Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Viaggio nell'odio per Israele violento e intollerante a Pisa come negli Stati Uniti
Testata:Il Foglio Autore: Michele Battini - Marina Valensise Titolo: «Pisa antisemita - Glucksmann ci guida alla riscoperta dell'odio, sentimento dimenticato»
Dal Jerusalem Post e dal bollettino del Keren Hasyesod una testimonianza del clima violento e antisemita che domina nel movimento "pacifista" statunitense: Ecco l'articolo di Roberrt Jancu, avvocato e direttore dell'American Legal Response Team for Democracy (www.alert-ed.org), «La "Manifestazione della Pace" di Manhattan» Un venerdì ho letto su un giornale che un gruppo chiamato The Middle East Peace Coalition (La Coalizione della Pace in Medio Oriente) avrebbe tenuto una dimostrazione il giorno seguente, fra le 3 e le 6 del pomeriggio, a Manhattan, nello Union Square Park. Si trattava di uno delle tante manifestazioni pubbliche, organizzate da gruppi politici di ogni colore, in coincidenza con la Convenzione Nazionale Repubblicana, che doveva cominciare il 30 agosto.
Io voglio la pace in Medio Oriente, così ho deciso di prendere parte alla dimostrazione. Non avevo mai sentito parlare di questa Coalizione, ma mi immaginavo che sarebbe stato carino se io, ebreo sionista, avessi potuto trovarmi in piena solidarietà con una coalizione di persone che desiderano la pace fra Israele ed i suoi vicini arabi.
Ho scarabocchiato a mano un cartellone che annunciava semplicemente "Sionisti per la Pace" e disegnato una bandiera israeliana con i simboli della pace in uso nei lontani anni Sessanta.
Sono andato alla manifestazione con un'amica, Paulina Valish. Paulina è una dei sopravvissuti all'attentato suicida alla Discoteca del Dolphinarium di Tel Aviv, avvenuto il 1° giugno 2001, in cui 5 dei suoi amici, cristiani ed ebrei, furono fra i 21 adolescenti uccisi. Lei stessa rimase ricoverata in ospedale per due mesi, fu sottoposta a cinque operazioni (e dovrà farne un'altra), ha ancora chiodi e schegge metalliche della bomba nelle gambe, nella schiena e in un braccio e rimarrà per sempre priva di diversi pezzetti del corpo.
Anche lei è sionista ed anche lei vuole la pace.
Mentre Paulina ed io ci mischiavamo alla folla, tentando di avvicinarci all 'oratore, mi sono reso conto che questa manifestazione per la pace poteva non essere così come era stata pubblicizzata, quando ho individuato un uomo che una volta avevo visto vendere dei distintivi del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina.
Il FPLP è una banda marxista-leninista, specializzata nell'assassinio all' ingrosso di civili. Il Dipartimento di Stato americato la classifica, giustamente, fra le organizzazioni terroristiche straniere.
L'oratore alla manifestazione continuava ad insistere sul complotto sionista che controlla l'America.
"Chi dirige la politica estera americana in Medio Oriente? Chi ne è responsabile? Wolfowitz, Rumsfeld, Feith, Perle, Abrams: ebrei destrorsi, che lavorano per gli israeliani".
Chiamare Rumsfeld ebreo è stata una svista minima, se paragonata alla perorazione finale sui "Campi della morte sionisti".
Paulina ed io abbiamo non abbiamo avuto abbastanza tempo per ascoltare. Quando i manifestanti accanto a me hanno letto il mio innocente cartellone, mi si sono avvicinati. I sionisti odiano la pace, insistevano. Qualcuno mi ha chiamato nazista. La coraggiosa Paulina continauava ad appoggiarmi, tentando di capirci qualcosa, di questi bellicosi pacifisti. I giornalisti che ronzavano intorno, annusando il potenziale di una storia, scarabocchiavano brani di conversazione e scattavano istantanee, mentre la Middle East Peace Coalition formava un circolo intorno a Paulina e a me.
