Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La discarica della propaganda tre quotidiani che raschiano il fondo del barile per attaccare Israele
Testata:La Repubblica - L'Unità - Il Manifesto Autore: Alberto Stabile - Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio Titolo: «Cisgiordania, la cava palestinese diventa una discarica per i coloni - Discarica israeliana a Nablus, l'ira palestinese - Seppellire Nablus sotto i rifiuti»
Un progetto, ancora non realizzato, e non approvato dal governo, per la costruzione di una discarica in una cava vicino a Nablus, per raccogliere rifiuti sia israeliani che palestinesi, diventa il pretesto per articoli di propaganda, che enfatizzano la notizia e attaccano il governo israeliano, non coinvolto nel progetto, come la cronaca di Alberto Stabile, da REPUBBLICA di martedì 5 aprile 2005, che riportiamo di seguito.
Alcune considerazioni sulle tre ragioni fornite da Stabile per affermare che la discarica è illecita: 1) se la discarica raccoglierà effettivamente anche rifiuti palestinesi il motivo di contrasto con il diritto internazionale viene meno 2) se il governo non ha concesso permessi di costruzione e ambientali non si capisce il collegamanto che, con toni ironici e polemici, viene indicato in tutto il pezzo tra la discarica e azioni dei governi israeliani (l'assegnazione al demanio della cava, i permessi edilizi per la costruzione degli insediamenti)
Ecco l'articolo: In trentotto anni d´occupazione non era mai successo che a qualcuno venisse in mente di scaricare rifiuti israeliani nella West Bank. Ora, secondo la denuncia del giornale Haaretz, una società privata formata dai capi di alcuni insediamenti, fra i quali un´esponente dell´ala più estremista dei coloni come Daniela Weiss, "sindaco" di Kedumim, ha già cominciato a trasformare una cava di pietra nei pressi di Nablus in una pericolosa discarica. In barba ai timori degli ambientalisti e alle convenzioni internazionali che vietano a un paese occupante di sfruttare le risorse del territorio occupato, se non a vantaggio della popolazione locale. Prima ancora che i palestinesi levassero la loro protesta, cosa che non hanno mancato di fare, il Ministero degli Esteri israeliano ha negato che il progetto violi la legalità internazionale, perché la discarica servirebbe i bisogni sia degli israeliani che dei palestinesi. Siamo nella regione di Nablus, e precisamente tra quella che era un tempo la capitale economica della West Bank e gli insediamenti di Kedumim e Karnei Shomron. Qui sorge la cava di pietra, oggi esaurita, "Abu Sciuscià", la più grande della Cisgiordania, appartenuta da sempre all´omonima famiglia di Nablus fino a quando non è passata, per qualche motivo sicuramente fondato, fra le proprietà del demanio israeliano. Le cave, si sa, sfigurano il profilo del territorio, mentre i tetti rossi degli insediamenti posti in cima ad ogni altura della West Bank, come è noto, l´abbelliscono. Fatto sta che il progetto iniziale cui l´Amministrazione civile dà il suo assenso, prevede che la cava venga, come si dice, riqualificata, riempita, cioè, di rifiuti solidi e materiale di risulta proveniente dall´edilizia in modo da poter un giorno sfruttare l´area emergente, per esempio impiantandovi un bel parco. Ma improvvisamente, in corso d´opera, il progetto cambia destinazione. I bulldozer livellano il fondo della cava e lo spargono di terriccio rosso, allo scopo di creare uno strato impermeabilizzante. Una ditta, di Netanya, la D.S.H. specializzata nel trattamento dei rifiuti urbani comincia a raccogliere il pattume prodotto nei centri abitati a nord di Tel Aviv, destinandolo ad "Abu Sciuscià". Ad effettuare i lavori, secondo Haaretz senza averne il permesso, per trasformare la cava in una minacciosa discarica è la società Baron Industrial Park, formata dalle amministrazioni di Kedumin, Karnei Shomron e dal locale Consiglio regionale, altra emanazione amministrativa di quella sorta di Stato nello Stato rappresentato dagli insediamenti. L´obiettivo della società Baron, cioè dei coloni, è di offrire la cava come ricettacolo di immondizie