Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Antisemitismo in Arabia Saudita, strategie della Turchia alternative all'ingresso in Europa cronache e analisi dal Medio Oriente
Testata:Il Foglio Autore: un giornalista - Carlo Panella Titolo: «Gli ebrei? "cospiratori dell'11/9, "nemici eterni". In onda a Riad - Se l'Europa bluffa, la turchia di Erdogan ha una carta di riserva»
Da pagina 3 del Foglio di oggi, 30-09-04, l'articolo "Gli ebrei? "cospiratori dell'11/9, "nemici eterni". In onda a Riad" Roma. Che opinione hanno dell’"ebreo" una decina di sauditi scelti a caso per strada? A questa domanda ha pensato bene di rispondere con una trasmissione ad hoc la televisione privata (saudita) Iqra tv. "Lei come essere umano sarebbe disposto a stringere la mano a un ebreo?", esordisce l’intervistatore. "Certamente no – replica un ragazzo sui vent’anni – per motivi religiosi e per via di quello che accade in Palestina. Ci sono molte ragioni che non mi consentono di stringere la mano a un ebreo". Stessa domanda a un altro giovane e stessa sicurezza: "No perché gli ebrei sono nostri nemici per l’eternità. Gli ebrei assassini violano tutti gli accordi". Convinzione granitica anche da parte del terzo interpellato, e dal quarto che rifiuterebbe la mano tesa di un ebreo perché stringendola sarebbe poi costretto ad amputare la propria. Il giornalista di Iqra tv insiste: "Se fosse un bambino a chiederle chi è un ebreo lei cosa direbbe?". Il quinto uomo sorride : "Gli ebrei sono nemici di Allah e del suo profeta". Il sesto aggiunge: "L’ebreo occupa le nostre terre". La telecamera si sposta sul bel volto di una ragazza velata di bianco, dice: "Naturalmente gli ebrei sono gli assassini del profeta". "La collera di Allah è su di loro – aggiunge l’ottavo intervistato, un giovane con barba e occhiali – tutti gli ebrei deviano dalla strada della giustizia, sono gli esseri più sporchi sulla faccia della terra, perché pensano soltanto a se stessi". Per lui la soluzione, "chiara a tutti" non può che essere una: "Se soltanto i musulmani dichiarassero il jihad… Ci sono Stati musulmani con 60-70 milioni di abitanti. Se lasciamo che uno solo di questi Stati marci su Israele, anche senza armi, schiaccerà tutti gli ebrei facendo di loro carcasse marce sotto i nostri piedi". Per il ragazzo dall’aria studiosa non basta il sostegno finanziario per le missioni dei terroristi suicidi. "Non è sufficiente che uno Stato dica: siamo con voi (con i palestinesi)". La sua invocazione è perentoria: "Combattiamo tutti il jihad!". Di jihad si parla spesso a Iqra tv, come documenta il monitoraggio di Memri (Middle East Media Research Institute). Dai teleschermi della tv, che fa delle tavole rotonde con i mufti un leitmotiv, hanno parlato Youssef al Qaradawi e gli altrettanto stimati Sheikh Abdallah Muslih ed il Dottor Nawar Nur. Se a Iqra tv al Qaradawi ha preferito concentrarsi sulla "disobbedienza femminile", in tema di ebrei e di jihad Muslih e Nur non si sono risparmiati. "Non c’è niente di sbagliato (negli attacchi suicidi) se causano un grave danno al nemico. Non solo – ha incalzato nel suo programma settimanale Muslih, presidente della Commissione scientifica sul Corano e la Sunnah della Lega mondiale musulmana – possiamo dire che, se l’operazione crea un grave danno, è una buona operazione". Se a saltare sono sauditi, algerini o siriani "tutto ciò è vietato fratelli!", ha chiarito . Per Nawar Nur e il figlio Hazem Saleh Abu Ismail i bersagli sono i soliti ebrei. In un commento sull’anniversario dell’11/9 sottolineano che "gli attacchi non hanno danneggiato la reputazione dell’islam negli Stati Uniti". I due, spiega il conduttore, devono saperne qualcosa: si dedicano al proselitismo proprio negli Stati Uniti. "Non è neanche stato provato che siano stati musulmani – dice Nur – non c’è stata nemmeno un’indagine, sono confusi su quello che è accaduto ed è per questo che così tanta gente si converte all’islam". Rincara la dose il figlio: "Questi eventi sono stati fabbricati per distorcere l’immagine dell’islam". Ma chi sono i cospiratori? Che domanda: "Chiaramente gli ebrei". A pagina 1 dell'inserto l'articolo di Carlo Panella "Se l'Europa bluffa, la Turchia di Erdogan ha una carta di riserva" L’ammissione o no della Turchia nell’Unione europea è oggetto di dichiarazioni