Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Crisi politica in Libano: due quotidiani a confronto Il Manifesto ha in simpatia la Siria e accusa Israele di ogni male, Il Foglio fa informazione
Testata:Informazione Corretta Autore: la redazione Titolo: «Crisi politica in Libano: due quotidiani a confronto»
A pagina 3 IL MANIFESTO di oggi, 21-10-04 pubblica l'articolo di Michele Giorgio "Libano, si dimette il premier Hariri". Privo di ogni riferimento al fatto che la Siria è una brutale dittatura che occupa il Libano miltarmente (in proposito si usa invece il termine "presenza"), l'articolo non manca di rendere conto, senza specificarne la provenienza, della solita ipotesi dietrologca anti-israeliana. "Dopo il recente attentato subito dal ministro dimissionario Marwan Hamadeh", scrive il "cronista" del quotidiano comunista "(...) qualcuno tuttavia ha anche tirato in ballo Israele interessato a peggiorare l'immagine internazionale della Siria". Che splendida immagine, suggerisce Giorgio, potrebbero avere i siriani, la cui ultima impresa è la sperimentazione di armi chimiche sulle popolazioni civili del Darfur, se Israele non tramasse per rovinargliela! Ecco l'articolo: Alla fine il colpo di scena che tanti libanesi si attendevano Ë arrivato. Il primo ministro (e principale imprenditore del paese), Rafik Hariri, ieri ha presentato le dimissioni nelle mani del presidente Emile Lahoud, alleato della Siria e suo rivale accanito. Non Ë stato un fulmine a ciel sereno se si tiene conto della difficile situazione politica interna e delle enormi difficolt‡ economiche che il paese deve affrontare, a cominciare da un debito pubblico che tocca i 35 miliardi di dollari. Semmai a destare sorpresa Ë stata la decisione di Hariri di rassegnare le dimissioni nelle stesse ore in cui il Consiglio di sicurezza dellíOnu, con una ´dichiarazione formaleª, ha nuovamente invitato la Siria (senza nominarla) di ritirarsi dal Libano e chiesto al segretario generale Kofi Annan di fare un rapporto sulla situazione ogni seimesi. Hariri ieri ha voluto sancire, almeno in apparenza, la rottura con Lahud divenuta irreparabile dopo che il parlamento, il mese scorso, ha approvato, su evidenti pressioni siriane, un controverso emendamento costituzionale per prorogare di tre anni il mandato presidenziale. Hariri, che pure Ë un pro-siriano, si era opposto alla proroga ma successivamente si era piegato ai voleri di Damasco, decisa a mantenere ben salda líalleanza strategica con il Libano in un periodo delicato per le sorti del Medioriente. Líesecutivo libanese Ë uscito a pezzi dalla vicenda. Quattro ministri si sono dimessi e i tentativi di Hariri di includere nel governo ad altre forze politiche si sono rivelati impossibili. Líopposizione, soprattutto quella legata al Patriarca maronita Nasrallah Sfeir, ha messo in chiaro che non avrebbe partecipato ad un progetto politico che di fatto sarebbe servito a legittimare la presidenza Lahud. ´Affrontare le sfide Ë possibile solo con un fronte interno unito, che consentirebbe di rispondere alle aspirazioni dei libanesi. Dato che la realizzazione di tali obiettivi Ë bloccata da note circostanze politiche, ho ritenuto opportuno presentare le dimissioniª, ha spiegato il premier aggiungendo che non si ricandider‡ a guidare un nuovo esecutivo. Al suo posto potrebbe subentrare líex primo ministro Omar Karame (queste erano le voci che circolavano ieri a Beirut). Non sono pochi i libanesi che temono líinizio di un ciclo di violenze, dopo il recente attentato subito dal ministro dimissionario Marwan Hamadeh, uno stretto alleato del leader druso Walid Jumblatt messosi in evidenza in questi ultimi mesi come il pi˘ tenace oppositore dellíestensione del mandato presidenziale. Molti hanno visto dietro líattentato ad Hamadeh la mano di Damasco che, creando instabilit‡, ribadirebbe la necessit‡ della sua ´presenzaª militare in Libano (circa 17 mila soldati) per evitare una ripresa della guerra civile (1975-90). Qualcuno tuttavia ha anche tirato in ballo Israele interessato a peggiorare líimmagine internazionale della Siria, gi‡ soggetta a forti pressioni statunitensi ed ora orfana dellíimportante sostegno della Francia. Hariri, miliardario, in possesso anche di un passaporto saudita, Ë stato a capo del governo per quasi tutto il periodo successivo alla fine della guerra civile. Dopo líelezione di Lahud, nel 1998, si era schierato allíopposizione per poi tornare al potere nel 2000 a capo della controversa ricostruzione del Libano segnata da scandali e frequenti casi di corruzione. I suoi detrattori lo accusano di aver fatto di nuovo bella Beirut ñ e arricchito le sue imprese - a danno perÚ delle finanze dello stato. Proprio la capitale libanese, allíinizio di ottobre, ha dovuto fare i conti con lunghissimi black-out di energia elettrica per