delineano uno scenario che ha quasi dell’incredibile. Ben 51 sono i militari sauditi ricoverati sino a mezzogiorno di ieri negli ospedali della città e 18 i terroristi di al Qaida uccisi – di cui, secondo l’emittente al Arabyia, due leader del gruppo terroristico tra i 26 più ricercati: il saudita Saud al Otaibi e il marocchino Abdel Karim al Majati – ma non è dato sapere quanti siano i militari sauditi uccisi a loro volta, né se la battaglia sia in realtà finita. Al di là dell’evidente importanza del combattimento e della consistenza del commando terrorista, quello che più impressiona è la durata delle operazioni in corso.
Nel paese che disputa alla Corea del nord il primato mondiale del più feroce e capillare controllo poliziesco del territorio, privo di ogni libertà politica, dotato di reparti ad alta specializzazione, l’irruzione in un "covo di terroristi", domenica scorsa, nel quartiere di al Jawzat, provoca un conflitto di tale portata che, nonostante 72 ore di intensi combattimenti, le autorità faticano a concluderlo con successo. Questo accade mentre viene comunicato ufficialmente che i terroristi, asserragliati in due villini, dispongono di lanciagranate e armi medie e leggere in quantità.
Un quadro così sconcertante legittima tutte le ipotesi, a partire da quella che le forze di sicurezza non riescano a impegnare in pieno il loro potenziale per penetrare nei due villini – obiettivo alla portata di poche dozzine di poliziotti occidentali dotati di gas e armi leggere – perché la popolazione in qualche modo "protegge" i terroristi.
La regione di Qassim e la città di al Rass sono una sorta di "santuario" per le componenti più intransigenti del wahabismo saudita e ancora oggi vi operano gli eredi di quegli Ikhwan (guerriglieri fondamentalisti) che aiutarono Abdulaziz Ibn Saud a conquistare il regno negli anni Venti e che poi furono quasi tutti sterminati. "Quasi" tutti, non tutti, e la precisazione non è di poco conto perché i superstiti hanno trasmesso la loro ideologia salafita a settori non marginali non soltanto degli ulema, ma anche dell’esercito. Dopo due anni dagli attentati di Riad del 12 maggio (34 vittime secondo i sauditi, 90 secondo gli Stati Uniti) e dell’8 novembre (18 morti) del 2003, l’escalation terroristica saudita appare inarrestabile, con iniziative eclatanti a cadenza semestrale, e le attività di contrasto risultano inadeguate.

I quattrocento funerali dei "martiri"
Pochi giorni fa, un’inchiesta ha rilevato che non meno di 2.500 terroristi sauditi passano regolarmente indisturbati – nei due sensi – la frontiera con l’Iraq; che non meno di 400 tra loro si sono fatti esplodere in autobombe in Iraq – segno della loro popolarità e dell’inadeguatezza delle autorità nel contrastarla – e i ben quattrocento funerali di questi "martiri" si sono svolti nei loro quartieri d’origine, con enorme e pubblica partecipazione di popolo.
Soltanto un mese fa, il governo di Riad ha tenuto nella capitale un grande congresso contro il terrorismo (escludendo naturalmente per ragioni di antisemitismo gli israeliani, gli unici che lo sanno combattere) ed è palese il loro sforzo – soprattutto mediatico – nell’affrontarlo con forza. Ma è un’attività inerziale, difensivistica, che non va alle radici politiche e religiose del fenomeno, nonostante le tante, penose autocritiche di ulema filoterroristi apparsi in televisione in programmi dal sapore stranamente staliniano. Cosicché la ricca Arabia Saudita continua a essere il vero "motore immobile" che irradia terrorismo in tutto l’islam, e non soltanto tramite il suo concittadino Osama bin Laden.
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