Una donna ha preteso che mettessi giù il mio cartellone "Sionisti per la Pace".
"Questa è una dimostrazione per la pace", ho obiettato.
"Chi ti ha detto che si trattava di una dimostrazione per la pace, eh?" ha detto.
Poi, in modo allarmante, ha urlato: "Niente giustizia, niente pace".
Augurandomi di non trovarmi dalla parte destinata a ricevere "niente pace", ho biascicato, pateticamente: "Middle East Peace Coalition. Diceva [il giornale] 'una dimostrazione per la pace'. Sul mio cartellone c'è scritto 'pace'".
Ne è seguito un dialogo fra sordi. Ho chiesto perché gli ebrei non possano avere uno stato come ogni altra nazione, esattamente come lo vogliono i palestinesi. O perché il Sionismo sia razzismo, se un intero 20% della popolazione israeliana è palestinese, metre gli arabi insistono che tutti gli ebrei abbandonino la Cisgiordania, in modo da avere uno stato senza ebrei.
Qualcuno ha preteso di sapere perché avessi nominato la situazione della West Bank e di Gaza, in quanto punti di attrito, invece di parlare di "tutta l'occupazione". Poi, un tale avviluppato in una bandiera palestinese ha affermato che, dal momento che tutto Israele è territorio occupato e l' esistenza d'Israele è quindi un crimine contro la pace, un sionista come me doveva essere, per definizione, un intruso in una manifestazione per la pace.
Qualcuno ha aggiunto che la stragrande maggioranza delle organizzazioni non-governative accreditate presso l'ONU, avevano dichiarato alla Conferenza Mondiale dell'ONU di Durban (Sud Africa) nel 2001 che il Sionismo era un movimento razzista ed illegale. Mi sono detto d'accordo che, nel complesso, le Nazioni Uniti e la Middle East Peace Coalition condividevano lo stesso modo di vedere Israele.
Avendo la sensazione di stare subendo uno 'scaccomatto', l'uomo che sembrava avere la responsabilità dell'evento, si è messo ad urlare: "Tornatevene nel vostro paese!"
Ritengo che intendesse Israele, sebbene io sia nato e cresciuto in America. Ma come può Israele essere il mio paese, se, secondo loro, Israele non deve esistere?
Alla fine, mi hanno tirato addosso la polizia. Un poliziotto molto gentile, chiamato Robert Chico, mi ha chiesto di andarmene. Per quanto non volessi fare problemi all'agente Chico, ho esposto il mio caso:
un sionista per la pace fa legittimamente parte della coalizione per la pace in Medio Oriente; questa è stata definita una dimostrazione per la pace in Medio Oriente; la città di New York ha concesso al gruppo il permesso di manifestare, sulla base di queste premesse; quindi, o che il loro permesso deve essere revocato, per essere stato richiesto sotto falso pretesto (Nella mia frustrazione, ho suggerito che avrebbe dovuto essere richiesto a nome della Coalizione per il genocidio in Medio Oriente"), o che a me viene concesso di rimanere e che questi agitatori contro la pace siano fatti allontanare.
Osservando il sarcasmo e gli epipeti di cui ero fatto oggetto mentre parlavo con lui, l'agente Chico ha detto di capire la mia posizione, ma di essere costretto a portarmi via, per la mia stessa protezione.
Paulina Valish, che è rimasta con me nel corso di tutta la dimostrazione pacifista, è un'anima intrepida.
In luglio, ha acconsentito alla proposta - fattale dal regista Pierre Rehov - di incontrare il padre del terrorista suicida del Dolphinarium (Il padre si è rifiutato di incontrarla e la Giordania - dove vive - si è rifiutata di accordarle il visto)
Studentessa di Storia e Scienze Politiche alla City University di New York, ha sostenuto discussioni con i compagni di classe musulmani, che difendevano gli attentati suicidi contro gli ebrei israeliani, e non ha mai rivelato di essere lei stessa stata vittima di tale atrocità.