provenienti dalle città israeliane, realizzando profitti per decine di milioni di shekels. Le città che producono i rifiuti pagheranno alla D.S.H, che funzionerà come stazione di transito, e questa pagherà ai gestori della cava, la società Baron, 30 shekels (circa 60 centesimi di euro) per ogni tonnellata d´immondizia depositata ad "Abu Sciuscià". Un bel profitto che, essendo generato da un´attività economica di tipo privato, verrà posto fuori dal bilancio degli insediamenti e, dunque, sottratto ad ogni controllo. Tutto questo sarebbe anche lecito se non fosse: 1) vietato dalle convenzioni internazionali che proibiscono a un paese occupante di sfruttare a proprio beneficio le risorse della popolazione occupata; 2) nessun permesso di costruzione è stato accordato, se mai è stato richiesto, per trasformare la cava in discarica; 3) nessun´autorizzazione è stata concessa, se mai è stata sollecitata, dal ministero dell´ambiente. Il quale, se non ha autorizzato la creazione della discarica non l´ha finora ostacolata. Tutti, ha detto ad Haaretz una fonte, sembrano aver paura di Daniela Weiss, la pasionaria dei coloni messianici, e capa del consiglio amministrativo di Kedumim. Sono alcuni esperti a mettere in guardia sul danno irreparabile che la discarica può provocare alla falda acquifera della zona, l´unica preziosa fonte di approvvigionamento rimasta ai palestinesi. I quali, come ha denunciato l´ex ministro Yossi Sarid, si trovano nella paradossale situazione di vedersi negare dall´Amministrazioine civile ogni permesso di costruire discariche per far fronte alle loro necessità, ma «sono costretti a prendersi - ha detto Sarid - le nostre immondizie» Di seguito l'articolo di Umberto De Giovannangeli da L'UNITA', di cui segnaliamo il folgorante inizio: "Dopo il «Muro dell’apartheid», il nuovo incubo dei palestinesi della Cisgiordania è quello della «Grande pattumiera»".
Da menzogneri e velenosi gli slogan della propaganda filo-palestinese tendono irresistibilmente a diventare assurdi e ridicoli: è ovvio che una discarica non trasformerà la Cisgiordania in una grande pattumiera, ed'è anche ovvio che la barriera difensiva risponde a necessità ben più urgenti e gravi di quelle che muovono questo progetto commerciale.
Ecco il testo: Dopo il «Muro dell’apartheid», il nuovo incubo dei palestinesi della Cisgiordania è quello della «Grande pattumiera». Per il momento è solo un progetto ma se dovesse concretizzarsi, come è altamente probabile. questo sarebbe il risultato: camion israeliani stracolmi di rifiuti attraverseranno tutti i giorni la Barriera di separazione, entreranno in territorio cisgiordano e - una volta arrivati in vista della popolosa città di Nablus - si libereranno del loro carico malsano. In 38 anni di occupazione militare israeliana - nota il quotidiano progressista Haaretz di Tel Aviv - non era mai venuto in mente a nessuno. Adesso una società privata israeliana è giunta alla conclusione che scaricare rifiuti in Cisgiordania piuttosto che in Israele è un ottimo affare: si risparmia (secondo i calcoli del giornale) circa un euro a tonnellata. E 10mila tonnellate al mese fanno 10mila euro al mese. Gli scarti delle regioni a nord di Tel Aviv (Dan e Sharon) possono così essere trasformati in prosperità, almeno per i responsabili della società. Ma Haaretz ha appreso che l’iniziativa non ha ancora ottenuto i necessari permessi governativi, né è stata indetta alcuna gara di appalto. Certezze non ce ne sono. Ma il giornale ritiene che dietro questa iniziativa ci sia in qualche modo la signora Daniela Weiss, presidente del Consiglio locale di Kedumim (una colonia vicina a Nablus) che è nota come la «pasionaria» del movimento dei coloni. Ancora di recente la signora Weiss ha guidato una marcia dimostrativa di bambini ebrei nel cuore della Striscia di Gaza, senza la protezione dell’esercito, a breve distanza dalla città palestinese di Khan Yunes. «Tutti la temono» hanno detto al giornale fonti imprecisate. Haaretz ritiene inoltre che il progetto contrasti con i trattati internazionali che vietano a uno Stato occupante di sfruttare i territori