di leader politici franco-tedeschi caratterizzate da una pericolosa superficialità e ignoranza della complessità del problema, ben rispecchiate nella frase para razzista usata a proposito dal presidente della Commissione, Romano Prodi, un anno fa: "Mamma, li turchi!". In assenza di un’intelligenza politica collettiva, di un dibattito strategico serio, di una cultura politica condivisa, il tema è infatti affrontato secondo parametri "europei" formali. La Turchia entrerà o no in Europa se "rispetterà i parametri di Copenaghen". Il metodo delle procedure unificate e omnivalenti che soppianta quello dell’analisi politica – come si trattasse di stabilire la lunghezza dei cetrioli comunitari – diventa così merito. Il disastro è che questi parametri sono inadeguati a decidere e a formare una valutazione utile, in un senso o nell’altro, perché non contemplano la specificità unica del caso di una Turchia che chiede di entrare nell’Ue forte del suo essere l’unica nazione islamica a democrazia matura. I parametri di Copenaghen sono stati infatti definiti per risolvere quello che era il problema del 1993: l’ammissione dei paesi di "democrazia popolare". Applicarli oggi è un "non senso". Essi, infatti, si dilungano sul tema – allora cogente – del pieno esercizio della proprietà privata, della libertà economica e sociale, del pluralismo, del superamento della proprietà dello Stato dei mezzi di produzione, di liberalizzazione dell’agricoltura e dei commerci, e ignorano il delicato e fondamentale problema della laicità dello Stato, che era acquisito e scontato nei paesi ex comunisti. Ma questo è invece il tema centrale in una nazione musulmana. Questo è invece il primato, l’originalità di una Turchia kemalista in cui questa laicità, così come la piena democrazia, è stata garantita dall’ingerenza costituzionale dei militari, del vertice delle Forze armate che presiedeva il Consiglio per la sicurezza nazionale. Un Consiglio con funzioni di Corte costituzionale, presidio non solo di laicità, ma anche di democrazia. Grazie a questo Consiglio per ben due volte, infatti, le Forze armate turche hanno "sospeso" la democrazia, sconfitto nel 1960 un golpe di Menderes e nel 1980 un terrorismo devastante, e poi hanno spontaneamente riconsegnato il paese alla libera dialettica democratica. Oggi questo ruolo dei militari turchi viene ovviamente abbattuto su richiesta dell’Ue, il Consiglio di sicurezza nazionale è sterilizzato, a dimostrazione di quanto questo meccanismo dei parametri sia sbagliato. Il partito islamico Akp del premier Tayyp Erdogan ha infatti tutto l’interesse a smantellare il controllo dei militari sulla laicità dello Stato (come pensa un’Europa che crede che il suo Montesquieu sia applicabile meccanicamente anche alla società islamica) e con ciò l’Ue apre le porte proprio a un’islamizzazione – già iniziata – dello Stato turco. Il tutto, naturalmente, senza neanche che i vertici europei se ne accorgano. Ma l’Europa non vede, non discute, non si preoccupa di molte altre cose che riguardano la Turchia. Non valuta il fatto che il suo attuale governo a simpatia islamica è in realtà il frutto episodico di una legge elettorale anomala e mal scritta che assegna il 66 per cento dei seggi parlamentari a un partito che ha solo il 34,29 per cento dei suffragi e che esclude, con un incredibile sbarramento al 10 per cento, i partiti storici (in crisi cronica) permettendo solo la presenza di due forze politiche in Parlamento. Ma l’Europa non sa e non valuta, soprattutto, che i vari "mamma li turchi!" di Prodi e dei leader della vecchia Europa franco-tedesca, hanno già spinto il governo di Erdogan a delineare un’alternativa strategica all’ingresso nell’Unione europea. Alternativa praticabile con profitto, quanto pericolosa e destabilizzante per l’Europa. La strategia alternativa prevede che nel caso l’Ue non sappia comprendere e apprezzare la scelta storica dei turchi di entrare in occidente, di sentirsi occidente, svolta epocale, Ankara non farà altro che riproporre lo schema che ha funzionato per 16 secoli a Istanbul, prima con i bizantini, poi con gli ottomani: egemonizzare la sponda sud del Mediterraneo, il Caucaso e penetrare nell’Asia centrale turcofona (e ricchissima di petrolio). E’ una strategia praticabile, perché si basa su una novità della Turchia