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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Avvenire - Il Manifesto Rassegna Stampa
13.10.2004 Intolleranza religiosa in Israele: quella dei privati viene punita, quella dello stato non esiste
il quotidiano cattolico e quello comunista possono cercare altrove le persecuzioni anticristiane

Testata:Avvenire - Il Manifesto
Autore: un giornalista - Michele Giorgio
Titolo: «Gerusalemme sfrattato l'ospedale gestito dalle suore. Per rimanere dovranno pagare tasse»
AVVENIRE di oggi, 13-10-04, pubblica a pagina 17 l'articolo «Gerusalemme sfrattato l'ospedale gestito dalle suore. Per rimanere dovranno pagare tasse "non dovute"», nel quale si sostiene che la controversia legale e fiscale sia un esempio di "intolleranza religiosa" e anche, citando una fonte dell'agenzia Asianews, che le autorità israeliane avrebbro intenzione, dopo la confisca dei beni dell'ospedale, di "mettere sulla strada uomini e donne moribondi".
Conseguenza che evidentemente non segue dalla premessa.
Ecco l'articolo

L'ospedale di St. Louis di Gerusalemme è retto dalle suore di San Giuseppe dell'Apparizione ed è specializzato nel trattamento di malati terminali. Attualmente ne ospita 50: cristiani, musulmani ed ebrei.
Sulla carta, un esempio di com-passione, di convivenza anche nel momento più difficile, più doloroso. Invece ecco che proprio un'esperienza tanto significativa diventa "ostaggio" dell'incomprensione: la municipalità di Gerusalemme ha infatti minacciato di confiscare i beni del St. Louis se le suore non pagheranno le tasse di proprietà entro il 31 ottobre. Mentre secondo i trattati internazionali, firmati da Israele, l'ospedale dovrebbe essere esente dalle tasse (e sembrava pensarla così anche il Ministro degli Interni israeliano Avraham Poraz che, in visita al Vaticano, settimane fa, aveva affermato che le istituzioni cattoliche non devono pagare tasse).
La vicenda, riportata dall'agenzia Asianews ha tutta l'aria di essere l'ennesimo "sgambetto" fatto dalle autorità israeliane alle istituzioni cattoliche presenti nel Paese. Un altro triste esempio di intolleranza religiosa: proprio ieri Haaretz ha dedicato un articolo in prima pagina, dal titolo «I cristiani di Gerusalemme vogliono che gli ebrei smettano di sputare su di loro», all'aggressione subita dal vescovo armeno della Città Santa oltraggiato da un giovane zelota estremista.
Fino ad ora il governo di Israele ha rifiutato di riconoscersi legato all'Accordo internazionale con la Santa Sede (il trattato del 30 dicembre 1993, conosciuto come Accordo Fondamentale), arrivando ad affermare di fronte ai tribunali che non ha valore. Alcune settimane fa l'arcidiocesi di Colonia - che ha diverse istituzioni in Terrasanta - si è rivolta all'Alta Corte di Giustizia d'Israele perché obblighi il governo ad affermare pubblicamente se riconosce vincolante o no l'Accordo solenne con la Santa Sede. Secondo osservatori a Gerusalemme, è possibile che proprio l'attesa della decisione dell'Alta Co rte abbia spinto le autorità municipali alla loro "campagna di intimidazione".
Intanto le suore di San Giuseppe dell'Apparizione sono in grande difficoltà. Una fonte di AsiaNews a Gerusalemme spiega: «Da una parte esse non intendono capitolare di fronte alle richieste ingiuste e illegali delle autorità fiscali. Dall'altra parte, non possono accettare di mettere sulla strada uomini e donne moribondi. La municipalità gioca proprio su questo: prima o poi, per amore ai malati, le suore si arrenderanno e questo potrà essere il primo di una serie di capitolazioni di ogni istituzione. Le autorità della Chiesa non lasceranno che succeda questo».
Il dramma dell'ospedale St. Louis ne richiama uno simile: quello dell'ospedale St. Joseph. In questo caso, il governo ha detto esplicitamente, di fronte a un tribunale, che l'Accordo Fondamentale non ha valore e ha chiesto alla Corte di accettare la posizione. La Chiesa si è appellata alla Corte Suprema e il caso è ancora in attesa di pronunciamento.
Accorata preoccupazione per la sorte dei cristiani in Israele è espressa anche dal MANIFESTO, generalmente più tiepido circa la sorte dei cristiani in Cina, Corea del Nord, Vietnam, Cuba, ma anche Sudan, Arabia Saudita e Anp.
Michele Giorgio scrive a pagina 6 l'articolo "Gerusalemme, botte e sputi dei coloni sui cristiani", nel quale viene ripresa una cronaca apparsa ieri su Haaretz.
http://www.haaretz.com/hasen/spages/487412.html
Rispetto all'articolo di Giorgio, però, quello del quotidiano israeliano cambia un po'. Infatti:
1) i coloni che occupano "illegalmente" case nel quartiere arabo di Gerusalemme divengono genericamente studenti delle yeshivà e viene precisato che gli incidenti hanno luogo per lo più nel quartiere ebraico e in quello armeno e intorno alla porta di Jaffa e non nel quartiere arabo (Porta di Damasco).
2) viene precisato che soltanto in due casi negli ultimi due anni la polizia di Gerusalemme ha ricevuto denunce da parte di cristiani, che tenderebbero a non rivolgersi alle autorità, e che in entrambi i casi i responsabili sono stati puniti.
Ecco l'articolo:

Si alza forte la protesta dei cristiani di Gerusalemme contro le molestie (sputi compresi) che, sempre più sistematicamente, subiscono dai coloni israeliani che vivono in case occupate nel settore arabo all'interno della città vecchia. A raccogliere la denuncia dei rappresentanti della comunità cristiana è stato anche il quotidiano israeliano Haaretz che ieri ha dedicato un editoriale e un lungo articolo - dal titolo «I cristiani di Gerusalemme vogliono che gli ebrei smettano di sputare su di loro» - all'aggressione subita dal vescovo armeno. Ancora una volta la stampa israeliana si dimostra più coraggiosa ed equilibrata di molti media internazionali che preferiscono riferire solo una parte di ciò che accade in questa terra e dimenticare il resto. Haaretz riporta un episodio denunciato dai rappresentanti cristiani, avvenuto domenica scorsa nel quartiere armeno. Durante la tradizionale processione della «Esaltazione della Sacra Croce della comunità armena», guidata dal vescovo Nurhan Manughian, un colono si è avvicinato e ha sputato sull'antica croce - del 17mo secolo - che il religioso stava portando in spalla. La provocazione ha scatenato una rissa e la croce si è rotta, suscitando sgomento tra i fedeli cristiani. La polizia israeliana è intervenuta ed ha fermato il giovane colono, Zvi Rosenthal, al quale è stato vietato di entrare nella città vecchia per i prossimi due mesi. Ma non è stato un fatto isolato, come rileva anche Haaretz, perché aggressioni del genere stanno diventando sempre più frequenti. Qualche settimana fa, ad esempio, una colona ha bussato al finestrino dell'automobile di un prete greco-ortodosso e quando il religioso ha aperto, gli ha sputato in faccia.A Gaza intanto si continua a morire. L'operazione israeliana «Giorni di Pentimento» è giunta al 14mo giorno e ieri alla Knesset il capo di stato maggiore, generale Moshe Yaalon, ha smentito le voci secondo cui le forze armate vorrebbero concluderla, mentre il governo Sharon sarebbe interessato a proseguire ad oltranza. «Noi non abbiamo proposto di terminare la operazione, ma solo di disporre diversamente le nostre forze sul terreno» ha precisato. In due settimane le vittime a Gaza sono oltre 114, fra cui numerosi civili. A fine settembre invece vennero uccisi cinque israeliani, tra cui due bambini colpiti da un razzo palestinese Qassam lanciato contro Sderot. Accuse al governo Sharon sono giunte dalla Croce Rossa Internazionale che ha denunciato la condizione di circa 15 mila civili palestinesi, circondati a Jabaliya (Gaza) dalle truppe israeliane, che non hanno accesso ad acqua potabile e cibo dallo scorso 28 settembre e sono aiutate solo delle organizzazioni umanitarie internazionali. La gravità della situazione a Gaza e in Cisgiordania è stata denunciata anche da Robert Derwyn Watkins, direttore dell'ufficio per il Medio Oriente degli aiuti umanitari dell'Onu (Echo). «Molti palestinesi sono tagliati fuori dai loro posti di lavoro e dalla loro terra», ha detto Watkins ricordando che solo nel nord della Cisgiordania ci sono 48 checkpoint e oltre 300 sbarramenti stradali che limitano gli spostamenti. La costruzione del muro, ha aggiunto, avrà conseguenze «gravissime» per oltre 680 mila palestinesi, circa il 30% degli abitanti della Cisgiordania. Anche il Segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ha espresso preoccupazione per le azioni militari israeliane e le violenze nella parte settentrionale della Striscia di Gaza.

Una bambina palestinese di Khan Yunis (Gaza) è in fin di vita, colpita ieri al petto da un proiettile israeliano mentre si trovava all'interno di una scuola gestita dall'Unrwa, la agenzia dell'Onu per i profughi palestinesi. In serata è giunta la notizia di un attentato a Gaza city contro Musa Arafat, capo dell'intelligence militare palestinese e cugino del presidente Yasser Arafat. Un'autobomba è esplosa al passaggio di un convoglio delle forze di sicurezza ma l'auto di Musa Arafat era già passata. Lo scoppio non ha provocato feriti. Ieri sera si parlava di un nuovo atto della lotta ai vertici dei servizi di sicurezza palestinesi in corso da mesi. Israele ha smentito un suo coinvolgimento.
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