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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Avvenire Rassegna Stampa
19.01.2005 Il "cuore tenero" di Hamas, l'ingiustificata intransigenza di Israele
lo strabismo morale Alessandra Coppola e Francesca Fraccaroli

Testata:Corriere della Sera - Avvenire
Autore: Alessandra Coppola - Francesca Fraccaroli
Titolo: «Hamas non si ferma. Sangue a Gaza - Primo «sì» ad Abu Mazen: al-Aqsa ferma gli attacchi»
Il CORRIERE DELLA SERA di mercoledì 19 gennaio 2005 pubblica a pagina 12 una cronaca di Alessandra Coppola, "Hamas non si ferma. Sangue a Gaza".
La Coppola riporta acriticamente e senza riportare una replica da parte israeliana le menzogne di Hamas, secondo la quale sarebbero le operazioni militari israeliane, che in realtà seguono gli attentati terroristici o servono a impedirne di nuovi e imminenti, a rendere impossibile una tregua.
Quest'ultima, tuttavia, potrebbe alla fine essere accettata dai terroristi fondamentalisti palestinesi. Perché "La posta in gioco che potrebbe persuaderli è il ritiro da Gaza, fissato dal governo israeliano per la prossima estate.
Un piatto ricco per le opportunità di gestione concreta del territorio.
Ma anche una vera speranza di miglioramento per i palestinesi che vivono imprigionati nella Striscia: un tema che ad Hamas, in realtà, sta molto a cuore".
La Coppola non chiarisce in base a quali informazioni può affermare che "in realtà" Hamas ha molto a cuore le condizioni dei palestinesi "imprigionati" nella Striscia. Noi ci limitiamo ad alcune osservazioni, sulla base dei fatti noti a tutti: Israele ha annunciato il ritiro da Gaza e lo sgombero degli insediamenti, nonostante ciò Hamas continua il lancio di missili qassam dai centri abitati, provocando inevitabili risposte, i palestinesi che si sono opposti al lancio dei razzi sono stati nella migliore delle ipotesi, quando si sono limitati a proteste senza conseguenze pratiche, ignorati, nella peggiore, quando hanno negato l'uso della loro proprietà per tale scopo criminale, uccisi; l'ultimo attentato organizzato da Hamas, insieme alle Brigate di al Aqsa, ha colpito il valico commerciale di Karni, da cui dipende buona parte della fragile economia della Striscia, gli attentati provocano anche la chiusura per motivi di sicurezza del valico di Rafah, rendendo difficili gli spostamenti tra Gaza e l'Egitto (e viceversa, sono dunque i terroristi a "imprigionare" i palestinesi a Gaza), Hamas indottrina i palestinesi, fin dall'infanzia al terrorismo suicida, cioè ad ammazzarsi, oltre che ad uccidere.
Fatti che ci spingono ad accogliere con scetticismo la rassicurazione della Coppola sul "cuore" di Hamas, così sollecito, secondo lei, della condizione dei palestinesi nella Striscia.
A noi pare che i terroristi di Hamas abbiano costantemente cercato di aggravare quelle condizioni e persino di rendere inevitabili le vittime civili nel loro campo, consapevoli che anch'esse,come quelle in campo israeliano, giovavano alla strategia del terrore, perché servivano a mettere Israele su banco degli accusati.
Se la Coppola sa qualcosa che può confutare questa visione lo scriva, non può pretendere di essere creduta sulla parola quando ci illustra la sua "realtà".
Ecco l'articolo:

— Il kamikaze si chiamava Omar Tabash, aveva 21 anni e veniva dalla periferia orientale di Khan Younis, Gaza. Ieri pomeriggio è salito su un'auto, si è diretto verso uno dei posti di blocco che proteggono la colonia di Gush Katif, non lontano dalla via che attraversa da Nord a Sud la Striscia, è stato fermato, è sceso dalla macchina, è stato portato nel gabbiotto di guardia e lì si è fatto saltare in aria. Sei feriti israeliani, uno palestinese. E una nuova minaccia alla ripresa del dialogo. Lo Stato ebraico chiede ora « un'azione immediata contro il terrorismo » .
E' successo intorno alla sette di sera, ora locale. Con tempismo perfett o . Da poco più d i un'ora il nuovo presidente dell'Autorità nazionale Mahmoud Abbas, alias Abu Mazen, era arrivato a Gaza nell'idea di negoziare con le fazioni estremiste un cessate il fuoco. Una prima risposta positiva Abbas l'ha avuta, ma non nella Striscia. In Cisgiordania, a Jenin, il capo delle Brigate martiri di Al Aqsa, Zakaria Zubeidi, ha proclamato « la sospensione di tutti gli attacchi contro Israele » .
Una mano tesa al nuovo leader che ha stabilito l'assorbimento delle Brigate nelle forze di sicurezza palestinesi riformate. Zubeidi, però, si era già distinto in campagna elettorale come un sostenitore di Abu Mazen. La vera sfida per il nuovo presidente sarà conquistare ai suoi progetti di « normalizzazione » i gruppuscoli sparsi che rispondono agli ordini di capetti locali.
E poi c'è la grande questione di Gaza. L'attentato di ieri porta la firma di Hamas, che insensibile agli appelli da Ramallah non ha mai sospeso le azioni contro lo Stato ebraico. Abu Mazen ha ordinato ai capi delle forze di sicurezza di attivarsi per fermare gli attacchi. Come interverranno e con quale reazione da parte dei miliziani è ancora tutto da vedere. Hamas, Jihad islamica e gli altri radicali sono attratti dall'idea di una trasformazione politica: hanno partecipato alla prima tornata delle municipali, non si perderanno la seconda e soprattutto saranno in corsa per le legislative di luglio. Ma non sono ancora convinti che sia del tutto conveniente. Soprattutto, è la loro versione, non intendono fermarsi finché Israele continua con le operazioni militari.
La posta in gioco che potrebbe persuaderli è il ritiro da Gaza, fissato dal governo israeliano per la prossima estate.
Un piatto ricco per le opportunità di gestione concreta del territorio.
Ma anche una vera speranza di miglioramento per i palestinesi che vivono imprigionati nella Striscia: un tema che ad Hamas, in realtà, sta molto a cuore. Per la maggior parte i palestinesi indicano di essere stanchi del conflitto: nell'ultimo sondaggio del centro di Khalil Shikaki il 54 per cento degli intervistati si dice favorevole a un accordo.
Tutto ancora da discutere, mentre gli attacchi proseguono. Sfiorando addirittura il premier israeliano. Ariel Sharon è stato ieri mattina a Nord di Gaza, in una rara visita alle truppe dello Stato ebraico lì di stanza. Un modo anche di far pressioni su Abu Mazen a cui, in cima alla lista, Israele chiede la fine del lancio di razzi Kassam dalla Striscia sul territorio ebraico. Pochi minuti prima del passaggio dell'auto del premier da Erez, il valico è stato colpito da un proiettile di mortaio.
AVVENIRE pubblica a pagina 16 un articolo di Francesca Fraccaroli "Primo «sì» ad Abu Mazen: al-Aqsa ferma gli attacchi " .
Dopo aver riportato le dichiarazioni del capo della sicurezza palestinese, circa il disarmo delle milizie, la Fraccaroli scrive: " Intanto però la pressione su Gaza, che si traduce nella chiusura dei valichi al confine con Israele, sta causando enormi disagi alla popolazione ".
La chiusura dei valichi non è messa in relazione con la sua causa, il terrorismo, ma con la prospettiva, incoraggiante, ma ancora incerta, che le autorità palestinesi lo combattano. In questo modo Israele viene fatto apparire crudele e irragionevolmente intransigente (potrebbe aspettare che Abu Mazen riesca a ottenere ciò che chiede ai terroristi).
Nell'articolo si tace la moderazione della risposta miltare israeliana agli attentati, prefigurando con toni di grande allarme un'operazione che ancora non è in corso, si riporta la notizia di morti al valico di Rafah di cui non si ha alcuna certezza, mentre non si accenna alla morte cerebrale della ragazza di 17 anni colpita da un razzo qassam a Sderot.
Ecco il testo:

Il tentativo del presidente palestinese Abu Mazen, giunto ieri a Gaza per avviare colloqui con i gruppi armati dell'Intifada, di ottenere un cessate il fuoco totale sembrava lì lì per naufragare: era arrivato con la richiesta, tra l'altro, della fine del lancio di Qassam, e diversi razzi hanno centrato alcune colonie ebraiche; lo stesso premier israeliano Ariel Sharon è sfuggito a un missile caduto nel piazzale della base militare di Nissanit, dove stava discutendo con i comandanti militari locali. Poi, in serata, un segnale positivo: le Brigate dei martiri di al-Aqsa hanno annunciato la sospensione degli attacchi contro Israele «in linea con le decisioni di Abu Mazen», ha annunciato Zakariah Zubeidi, uno dei comandanti delle Brigate in Cisgiordania. È un primo successo per il presidente, che due giorni fa aveva chiesto ad al-Aqsa di «integrarsi con i servizi di sicurezza» dell'Autorità nazionale palestinese: tentativo di "politicizzare" il gruppo per fargli, così, abbandonare la strada della violenza. Ed è incoraggiante il fatto che secondo Zubeidi sarebbero i corso consultazioni fra i vari gruppi della Galassia di al-Aqsa per decidere se lo stop alle operazioni militari a Gaza e in Cisgirdania. È solo l'inizio di un "lavoro ai fianchi" dei gruppi armati difficile e delicato. Oggi, in un'atmosfera di grande incertezza, Abu Mazen incontrerà i dirigenti di Hamas e della Jihad per indurli a rinunciare alla lotta armata, ma i movimenti islamici alzano il prezzo di un'intesa politica e sono decisi a tenere alta la tensione sino a quando non otterranno una solida contropartita. Ieri, mentre il "rais" faceva ingresso a Gaza, un kamikaze si è fatto saltare in aria vicino alle colonie di Gush Qatif (parte meridionale della Striscia): un israeliano sarebbe morto o in fin di vita, ancora non è chiaro; altri sette sono stati feriti. L'attacco è stato rivendicato da Hamas (secondo cui le vittime israeliane sarebbero in realtà due) ed è un chiaro "messaggio" al presidente. Lo s tesso, Abu Mazen va avanti a muso duro contro la violenza e con il suo progetto per rimettere ordine nel caos dei Territori. «Tutte le armi che non appartengono ai servizi di sicurezza palestinesi saranno requisite», ha annunciato Bashir Nafa, capo delle Forze di sicurezza nazionali, considerato molto vicino al presidente. Intanto però la pressione su Gaza, che si traduce nella chiusura dei valichi al confine con Israele, sta causando enormi disagi alla popolazione. Da giorni migliaia di palestinesi sono bloccati al transito di Rafah in attesa che le autorità dello Stato ebraico autorizzino il loro rientro a casa. Secondo i centri per i diritti umani le condizioni di vita al valico sono gravi e si sarebbero verificati anche alcuni decessi tra la gente costretta a sostare in un hangar malandato e un improvvisato campo di tende messi a disposizione dalle autorità egiziane. Non bastasse, all'orizzonte si profila quell'ampia operazione militare nella Striscia di Gaza minacciata da Israele dopo l'attentato di settimana scorsa in cui sono rimasti uccisi sei israeliani, oltre ai tre kamikaze palestinesi responsabili dell'azione.
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