di oggi, che la differenzia da quella degli ultimi secoli: il ritmo di espansione della sua forza economica, del suo sviluppo nella modernità e la sua coesione politica interna. Tutta la storia recente d’Europa, dall’avventura napoleonica in Egitto in poi, è stata condizionata da una progressiva erosione di tipo coloniale di un impero ottomano che è stato in condizioni preagoniche per più di un secolo. Gigante perennemente impermeabile alla modernità, tenuto assieme solo da un gigantesco apparato amministrativo e da un esercito relativamente efficiente (oltre che dall’eclissi totale di un mondo arabo sottomesso, prono e per cinque secoli incolto), l’impero ottomano era forte solo della sua debolezza e fu sbocconcellato pezzo a pezzo ora da una, ora dall’altra potenza europea (Italia inclusa, in Libia). Oggi, invece, il "sistema Turchia" è forte economicamente (ha un tasso di sviluppo annuo dell’8 per cento e un’inflazione a una cifra) e altrettanto lo è politicamente e culturalmente. Una rinnovata e pacifica leadership economico- politica della Turchia del mondo arabo- islamico è dunque praticabile e può svilupparsi. Se Ankara sarà ammessa in Europa, si consoliderà a tutto vantaggio del vecchio continente. Ma è indubbio che questa leadership mediterranea potrà svilupparsi anche se Ankara sarà rifiutata dall’Ue. In questo caso, però, vi potranno essere aspetti non simpatici per l’Europa costretta a confrontarsi con un paese forte che rappresenta sul mediterraneo un punto di vista asiatico, oggi caratterizzato da molte "asprezze" religiose, politiche e culturali nei confronti dell’occidente. Come spesso succede, anche in questo caso si può leggere il futuro guardando a come questa nuova strategia si rapporta alla pietra dello scandalo della modernità: lo Stato degli ebrei, Israele. La Turchia, si sa, pur avendo votato nel 1947 in sede Onu contro la nascita di Israele, carta di riserva Israele, dagli anni 50 in poi è stato il più fedele alleato mediterraneo di Gerusalemme. Lo è stata perché alleata degli Usa e inserita nel blocco Nato; perché avversaria dell’Urss e delle sue relazioni con i regimi arabi che solo sull’odio per Israele si giustificavano; perché la comunità ebraica è integrata in una nazione turca che non conosce l’antisemitismo; perché, infine, i turchi mantengono un certo disprezzo per gli arabi che hanno dominato per 400 anni e che mai hanno avuto forza e fierezza di ribellarsi al loro dominio. Il governo di Erdogan ha conservato alta questa alleanza: sono continuate le manovre navali congiunte tra le due flotte; durante la guerra del 2003 contro Saddam le coste israeliane erano protette da navi turche; continua la collaborazione nell’industria bellica ed è stato firmato un contratto strategico per la fornitura di 50 milioni di metri cubi d’acqua l’anno a Gerusalemme. Ma Erdogan ha anche iniziato una strana, pericolosa, presa di distanze: due settimane dopo la distruzione di case a Gaza per bonificare i tunnel del contrabbando d’armi di Hamas, dunque a freddo, ha accusato Israele di scelte spregevoli. Da quel momento in poi le relazioni formali tra i due Stati si sono fatte critiche. Passate poche settimane si è capito il perché di quelle parole di Erdogan: a sorpresa la Turchia è stata infatti nominata al vertice della Organizzazione della conferenza islamica, che raccoglie ben 54 paesi musulmani, organizzazione sinora egemonizzata dai sauditi, cui Ankara sino a pochi anni fa aderiva con riserva, per rispetto della propria Costituzione laica. Organizzazione, ovviamente, fortemente antisionista. Questa nuova leadership musulmana di alta levatura politica – più che sostanziale – viene dunque ad arricchire la dote che la Turchia di Erdogan intende offrire all’Europa in caso di nozze. Se però sarà ripudiata prima ancora del matrimonio, o se sarà costretta a una umiliante attesa di 15-20 anni (come i geniali strateghi di certa Europa intendono fare), si può stare tranquilli che Ankara si cercherà altri rapporti, altre relazioni e offrirà a un mondo islamico ostile all’occidente quel che oggi gli manca: la leadership di un paese economicamente forte, unito, che insegue, con possibilità di successo, il sogno di una presenza mediterranea e asiatica forte e aggressiva. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.