che occupa, a meno che non ne tragga beneficio la popolazione locale. «I coloni oltranzisti cercheranno in tutti i modi di ostacolare il ritiro da Gaza e qualsiasi tentativo di rilanciare il negoziato con l’Anp di Abu Mazen; trasformare la Cisgiordania in una enorme discarica rientra in questa scellerata politica», dice a l’ Unità Yossi Sarid, parlamentare e leader storico della sinistra sionista. «Si tratta di un duplice crimine - aggiunge Sarid, che nei governi a guida laburista ha ricoperto anche l’incarico di ministro per l’ambiente -. Da un lato ai palestinesi viene impedito di sfruttare la loro cava e dall’altro noi gli portiamo l’immondizia di Ariel Sharon». La reazione palestinese non si fa attendere. Secondo Mahmud Abu Shanab, un funzionario del ministero palestinese per l’ambiente, la discarica - situata in una vecchia cava fra Nablus e la colonia di Kedumim - rappresenta una minaccia per le fonti idriche palestinesi. «Si tratta di un atto di carattere criminale», osserva Yussef Abu Safye, un altro dirigente di quel ministero, commentando le informazioni apparse su Haaretz. «Lo scarico della loro immondizia presso le nostre città e villaggi è un crimine che va fermato subito», aggiunge Abu Safye secondo cui l’Anp intende adesso invocare pressioni internazionali affinché il progetto israeliano sia annullato. Intanto con o senza permessi, precisa il giornale, i lavori sono comunque già cominciati. Il sito dove dovrebbe essere collocata la discarica è la cava di Abu Shusha, la più grande della Cisgiordania. Le autorità israeliane hanno vietato l’accesso alla cava ai palestinesi. Il che avvalora la denuncia di Sarid: al momento non viene permesso ai palestinesi di costruire moderni impianti per lo scarico dei rifiuti, mentre l’unico che verrà realizzato servirà per la spazzatura proveniente da Israele. Da parte loro la signora Weiss e la direzione della colonia di Kedumim non hanno ancora reagito alle informazioni di Haaretz. Mentre monta la polemica sulla «Grande pattumiera», cresce anche l’allarme per la prova di forza programmata dall’ultradestra. «Il tentativo di migliaia di nazionalisti ebrei di entrare domenica nel Monte del Tempio (la Spianata delle moschee, ndr.) potrebbe offrire il pretesto a Hamas di far esplodere la situazione», ha avvertito ieri alla Knesset un ufficiale dell’intelligence militare. La polizia israeliana è già in stato di massima allerta. Da un lato gruppi di coloni stanno completando i preparativi per la «Operazione dei Diecimila»: tanti contano di essere domenica, all’appuntamento con la Storia. D’altra parte, gli oltranzisti islamici non sono da meno. Appelli alla mobilitazione generale sono stati impartiti da Hamas e dalla Jihad islamica. «La santa moschea al-Aqsa è in pericolo...Chiunque sia in grado di raggiungere Gerusalemme, non solo domenica, lo faccia. Subito. Siamo in stato di allarme», ha tuonato venerdì, in un sermone, il Muftì di Gerusalemme sceicco Ekrama Sabri, massima autorità religiosa palestinese. Infine, IL MANIFESTO, che all'articolo di Michele Giorgio dà il titolo più drammatico: "Seppellire Nablus sotto i rifiuti", quasi fossimo di fronte a una strategia militare israeliana per piegare i palestinesi. Alla fine dell'articolo, scrivendo di una manifestazione di religiosi nazionalisti prevista per domenica a Gerusalemme (per rivendicare il diritto degli ebrei a costruire una sinagoga sul Monte del Tempio) Giorgio ripropone la falsa tesi, smentita dai palestinesi stessi, della "passeggiata di Sharon" sul Monte del Tempio come innesco della "seconda intifada".
Ecco l'articolo: Lo «spirito di collaborazione» sorto a Sharm El-Sheikh ha prodotto un nuovo frutto. Presto camion israeliani stracolmi di rifiuti entreranno in territorio palestinese e nei pressi di Nablus scaricheranno tonnellate di immondizia, almeno 120 mila l'anno. Non ci aveva pensato nessuno prima, ha sottolineato il quotidiano Haaretz che ieri ha riferito la notizia, anche se i palestinesi già da lungo tempo devono fare i conti con gli scarichi delle colonie israeliane che circondano molti dei loro centri abitati.
