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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Il Foglio Rassegna Stampa
28.01.2005 La svolta storica possibile, e l'impegno di Sharon perché si realizzi
una cronaca che rende ragione dei rischi che Israele continua a correre, e del suo impegno per conseguire la pace

Testata:Il Foglio
Autore: un giornalista
Titolo: «Sharon sa che la tregua attesa è un affare tra Hamas e Anp»
IL FOGLIO di venerdì 28 gennaio 2005 pubblica a pagina 3 una cronaca degli ultimi sviluppi del dialogo tra israeliani e palestinesi, che riportiamo:
Gerusalemme. La tregua nei confronti d’Israele è una decisione
che riguarda il presidente palestinese, Abu Mazen,
e Hamas. "Gerusalemme non ha nessun controllo sulle trattative
in corso – dice al Foglio Zeev Schiff, analista militare
del quotidiano Haaretz – Non si sa nemmeno quali compromessi
ci siano dietro le quinte". Di certo agiscono anche attori
esterni – come la Siria, l’Iran, Hezbollah – ma il governo
israeliano non conosce i dettagli dei colloqui: sa però che gli
accordi finali saranno stipulati in un secondo tempo tra il
rais e i leader del gruppo terroristico a Damasco. "Questa
tregua è bizzarra – commenta Schiff – Hamas sta negoziando
con Abu Mazen e pone condizioni a Israele, che però non è
coinvolto nelle trattative". Se Hamas dovesse accettare la
tregua farebbe una promessa ad Abu Mazen, non a Gerusalemme,
ma continua comunque a pretendere che sia Israele
a pagare un qualche prezzo.
Il governo di Ariel Sharon ha però notato che l’Anp, dopo
la morte di Yasser Arafat, ha cominciato a prendere sul serio
la questione della sicurezza: ieri Abu Ala, premier palestinese,
ha firmato un ordine che vieta ai cittadini di portare
addosso armi nei Territori. "Non c’è nessun dubbio – ha
detto il premier israeliano al quotidiano Yedioth Ahronoth
che Abu Mazen abbia iniziato a mettere mano alla situazione.
Sono molto soddisfatto di ciò che sta accadendo dalla parte palestinese. Voglio lavorare con la nuova leadership
per fare progressi in questa direzione". Così si sono riaperte
le porte di un cauto ottimismo: Sharon ha anche sottolineato
che farà di tutto per agevolare il percorso di Abu Mazen,
ma che allo stesso tempo terrà gli occhi ben aperti per
esaminare l’evolversi degli eventi. "Credo che si siano create
le condizioni che consentiranno a noi e ai palestinesi di
compiere una svolta srorica", ha detto sempre ieri. Israele è
pronta a costruire basi di fiducia con l’Anp: si sta parlando
del rilascio di prigionieri – "circa 900", ha detto un alto dirigente
palestinese – di riaprire i checkpoint e di trasferire
quattro città della Cisgiordania sotto il controllo dell’Anp
per facilitare Abu Mazen a metter fine al terrorismo. Il ministro
della Sicurezza, Shaul Mofaz, ha inoltre affermato che,
entro la fine del 2005, non vorrebbe più avere alcun soldato
dell’esercito israeliano stanziato in Cisgiordania. "Il ridispiegamento
delle forze dell’ordine palestinesi a Gaza – commenta
Schiff – ha dimostrato ciò che Israele sostiene da sempre:
Arafat non voleva la pace. Aveva lo stesso numero di milizie
e gli stessi tipi di finanziamenti ma non ha mai voluto
prendere provvedimenti veri contro il terrorismo. Con Abu
Mazen, l’uomo che sembrava debole ma che si sta dimostrando
forte, potremmo assistere a un cambiamento".
Hamas però ribadisce che accetterà un cessate il fuoco soltanto se Israele terminerà le operazioni militari nei Territori,
posizione condivisa dalla stessa Anp. Ieri, Abu Mazen
ha sollecitato una risposta da Gerusalemme per una "tregua
bilaterale". Israele non sembra essere convinto e dichiara
semplicemente che risponderà "alla calma con la calma".
Poche ore dopo l’intervista del premier, Silvan Shalom, ministro
degli Affari esteri, si è mostrato contrariato: "Questo
tipo di tregua non è il nostro obiettivo – ha detto alla radio
militare israeliana – chiunque pensi che sia la strada giusta
si sta sbagliando. Il ‘cessate il fuoco’ è una bomba a orologeria
che scoppierà sulle nostre facce". Il suo portavoce, Mark
Regev, spiega al Foglio che non c’è alcun tipo di contraddizione
con le affermazioni rilasciate dal premier israeliano:
"Siamo molto felici dei progressi radicali fatti dall’Anp. Per
anni si è detto che i palestinesi non erano capaci di condurre
un processo di pace, ma il vero problema era Arafat. Con
questa nuova leadership stiamo già vedendo i cambiamenti".
Il problema, secondo Shalom, sono i gruppi terroristici:
né Hamas né il Jihad islamico hanno cambiato i loro intenti.
"La tregua è per loro come un ‘time out’ nel basket – dice
Regev – un modo per riaddestrarsi, riarmarsi e riattaccare
nuovamente Israele. Il mio governo spera che Abu Mazen
continui su questa strada secondo il suo principio: una sola
autorità, un solo leader, una sola pistola".
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