Dopo che l'agente Chico ci ha fatto allontanare dalla dimostrazione pacifista, la coraggiosa Paulina ha osservato che aveva creduto che nulla ormai potesse più spaventarla, "ma che la Middle East Peace Coalition ci era riuscita". Dal FOGLIO di oggi, 21-10-04, la lettera del professor Michele Battini dell'Università di Pisa, sull'episodio di intolleranza e violenza contro il consigliere dell'ambasciata d'Israele avvenuto nel suo ateneo. Ecco l'articolo, "Pisa antiebraica" Partiamo da un fatto inoppugnabile. L’immagine della città e dell’Università pisana è, in questo momento, pessima. Qualità della ricerca, intensità della didattica, patrimonio bibliotecario, tradizione normalistica sono realtà che si sbriciolano di fronte alla gravità di ciò che è accaduto. La città ha conquistato ieri la prima pagina di tutti i quotidiani per le inaudite rivelazioni sull’archivio brigatista. Assieme ad altri, Enrico Letta veniva pedinato e schedato innanzitutto perché obiettivo facile e inerme. E’ difficile accettare che chi ha programmato e progettato questa infamia, commettendone altre, abbia vissuto e lavorato tra noi. Pisa è stata la sede nazionale, assieme a Firenze, delle "nuove" Brigate Rosse. La storia del gruppo è stata fatta. Sono evidenti le sue origini da associazioni e comitati della sinistra di movimento degli anni Novanta, se non in un rapporto di filiazione, certo di ambientazione sociale e culturale. Altrettanto certa è l’assenza di relazioni con le Br storiche, quelle vere, nonché con la sinistra estremista degli anni Sessanta e Settanta. (Non esiste insomma alcuna continuità o contiguità con la stagione del lungo Sessantotto pisano e con la sua principale eredità organizzata, come invece è stato a lungo sostenuto, anche da fonti ufficiali: la stessa colonna toscana delle prime Br, formatasi tra il 1976-77 e 1982, costituì una rottura, una cesura netta nei confronti del movimento studentesco e della sinistra extraparlamentare pisana). Però si pose, tra gli anni Settanta e Ottanta, ai singoli individui e alle forze organizzate di quella sinistra il dovere di un severissimo esame di coscienza per l’eventuale responsabilità di non avere combattuto decisamente le prime manifestazioni di terrorismo. E non da oggi, ad associazioni, forze collettive e singoli pacifisti si ripropone il problema della separazione tra legittima polemica politica, categorie dell’intolleranza, pratiche della violenza. E qui vengo all’Università. L’ateneo di Pisa è stato teatro di una indefinibile violenza antiebraica ai danni del Prof. Cohen. Le reazioni ci sono state, importanti, ma tardive e deboli, non tanto rispetto all’episodio ma al fenomeno di cui questo è l’effetto. La violenza contro Cohen e Vernassa non è infatti inedita né recente. Nell’aprile 2002 un piccolo corteo di italiani ebrei che celebrava l’Israel Day, fu aggredito con l’insulto di assassini da militanti filopalestinesi. La denuncia che ne feci sulla stampa locale e regionale – ovviamente incardinata, per deformazione pedagogica, sulla distinzione fra difesa dei diritti dei palestinesi, politiche governative israeliane e Stato di Israele – non aprì che una breve discussione. Altre iniziative di contrasto a tali degenerazioni, come le conferenze in provincia sull’antisemitismo, o l’incontro tra ebrei e palestinesi promosso dagli studenti della Scuola Normale Superiore e della Scuola di Sant’Anna, nel 2003, è stato ignorato. La sinistra, su questo terreno, ha fatto poco o nulla. Le proteste legittime o sacrosante – secondo i punti di vista – contro l’attuale guerra in Iraq, hanno riattizzato il fuoco sotto la cenere. Ora il segno è stato passato e si è impedita la libertà di parola. Tutti – a partire da noi professori – abbiamo il dovere di chiederci se abbiamo fatto