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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Informazione Corretta Rassegna Stampa
09.11.2004 Si apre uno scenario imprevedibile: l’ottimismo prevalga sul pessimismo
la stampa palestinese denuncia il fallimento dell'Intifada

Testata:Informazione Corretta
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: «Si apre uno scenario imprevedibile: l’ottimismo prevalga sul pessimismo»
Negli ultimi due mesi molti commentatori, intellettuali politici o anche solo giornalisti, hanno pubblicato sulla stampa palestinese le loro riflessioni sul fallimento della seconda Intifada, sulle responsabilità della direzione politica con chiare allusioni ad Arafat, e sulla imminente sconfitta della causa palestinese.

Trascriviamo dalla traduzione fornitaci dal Middle East Media Research Institute alcuni di questi passaggi che riteniamo particolarmente significativi.



Muhammad Yaghi, editorialista del quotidiano palestinese Al-Ayyam e sostenitore dell’ iniziativa di pace di Ginevra, ha scritto lo scorso 30 settembre:

" Il fatto che noi abbiamo rifiutato di accettare il compito di decidere, come ci chiedevano il Rapporto Mitchell, il Piano Tenet e la Road Map, non ha giovato ai nostri interessi, bensì a quelli di Israele. Tutti ricordano che Israele scelse dal Rapporto Mitchell solamente quanto prevedeva un periodo di raffreddamento della violenza, allo scopo di evitare che la comunità internazionale intervenisse per forzare l’ adempimento delle restanti condizioni, ed ebbe successo perché noi rifiutammo di dare attuazione a quanto veniva richiesto a noi…E per quanto riguarda la Road Map…per varie ragioni, tra le quali il timore di scatenare un confronto interno, l’ Autorità Palestinese rifiutò di dare esecuzione a quanto era previsto in materia di sicurezza…".

E, proseguendo nella sua analisi:

"Uno dei fallimenti dell' Intifada è consistito nell' incapacità di tracciare una linea di demarcazione fra i mezzi di lotta legittimi e quelli illegittimi. Le operazioni militari palestinesi hanno fornito al governo d' Israele un pretesto... ed hanno tolto Israele dal suo isolamento...Queste azioni hanno prodotto l' equazione fra occupanti ed occupati nella maggior parte delle risoluzioni dell'ONU negli ultimi 4 anni...hanno indebolito gli elementi di pace in Israele, di cui abbiamo bisogno, ed hanno rafforzato i coloni e l' estrema destra israeliana a loro spese.La cosa più importante è che queste attività hanno spaccato il popolo palestinese a causa della diversità di opinioni in proposito...Cosicchè l' Intifada è diventata una Intifada delle elites militari anziché essere una Intifada del popolo.Ciò ha condotto ad una errata interpretazione degli eventi. Le dichiarazioni palestinesi infatti facevano riferimento ad un mutuo cessate il fuoco, come se vi fosse un esercito palestinese contro un esercito israeliano, invece di descrivere la situazione come uno scontro fra l' esercito israeliano ed il popolo palestinese...".



L' editorialista di Al-Ayyam Ashraf Al-Ajrami ha scritto: "Il danno più grave è stata la crescente prevalenza di una cultura negativa che glorifica la morte e si occupa della realtà come se fosse un fato predestinato, dal quale uno non si può liberare, una cultura che preferisce un ritorno alle radici contrastante con il corso della storia in uno sforzo fatto per sfuggire alla complessità della realtà e per nascondersi dietro un lontano passato".



Hafez Al-Barghuthi ha scritto su Al-Hayat Al-Jadida (28 settembre 2004): "Dobbiamo esercitare l' autocritica...l' Intifada non deve proseguire semplicemente per seguire il proprio corso...Qualsiasi lotta senza un obiettivo politico è una lotta futile...E' venuto il tempo in cui il sangue degli shahids (martiri) deve parlare e chiedere che si ponga fine al fiasco nell' arena interna del mondo palestinese.E' venuto il tempo per tutti, l' Autorità Palestinese e le fazioni palestinesi , di rispettare il loro popolo e gli interessi nazionali palestinesi e di avvicinarsi agli interessi comuni più ampi".



Queste voci, che si appellano al buon senso ed alla cautela, alle ragioni della politica piuttosto che a quelle della forza, sono divenute più frequenti, ma sono ciò malgrado rimaste isolate nel contesto della politica palestinese.Sicuramente, la linea di condotta imposta da Arafat e dai suoi fedeli del Fatah ha prevalso su qualsiasi altra, istigando alla violenza, corrompendo, impedendo la libertà di opinione ed educando al culto della violenza e della morte eroica.

L' aprirsi della lotta per la successione, che sarà aspra e crudele sotto i veli della dissimulazione alla quale non sapremo mai veramente abituarci (Arafat è morto, no non è morto, ha solo un raffreddore, no è in coma irreversibile, non è vero il coma è leggero...) potrà spalancare le porte anche a questi intellettuali ed alle loro idee se prevarranno i politici che Arafat aveva relegati ai margini del potere reale. L' esito della lotta fratricida dipenderà anche, e forse non poco, dalla capacità di impadronirsi delle chiavi di accesso al tesoro personale di Arafat, i miliardi di dollari che lo hanno collocato al sesto posto nella classifica di Forbes degli statisti più ricchi del mondo, e che ora sono nelle mani della vedova.Ma non dei legittimi proprietari, il popolo palestinese, al quale erano stati destinati dai donatori internazionali.




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