mancanza dei fondi necessari per pagare il carburante che alimenta le centrali elettriche del paese. Eí opinione diffusa che Hariri, dopo un periodo allíopposizione, tenter‡ di ripresentarsi come ´salvatore della patriaª. Díaltronde non sono pochi a ritenere che soltanto lui sia in grado di tenere in piedi i rapporti economici con i paesi arabi pi˘ ricchi che, di fatto, tengono in vita il Libano che affoga nei debiti. Ecco invece un esempio di informazione corretta sul Libano: l'articolo di Rolla Scolari "Il premier libanese se ne va perché vuole che la Siria se ne vada", a pagina 2 dell'inserto del FOGLIO di oggi: Il premier libanese, Rafiq Hariri, ha dato le dimissioni ieri, aprendo una crisi di governo annunciata più di una settimana fa dallo stesso primo ministro. All’origine dell’inquieto periodo politico libanese c’è l’emendamento costituzionale imposto dall’invadente vicino siriano, che permette al presidente Emile Lahoud di prolungare il suo mandato alla guida del paese. Hariri è un imprenditore edile musulmano sunnita (la Costituzione impone che chi occupa questa carica sia un sunnita, mentre il presidente è sempre un cristiano maronita), ha legato il suo nome e la sua fortuna finanziaria alla ricostruzione del paese devastato dalla ventennale guerra civile terminata nel 1990, ed è in ottimi rapporti anche con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. L’ingerenza di Damasco nella questione dell’emedamento della Carta fondamentale ha creato un violento dibattito nel paese e ha fatto sorgere un duro fronte d’opposizione, alla cui testa si è posto il leader druso Walid Joumblatt, capo del Partito socialista progressista. Ma le divisioni interne alla stessa opposizione hanno impedito la creazione di un governo di unità nazionale, ipotesi ventilata all’inizio della crisi. Hariri inoltre ha fatto sapere ieri che non ha intenzione di guidare un altro esecutivo, la cui formazione è prevista oggi. Tra i candidati premier favoriti c’è Omar Karami, vicino a Lahoud e già primo ministro dal 1990 al 1992, sotto la presidenza di Elias Hrawi. Le tensioni politiche di questi giorni risvegliano le angosce del passato. Non sono infatti soltanto i tagli alla corrente elettrica e i frequenti black-out dovuti all’alto prezzo del petrolio e all’esaurimento delle scorte di carburante nelle centrali termoelettriche a far rivivere le ansie della guerra civile. Il fallito attentato all’ex ministro all’Economia, Marwan Hamade, dimessosi in seguito al discusso emendamento costituzionale, l’inquietudine nei campi profughi palestinesi e l’internazionalizzazione della questione delle truppe siriane nel sud del Libano, portata sulle pagine di tutti i giornali dalla risoluzione 1.559 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, rievocano nel paese fantasmi di guerra, senza contare che a Beirut è stato anche sventato di recente un attentato a sedi diplomatiche straniere, tra cui quella italiana. Ancora ieri l’Onu ha ribadito, con una nuova dichiarazione, la necessità che Damasco porti a termine il ritiro delle sue truppe (15 mila) dal Libano e il disarmo delle milizie (Hezbollah), come richiesto dalla mozione 1.559, appoggiata da Stati Uniti e Francia, per una volta concordi in una questione di politica mediorientale. Puntuale è arrivata la risposta negativa del ministro degli Esteri siriano Farouk al Shareh, che peraltro si trovava a Bruxelles, a una cerimonia per la firma di un accordo di associazione tra Damasco e Ue, che prevede la creazione di un’area di libero scambio comune, anche se al primo posto dell’intesa figura un accordo per la lotta contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Da una parte la Siria si vede accolta nel quadro della partnership euromediterranea – ultimo lascito non proprio tempestivo della gestione Prodi – dall’altra un membro dell’Unione, la Francia, per tradizione amica di Damasco e poco incline a collaborazioni efficaci con gli Stati Uniti, minaccia il governo di Bashar al Assad di sanzioni. Nell’89, con gli accordi di Taef e per iniziativa di Stati Uniti e Siria, è stata raggiunta "una pace artificiale" in Libano. Oggi la 1.559 divide Damasco e Washington su Beirut. La risoluzione è un tentativo degli Stati Uniti di forzare la Siria al disarmo di Hezbollah e a disfarsi dell’influenza dell’Iran, che si materializza nel sostegno economico alla milizia sciita, pericolosa agli occhi dell’occidente nell’eventualità di un conseguimento del sogno nucleare dell’Iran. I timori atomici mettono d’accordo anche Francia e Stati Uniti, che tentano insieme di riportare la Siria a più miti consigli. Forti delle pressioni internazionali su Damasco, gli oppositori alla presenza siriana in Libano iniziano a farsi sentire. Hariri lo ha fatto ieri dimettendosi. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.