il possibile per evitarlo. Oggi c’è un problema di politica di sicurezza, dentro e fuori l’Università, a tutela del diritto di parola di tutti, a cui si aggiunge però un problema di battaglia delle idee, a cui ci richiamava ieri il Foglio. Io penso che non basti un vuoto impegno "contro l’antisemitismo", obiettivo fuori bersaglio, ma che sia necessario spiegare come si è giunti a tutto questo. Il vero pericolo infatti, non è più da tempo l’antisemitismo classico (e non per caso i violenti che hanno bloccato Cohen rifiutano di essere definiti tali). Nel nostro mondo il razzismo antisemita è ormai un culto di pochi. Nel frattempo però l’avversione contro lo Stato di Israele si è trasformato in molti ambienti, in particolare della sinistra, in un nuovo tipo di antiebraismo che, successivamente ha riprodotto le pratiche dell’antisemitismo, delle quali continua ad apparire come un orrendo surrogato. L’episodio di Pisa rivela insomma che all’ordine del giorno c’è semmai la lotta contro una nuova oscena intolleranza fanatica verso gli ebrei, che vengono considerati, come tali, complici di Israele e quintessenza dell’imperialismo occidentale. Un mostro che non somiglia più all’antisemitismo, ma assume la veste di un antiamericanismo ideologico e si proclama fieramente antisionista, sino a identificare gli Stati Uniti con il "Grande Israele", ed entrambi con il professor Cohen. Michele Battini, Università di Pisa A pagina 2 Marina Valensise recensisce l'ultimo libro di Andrè Glucksmann, un'indagine sul terrorismo e l'antisemitismo come espressioni collettive della passione dell'odio. Ecco l'articolo: "Glucksmann ci guida alla riscoperta dell'odio, sentimento dimenticato" C’eravamo tanto indignati per l’impudenza di Karl Heinz Stockhausen dopo l’11 settembre. L’avevamo biasimato tutti per aver detto che l’attentato alle due torri era "la più grande opera d’arte mai realizzata". L’avevamo persino costretto a rettificare "volevo dire opera d’arte luciferina". Ma invece di puntare il dito contro l’ultimo compositore tedesco, era meglio se ci fossimo interrogati su cosa volesse dire. Saremmo riusciti a guardare dentro la tragedia dell’11 settembre, a perlustrare l’abisso dell’odio, squarciando il velo di illusioni che continuano a tenerlo nascosto a noi moderni. A dirlo oggi non è un integralista, e nemmeno un arrabbiato fondamentalista antioccidentale. E’ André Glucksmann, un pensatore che da decenni, da quando i boat people hanno iniziato a incrinare la catechesi comunista sulla guerra imperialista, e il Gulag di Solzenycin ha gettato un’ombra sinistra sull’utopia del bolscevismo realizzato, conduce la sua battaglia solitaria contro il conformismo mentale e l’atrofia morale dell’Europa. Nel nuovo pamphlet che proprio oggi arriva in libreria in Francia ("Le discours de la haine", Plon, 234 pagine, 18 euro), parte da questa semplice constatazione per cercare di capire come sopravvivere al terrorismo. Perché l’odio esiste, anche se l’uomo del XXI secolo ne è sorpreso, ogni volta che gli si para davanti e finisce per sentirsi sgomento davanti a tutti quelli che l’approvano e lo condividono mentre lui lo subisce. L’odio esiste e non è solo una pulsione di morte che prende il sopravvento sull’eros e sul principio di piacere, come pensava Freud. E’ molto di più. E’ un’infezione dell’anima, che si traduce in una rabbia sfrenata, in un furore selvaggio, in un piacere di fare il male per il gusto di vedersi fare il male. E’ una passione violenta, che più di ogni altra vive per il sempre, in vista di un tempo che si dilata. E’ un potere di nuocere che per i greci aveva tanti nomi quante le forme che prendeva: "menis" per la collera di Achille, in preda all’eroismo aggressivo, "mania" per la follia di Aiace, che umiliato dal