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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
12.11.2004 Verso la guerra civile tra i palestinesi?
la sfida di Farouk Kaddumi, l'uomo del no ad Oslo

Testata:Il Foglio
Autore: un giornalista
Titolo: «Le trame scissioniste di Kaddoumi primo test per la Palestina dei vicerais»
In prima pagina sul FOGLIO di oggi, 12-11-04, l'articolo "Le trame scissioniste di Kaddoumi primo test per la Palestina dei vicerais", analizza la politica palestinese nel dopo-Arafat.
Ramallah. Non è morto un rais. La folla palestinese non si è riversata né nelle strade né nelle moschee, per piangere il suo leader, come fecero gli egiziani con Gamal Abdel Nasser. Con Yasser Arafat è morto il capo dell’Autorità nazionale palestinese, ma per colpa sua nessuno oggi sa più che cosa sia questa Anp. Ieri a mezzogiorno era ancora semideserta la spianata delle moschee di Gerusalemme. C’erano pochi, sparpagliati fedeli nell’enorme piazzale in cui si stagliano la moschea della Roccia, simbolo visivo dell’Intifada dei terroristi,
e la moschea di al Aqsa, che agli estremisti di al Fatah, mandati e finanziati da Arafat, dà il nome. Erano poche le macchine con il drappo nero e le foto di Abu Ammar nelle strade della periferia araba della capitale. Era chiuso il mercato nella città antica, ma chi entrava dalla porta di Damasco non se ne accorgeva: stessa confusione di sempre, stesse bancarelle; soltanto le botteghe delle stradine coperte del suk erano chiuse. Poi, a mezzogiorno, è arrivato l’ordine invisibile e perentorio, subito eseguito con evidente paura dei messaggeri: tutte le bancarelle sono state ripiegate. Ci sono invece state manifestazioni a Birzeit, l’università palestinese, e a Gaza, cortei preoccupanti perché non erano per Arafat, ma contro i suoi più quotati eredi:
Abu Mazen, Abu Ala, Mohammed Dahlan, Jibril Rajoub, tutti accomunati nell’epiteto di "servi di Sharon". Arafat non muore da rais, come Nasser,
con le folle che straripano il proprio dolore nelle strade d’Arabia. Non muore avendo preparato con cura la propria successione come il rais egiziano aveva saputo fare – e con quanta saggezza – con Anwar al Sadat. I giovani estremisti
di Birzeit e di Gaza, come i tanti armati che oggi spareranno in aria durante
la tumulazione di Abu Ammar nella Muqata di Ramallah, hanno già scelto a quale ramo appendere la propria violenza. Arafat lascia in eredità la stessa strategia della sua vita: confusione, ambiguità, secondo i suoi critici più teneri, doppiezza e avventurismo terrorista, secondo i più severi. L’unica eredità che ha scelto di lasciare sono i milioni di dollari su cui la moglie
Suha ha posto un’ipoteca, non soltanto per la sua nota bramosia di patrimoni, ma anche per le sue evidenti mire politiche. Chi controlla il patrimonio occulto del presidente dell’Anp ha non poco carburante per fare politica nei Territori nella prossima cruciale campagna elettorale. La carica di presidente dell’Anp è stata assunta ieri ad interim da Rawhi Fattuh, presidente del Parlamento. La scelta è inappuntabile sotto il profilo formale, ma si può rivelare disastrosa. Alle elezioni che si terranno entro 60 giorni non c’è un candidato favorito, investito del carisma della continuità. C’è qualcuno però che ha chance che altri non hanno: Faruk Kaddoumi, che ha tenuto per volontà di Arafat, fino alla sua morte, il controllo su tutta la rete diplomatica palestinese e che potrebbe diventare il leader di al Fatah, principale partito dell’Anp. E’ il più alto in statura politica tra i capi della prima generazione, pupillo di Damasco, in ottimi rapporti con Teheran. Kaddoumi vuole riunire tutti i gruppi palestinesi, fuori dai Territori, in Tunisia. La manovra, volutamente scissionista e provocatoria, farebbe intravedere la trama del progetto. Kaddoumi si vuole proporre come punto di riferimento per l’universo estremista palestinese, quella galassia che va da Hamas a Hezbollah, dal Fronte popolare al Jihad islamico. Questi gruppi sono sempre stati sussunti dalla leadership di Arafat che ha sempre manovrato con la loro forza per sviluppare la sua strategia oscura. Su di loro si è appoggiato per lanciare l’Intifada delle strade, dopo aver rifiutato la terra che Ehud Barak gli aveva offerto nel 2000 con Bill Clinton. Oggi Kaddoumi, che ha rifiutato gli accordi di Oslo del 1993, manovra per diventare il leader delle fazioni radicali.
Abu Mazen, Abu Ala e tutti i nazionalisti puri godono del vantaggio di una continuità formale nel potere, del rispetto internazionale, dell’apertura al dialogo. Se però Kaddoumi decide di premere sull’acceleratore della crisi interna, la loro risposta può essere: o chinare la testa o rispondere sullo stesso terreno. Se faranno questa scelta, sarà guerra civile.
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