E a proposito degli insediamenti ieri il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha detto ad una commissione parlamentare che assicurerà l'espansione (altre 3.500 case) di Maale Adumin, ad est di Gerusalemme, nonostante le critiche internazionali. Non degli Stati Uniti però. Il segretario di stato americano Condoleeza Rice dopo aver inizialmente sollevato qualche obiezione al progetto israeliano, si è affrettata a ribadire che nell'amministrazione Bush esiste consenso pieno sull'idea che i blocchi di colonie ebraiche in Cisgiordania verranno annessi a Israele. Sharon, forte del sostegno Usa - tra qualche giorno incontrerà George Bush a Washington - ha aggiunto che i minuscoli insediamenti colonici di Hebron (400 abitanti), sono «un bene strategico» che Israele deve conservare.
Sono questi solo alcuni dei punti non scritti del piano di ridispiegamento varato dal premier che, in cambio della evacuazione delle 21 colonie nella striscia di Gaza, garantisce a Israele benefici territoriali di grande importanza in Cisgiordania. Con la benedizione di Bush.
Haaretz ha riferito che una società privata è giunta alla conclusione che scaricare rifiuti in Cisgiordania piuttosto che in Israele è un ottimo affare: si risparmia circa un euro a tonnellata. E 10.000 tonnellate al mese fanno 10.000 euro al mese. Gli scarti delle regioni a nord di Tel Aviv (Dan e Sharon) valgono perciò una piccola fortuna, almeno per l'impresa israeliana di smaltimento dei rifiuti. Poco importa che le risoluzioni e le convenzioni internazionali vietino a Israele di inquinare i territori palestinesi che ha occupato militarmente nel 1967.
Pare che dietro il progetto ci sia Daniela Weiss, presidente del Consiglio locale di Kedumim (una colonia vicina a Nablus) che di recente ha guidato una marcia dimostrativa di bambini che vivono negli insediamenti di Gaza, fino alla città palestinese di Khan Yunis. Mahmud Abu Shanab, un funzionario del ministero palestinese per l'ambiente, ha avvertito che la discarica Abu Shusha - situata in una vecchia cava - rappresenta una minaccia per le fonti idriche. Ma le proteste palestinesi, come quasi sempre accade, rimangono inascoltate.
I lavori di allestimento della discarica sono già cominciati, sebbene le autorità militari non abbiano ancora autorizzato il progetto. «Si tratta di un duplice crimine - ha commentato il deputato ed ex ministro israelianoYossi Sarid -, da un lato ai palestinesi viene impedito di sfruttare la loro cava e dall'altro noi gli portiamo l'immondizia di Ariel Sharon». I palestinesi infatti, su ordine dell'esercito, non possono entrare ad Abu Shusha. Gli occupanti sì, per riempirla di rifiuti.
Intanto è sempre più allarme per «Operazione diecimila», una iniziativa dell'estrema destra israeliana. Domenica prossima migliaia di ultra-nazionalisti intendono entrare nella spianata delle Moschee (il monte del Tempio per gli ebrei) di Gerusalemme, nonostante il divieto della polizia. Il quotidiano Yediot Ahronot ha scritto che si temono non solo scontri ma anche attentati alla moschea al-Aqsa. Ciò nell'intento di impedire il ritiro da Gaza con un attacco a un sito religioso che sollevi l'indignazione di tutto il mondo islamico. L'organizzatore della manifestazione, David ha-Ivri, un ex membro del movimento anti-arabo Kach del rabbino Kahane - oggi fuorilegge - ha annunciato l'intenzione di costruire una sinagoga sulla spianata delle Moschee, già discussa anni fa dal rabbinato di Gerusalemme. «La santa moschea al-Aqsa è in pericolo», ha ammonito il Mufti di Gerusalemme, Ekrama Sabri, massima autorità islamica palestinese. «Chiunque sia in grado di raggiungere Gerusalemme, lo faccia. Siamo in stato di allarme». La famosa «passeggiata» di Sharon sulla spianata delle Moschee, nel settembre 2000, venne preceduta dallo stesso clima di forte tensione e le conseguenze si sono visti nei quattro anni successivi. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica, L'Unità e Il Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.