primato di Ulisse si mette a sbranare i compagni nel sonno e gli amici sleali, "kholos" per la rabbia di Orazio, che fa a pezzi la sorella Camilla, quando la scopre in lacrime per l’amante Curiazio ch’egli stesso ha ucciso. "I sociologi leggono troppo poco, non conoscono i classici", lamenta Glucksmann. E’ bene dunque che i grandi classici tornino alla ribalta. Eschilo, Sofocle, Euripide, Seneca, Shakespeare, Racine: dai loro drammi Glucksmann attinge a piene mani, ed entra nel laboratorio segreto dell’odio. E’ inutile ridurre Mohammed Atta a un fanatico imbottito di risentimento, o una vittima dell’umiliazione, o un analfabeta del Corano. L’attentatore egiziano e i terroristi come lui sono esseri pensanti. La bomba umana ha una sua vita interiore, conflittuale come quella di ognuno di noi, dove la scelta di distruzione e di autodistruzione corrisponde a una logica spietata descritta minuziosamente dai grandi tragici dell’antichità. Prendiamo Seneca con la sua Medea, che è l’odio fatto donna. E’ la moglie tradita, abbandonata da Giasone, privata dei figli, che invece di cercare consolazione, infierisce sulle proprie ferite per esasperarne il dolore, sceglie l’automartirio come liberazione, mura la propria coscienza nel vuoto e infligge agli altri il suo stesso annientamento, uccidendo il fratello, e ammazzando i figli avuti da Giasone davanti agli occhi di lui. Il terrorista suicida è come Medea. Come lei, è una furia che crea il vuoto intorno a sé. E più si scopre alienato, senza passato, senza famiglia, più accumula energia per trasformare il dolore in furore e uccide e terrorizza senza condizioni. E’ questo l’odio, passione ermetica che ignora i fatti e il principio di realtà, e vede in ogni ostacolo l’effetto di un complotto. La novità per noi moderni è che oggi l’odio mobilita le masse, è una furia distruttiva che convoglia i deliri dei singoli verso un unico punto comune, l’odio degli ebrei. E a questo punto Glucksmann usa parole forti, senza indulgenza. Spiega per esempio come la questione ebraica non sia l’ossessione morbosa che sconvolge il cervello degli integralisti islamici. Ma è una passione inseparabile dall’homo occidentalis, iscritta nella storia stessa dell’umanità. Passione allucinogena, che non nasce dall’ebreo in carne ed ossa, bensì dalla testa dell’antisemita. E l’antisemita chi è? "E’un uomo che ha paura, paura di se stesso, della sua libertà, dei suoi istinti, delle sue responsabilità, del mondo e della società, paura del nuovo, paura di tutto tranne che degli ebrei. E’ un vigliacco che non vuole confessare la sua viltà. E’ la paura della condizione umana". Su quest’idea di Sartre s’innesta la riflessione di Glucksmann sull’antisemitismo, a cominciare da quello antico, quando la semplice persistenza dell’Antico Testamento bastava ad annullare il messaggio cristiano, e l’ebreo errante veniva relegato a immagine pietosa di chi non crede nel Redentore. Poi c’è stato l’antisemitismo moderno, quando l’Europa degli Stati nazione s’è trovata a assimilare o annientare quelle creature senza patria e senza confini che erano gli ebrei. Oggi, finita l’unanimità benpensante del dopo Auschwitz, nel nuovo ordine mondiale, l’odio dell’ebreo si chiama antisionismo, e fa altri danni. L’Europa indulge al terrorismo palestinese, mentre le teste calde paragonano Sharon a Hitler. La questione ebraica rinvia a una chimerica "coscienza mondiale", e gli ebrei non devono più parlare in quanto tali. Per la terza volta nella storia, devono rinunciare a se stessi. O accettano di mettere in questione la legittimità dello Stato di Israele, o vengono denunciati come sionisti venduti a una potenza straniera. Bel dilemma nel destino d’un popolo dilatato all’umanità. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.