Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
I palestinesi sconfitti dall' oltranzismo, dal totalitarismo e dal terrorismo scelti dai loro leaders Carlo Panella e Dimitri Buffa rispondono ad Ali Rashid
Testata:Il Foglio - L'Opinione Autore: Carlo Panella - Dimitri Buffa Titolo: «Lettera al direttore - Ali Rahid e Arafat»
A pagina 4 IL FOGLIO di giovedì 2-12-04 pubblica una lettera di Carlo Panella in risposta ad Ali Rashid, che riportiamo: Al direttore - Le polemiche, soprattutto le più dure, possono servire a comprendere; per questo vorrei invitare il dottor Alì Rashid a riflettere con me e con chi altri voglia, nella sede che preferisca, sul tema centrale della vicenda palestinese: la tragedia di chi è stato sconfitto, come dolorosamente scrive. Tragedia che mi ha sempre coinvolto e commosso, come ogni parola che ho scritto o detto testimonia. Io sono convinto, a differenza del dottor Alì Rashid – per cercare di individuare il punto vero di dissenso – che questa sconfitta non sia responsabilità o colpa dell’avversario dei palestinesi. Io credo che la lotta dei palestinesi sia l’unico caso al mondo di rivoluzione nazionale sconfitta nel ’900 – come lo stesso Jibril Rajoub, se non sbaglio, rinfacciò ad Arafat – per due ragioni: perché i palestinesi si sono sempre schiarati dal lato dei totalitarismi contro le democrazie (nel 1914-’18 con gli imperi centrali autoritari, nel 1939-’45, alleati di Hitler, con formali strette di mano; nel 1947-’48, contro i deliberati dell’Onu; negli anni Cinquanta-Novanta, con l’Urss; nel 1990-’91, con Saddam Hussein che invade il Kuwait); e perché le loro leadership hanno sempre rifiutato, in realtà, il terreno della mediazione, della politica, concependola – in omaggio a una concezione fondamentalista della storia, della terra e dell’islam – al massimo come una "hudna", una tregua, per poter poi meglio riprendere la logica delle armi: nel 1936 rifiutano una "entità ebraica" di soli 5.000 chilometri quadrati; nel 1939, rifiutano il blocco dell’immigrazione ebraica offerto dall’Inghilterra (alla vigilia di Auschwitz!), perché vogliono anche anche l’espulsione dei sionisti; nel 1947 (e fino al 1988!) rifiutano la bipartizione sancita dall’Onu; nel 2000 rifiutano il 93-97 per cento dei Territori offerti da Barak, vanificando lo stesso "accordo per trovare un accordo" siglato nel 1993 e danno vita all’Intifada delle stragi. Non tanto la forza di Israele, ma soprattutto gli errori politici delle tre leadership palestinesi (Il Gran Muftì Haji Amin al Husseini, il nasserriano al Siqueiri e Yasser Arafat), sono la costante di questa tragedia. Mi appassiona questo confronto non per la storia, tantomeno per la polemica, ma perché voglio vedere la nascita di uno Stato palestinese, voglio vedere una leadership palestinese impegnata a costruire la sua democrazia, nel suo Stato, non la sua ennesima guerra persa. Ma perché questo accada, è necessaria una cesura, una virata netta rispetto a una ininterrotta tradizione politica palestinese che da 86 anni inanella sconfitte. Abu Mazen e Abu Ala questo progetto hanno tentato, questa strategia vogliono concretizzare. Credo, spero, che il dottor Ali Rashid sia più che interessato e convinto della necessità che questa svolta maturi. In prima pagina "L'Opinione" pubblica un articolo di Dimitri Buffa, "Ali Rashid e Arafat": Bellissima e commovente la lettera di Ali Rashid, vice ambasciatore palestinese in Italia, al "Foglio" per giustificare le sue poco felici, o del tutto infelici, espressioni indirizzate contro la giornalista Fiamma Nirenstein e il collega Carlo Panella durante un dibattito radiofonico sulla questione mediorientale. Si capisce che Rashid è un uomo messo in difficoltà dalle circostanze che si sono abbattute sul suo popolo. Una delle quali è quella che lui ritiene "ancora" essere invece un simbolo verso cui qualcuno ha mancato di riguardo: Yassir Arafat. Rashid alla fine dice di "non avere mai condiviso obbettivi o pratiche di chi nella sua lotta contro l’imperialismo intende sacrificare fino all’ ultimo palestinese, uomo o donna". E anche che "il terrorismo è il peggiore nemico delle cause che pretende di difendere o rappresentare". Bene Rashid, queste sono parole che commuovono quando le dice un uomo di potere come lei. Allora faccia un ulteriore passo: ammetta che, sebbene il terrorismo come metodo di lotta indipendentista lo hanno utilizzato tutti e, in passato, anche gli israeliani, i palestinesi si sono spinti oltre. Perché altrimenti gioire degli Scud di Saddam su Israele nel 1990 e dei due jet di Bin laden sulle Torri gemelle nel 2001? Che vantaggio hanno portato alla causa? E che vantaggio porta una scuola finanziata con soldi Ue dove i bambini di sei anni vengono istruiti a diventare martiri suicidi? Tutto questo è stato per volere di Arafat negli ultimi dodici anni. Prima era l¹uomo dei dirittamenti e dei sequestri e dell’uccisione di atleti olimpici o di vecchi paraplegici ebrei americani in vacanza, a Monaco nel 1972 o sull’Achille Lauro nel 1985. Perché vi siete tenuti un boia come questo e ancora oggi lo considerate un simbolo della vostra causa? Nessuno è contro il popolo palestinese, ma tutti siamo contro gente come Arafat. Considerato come singolo e con tutto il suo entourage corrotto e avido di potere. Vi foste buttati alle spalle tutto questo, aveste già dal 1993, dopo Oslo, fatto come Ghandi , avreste avuto una patria già da dieci anni. Come minimo. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio e L'Opinione. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.