Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Un'intervista importante, ma condotta male da u.d.g.
Testata:L'Unita' Autore: Umberto De Giovannangeli Titolo: «"Abu Mazen bloccherà l'Intifada dei Kamikaze"»
Intervista di Umberto De Giovannangeli al segretario della presidenza palestinese Tayeb Abdelrahim sull'UNITA' di martedì 15-12-04. Abdelrahim fa una dichiarzione interessante, ma vaga, sul "diritto al ritorno dei rifugiati". U.d.g. avrebbe dovuto indagare più a fondo: che cosa significa in concreto che al problema deve essere data una "soluzioneche sia soddisfacente per entrambe le parti", che non miri a "modificare la struttura demografica di Israele"? Le posizioni di Israele e di Hamas vengono presentate ad Abdelrahim dall'intervistatore, che non si cura di sottolineare come il primo sia uno Stato aggredito dal terrorismo che lotta per garantire la propria sopravvivenza e la propria sicurezza, la seconda un'organizzazione terroristica islamista, che ha sempre perseguito proprio la distruzione di Israele. Nessuna replica segue all'affermazione di Abdelrahim secondo la quale "la ragione di fondo del conflitto" sarebbe "l'occupazione israeliana": in realtà le città palestinesi siono state rioccupate dagli israeliani solo dopo un'ondata di stragi terroristiche durata due anni. Il terrorismo, non l'occupazione che ne consegue, è dunque la "ragione di fondo del conflitto".
Ecco l'articolo: La prima considerazione è rivolta a Marwan Barghuti: «Con la decisione di ritirare la propria candidatura, Marwan ha dimostrato un grande senso di responsabilità. Si è trattato di una decisione importante che rafforza l’unità di Al-Fatah in continuità con la linea politica lasciataci in eredità dal presidente Arafat». A parlare è Tayeb Abdelrahim, segretario della presidenza palestinese e responsabile della campagna elettorale di Mahmoud Abbas (Abu Mazen). «Siamo pronti a riprendere le trattative con Israele - afferma Abdelrahim - ma ciò deve avvenire su basi paritarie e senza alcuna pregiudiziale». Nell’immediato, uno degli obiettivi della nuova leadership palestinese è quello di evitare il caos armato nei Territori: «Non può esistere un contropotere armato nei Territori - sottolinea Abdelrahim -. Bloccheremo i gruppi armati per favorire lo svolgersi pacifico delle elezioni presidenziali di gennaio. Dobbiamo andare verso una nuova era». Dopo l’abbandono di Barghuti, la strada di Abu Mazen per la successione ad Arafat appare in discesa: Tayeb Abdelrahim non si sbilancia e preferisce sottolineare il coinvolgimento popolare in queste elezioni : «Oltre il 78% dei palestinesi aventi diritto al voto si sono iscritti alle liste elettorali. È un segno di grande maturità di un popolo che pur sotto occupazione non rinuncia a costruire le basi di uno Stato palestinese democratico e indipendente». Dopo il ritiro di Marwan Barghuti dalla corsa alla successione di Yasser Arafat, si può dare per scontata la vittoria di Abu Mazen? «Voglio innanzitutto dare merito a Marwan Barghuti della scelta compiuta. Una scelta coraggiosa che rafforza l’unità di Al-Fatah in un momento decisivo nella storia del popolo palestinese. Il principio dell’unità ha sempre guidato l’azione del presidente Arafat, un principio che Mahmoud Abbas (Abu Mazen, ndr) intende preservare se verrà eletto alla presidenza dell’Anp». L’elezione di Abu Mazen è molto caldeggiata da Israele. «Ariel Sharon sbaglia se crede che Abu Mazen potrà essere un interlocutore arrendevole al tavolo del negoziato. Israele può invece essere certo che Abu Mazen crede fermamente nel dialogo e nella possibilità di un rilancio del processo di pace. Di certo sarà un interlocutore deciso e sincero, convinto che sia possibile raggiungere, se c’è una comune volontà politica, un accordo sullo statuto finale nel 2005, come prevede la Road Map». Qual è la pace di Abu Mazen? «È la pace fondata sul ripristino della legalità internazionale e dunque sull’attuazione, concordata, delle risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite. È la pace fondata sul principio di due Stati, uno dei quali, lo Stato palestinese, da edificare sui territori occupati da Israele nel 1967, salvo modifiche da concordare al tavolo del negoziato sulla base della reciprocità...». Tra i nodi più intricati da sciogliere c’è quello sul diritto al ritorno dei rifugiati. «È importante che Israele riconosca innanzitutto che quello dei rifugiati non è un problema umanitario ma politico e come tale va affrontato e portato a soluzione. Una volta acquisita questa premessa è possibile negoziare una soluzione che sia soddisfacente per ambedue le parti. Voglio essere ancora più esplicito: porre il diritto al ritorno dei rifugiati nell’agenda dei negoziati non significa che vogliamo modificare la struttura demografica di Israele, ma che vogliamo una soluzione a questo problema». Israele chiede alla nuova dirigenza palestinese una posizione chiara e un impegno conseguente contro il terrorismo. «Abu Mazen non è stato certo reticente nel condannare la deriva militarista dell’Intifada e nell’affermare più volte che l’uccisione di civili pregiudica irrimediabilmente la causa palestinese. Ma per isolare gli estremisti occorre ridare la parola alla politica e al negoziato, e Israele deve mostrare con i fatti l’asserita volontà di voltare pagina...». Quali potrebbero essere questi atti concreti? «Porre fine alle esecuzioni mirate e alla distruzione di abitazioni, sospendere la costruzione del muro in Cisgiordania». Israele ribatte che prima di agire in questa direzione vuole vedere un impegno reale dell’Anp contro i gruppi armati. «Stiamo mettendo mano ad una profonda riorganizzazione dei servizi di sicurezza e una delle priorità della nuova dirigenza sarà quella di ristabilire legge e ordine nei Territori. Ma la violenza può essere sradicata e una svolta potrà determinarsi solo se verrà meno la ragione di fondo del conflitto: l’occupazione dei Territori da parte israeliana». Hamas e gli altri gruppi radicali rivendicano la resistenza armata e accusano chi, come Abu Mazen, è contrario di cedimento al nemico. «Il popolo palestinese ha diritto a resistere all’occupazione israeliana ma questo diritto non coincide necessariamente con l’Intifada armata. Questo binomio va spezzato. Dobbiamo recuperare lo spirito della prima Intifada, e sviluppare una protesta popolare attraverso la pratica della disobbedienza civile e ogni altra forma di resistenza che non sia quella delle armi». Siete pronti a condividere con Israele la gestione del ritiro da Gaza? «Stiamo lavorando a questo. Ma il ritiro da Gaza non può essere fine a se stesso ma deve inquadrarsi in una strategia di pace che affronti tutti i contenziosi ancora aperti». In questi giorni Abu Mazen è impegnato nel tentativo di raggiungere una intesa con Hamas e la Jihad islamica per una tregua. Con quale esito? «I colloqui proseguono e siamo fiduciosi nella possibilità di raggiungere risultati positivi nelle prossime settimane». (ha collaborato Osama Hamlan) Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de L'Unità. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.