Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
La svolta storica possibile, e l'impegno di Sharon perché si realizzi una cronaca che rende ragione dei rischi che Israele continua a correre, e del suo impegno per conseguire la pace
Testata:Il Foglio Autore: un giornalista Titolo: «Sharon sa che la tregua attesa è un affare tra Hamas e Anp»
IL FOGLIO di venerdì 28 gennaio 2005 pubblica a pagina 3 una cronaca degli ultimi sviluppi del dialogo tra israeliani e palestinesi, che riportiamo: Gerusalemme. La tregua nei confronti d’Israele è una decisione che riguarda il presidente palestinese, Abu Mazen, e Hamas. "Gerusalemme non ha nessun controllo sulle trattative in corso – dice al Foglio Zeev Schiff, analista militare del quotidiano Haaretz – Non si sa nemmeno quali compromessi ci siano dietro le quinte". Di certo agiscono anche attori esterni – come la Siria, l’Iran, Hezbollah – ma il governo israeliano non conosce i dettagli dei colloqui: sa però che gli accordi finali saranno stipulati in un secondo tempo tra il rais e i leader del gruppo terroristico a Damasco. "Questa tregua è bizzarra – commenta Schiff – Hamas sta negoziando con Abu Mazen e pone condizioni a Israele, che però non è coinvolto nelle trattative". Se Hamas dovesse accettare la tregua farebbe una promessa ad Abu Mazen, non a Gerusalemme, ma continua comunque a pretendere che sia Israele a pagare un qualche prezzo. Il governo di Ariel Sharon ha però notato che l’Anp, dopo la morte di Yasser Arafat, ha cominciato a prendere sul serio la questione della sicurezza: ieri Abu Ala, premier palestinese, ha firmato un ordine che vieta ai cittadini di portare addosso armi nei Territori. "Non c’è nessun dubbio – ha detto il premier israeliano al quotidiano Yedioth Ahronoth che Abu Mazen abbia iniziato a mettere mano alla situazione. Sono molto soddisfatto di ciò che sta accadendo dalla parte palestinese. Voglio lavorare con la nuova leadership per fare progressi in questa direzione". Così si sono riaperte le porte di un cauto ottimismo: Sharon ha anche sottolineato che farà di tutto per agevolare il percorso di Abu Mazen, ma che allo stesso tempo terrà gli occhi ben aperti per esaminare l’evolversi degli eventi. "Credo che si siano create le condizioni che consentiranno a noi e ai palestinesi di compiere una svolta srorica", ha detto sempre ieri. Israele è pronta a costruire basi di fiducia con l’Anp: si sta parlando del rilascio di prigionieri – "circa 900", ha detto un alto dirigente palestinese – di riaprire i checkpoint e di trasferire quattro città della Cisgiordania sotto il controllo dell’Anp per facilitare Abu Mazen a metter fine al terrorismo. Il ministro della Sicurezza, Shaul Mofaz, ha inoltre affermato che, entro la fine del 2005, non vorrebbe più avere alcun soldato dell’esercito israeliano stanziato in Cisgiordania. "Il ridispiegamento delle forze dell’ordine palestinesi a Gaza – commenta Schiff – ha dimostrato ciò che Israele sostiene da sempre: Arafat non voleva la pace. Aveva lo stesso numero di milizie e gli stessi tipi di finanziamenti ma non ha mai voluto prendere provvedimenti veri contro il terrorismo. Con Abu Mazen, l’uomo che sembrava debole ma che si sta dimostrando forte, potremmo assistere a un cambiamento". Hamas però ribadisce che accetterà un cessate il fuoco soltanto se Israele terminerà le operazioni militari nei Territori, posizione condivisa dalla stessa Anp. Ieri, Abu Mazen ha sollecitato una risposta da Gerusalemme per una "tregua bilaterale". Israele non sembra essere convinto e dichiara semplicemente che risponderà "alla calma con la calma". Poche ore dopo l’intervista del premier, Silvan Shalom, ministro degli Affari esteri, si è mostrato contrariato: "Questo tipo di tregua non è il nostro obiettivo – ha detto alla radio militare israeliana – chiunque pensi che sia la strada giusta si sta sbagliando. Il ‘cessate il fuoco’ è una bomba a orologeria che scoppierà sulle nostre facce". Il suo portavoce, Mark Regev, spiega al Foglio che non c’è alcun tipo di contraddizione con le affermazioni rilasciate dal premier israeliano: "Siamo molto felici dei progressi radicali fatti dall’Anp. Per anni si è detto che i palestinesi non erano capaci di condurre un processo di pace, ma il vero problema era Arafat. Con questa nuova leadership stiamo già vedendo i cambiamenti". Il problema, secondo Shalom, sono i gruppi terroristici: né Hamas né il Jihad islamico hanno cambiato i loro intenti. "La tregua è per loro come un ‘time out’ nel basket – dice Regev – un modo per riaddestrarsi, riarmarsi e riattaccare nuovamente Israele. Il mio governo spera che Abu Mazen continui su questa strada secondo il suo principio: una sola autorità, un solo leader, una sola pistola". Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.