Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele "terrorista", Hamas "estremista" lo strano linguaggio di tre quotidiani italiani
Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - L'Unità Autore: Giuliano Gallo - la redazione - Umberto De Giovannangeli Titolo: «Capo di Hamas ucciso a Damasco»
A pagina 11 del Corriere della Sera di oggi, 27-09-04, Giuliano Gallo firma l'articolo "Capo di Hamas ucciso a Damasco" sull'esecuziozione di Ezzedin Sheik Khalil, definita impropriamente, nelle utime righe e nell'occhiello "attentato". Ecco il pezzo: «Ci ha detto buongiorno come fa sempre, poi è entrato in macchina. Il telefonato ha suonato, lui ha risposto. E abbiamo sentito l'esplosione. Siamo accorsi e abbiamo visto pezzi di cadavere sparsi ovunque sul sedile posteriore». E' morto così, alle 10 e mezza del mattino, Ezzedin Sheik Khalil, 42 anni, numero due di Hamas a Damasco. La lunga mano del Mossad, il servizio segreto israeliano, è arrivata fino in Siria, che ha reagito con durezza, minacciando «conseguenze» per «l'atto di terrorismo». L'azione era nell'aria, promessa da Ariel Sharon all'indomani della strage di Beersheva, il 31 agosto scorso. Khalil si era rifugiato a Damasco nel '92, dopo essere stato espulso in Libano assieme ad altri 400 militanti palestinesi. Un veterano dell'organizzazione, ufficialmente responsabile della Dawa, ovvero del settore propaganda. Anche se altre fonti, sia palestinesi che israeliane, lo consideravano uno dei responsabili del braccio armato che agisce dalla Siria. Israele naturalmente non ha rivendicato in maniera ufficiale l'attentato, anche se nessuno sembra avere dubbi. «Alcune persone fanno una vita pericolosa», si è limitato a commentare un alto funzionario governativo. Solo il ministro per la Sicurezza interna, Gideon Ezra, è sbottato in un «ne sono lieto» quando i cronisti gli hanno dato la notizia. Salvo affrettarsi a precisare di non «sapere nulla» su di un possibile coinvolgimento dei servizi israeliani. Per una coincidenza nemmeno troppo singolare, proprio ieri mattina, nella solita riunione domenicale del governo, Sharon aveva ribadito la necessità di accelerare la lotta al terrorismo: «Ho dato ordine alle nostre forze di intensificare la loro azione, in particolare per impedire ai terroristi palestinesi di sparare razzi o proiettili di mortaio contro Israele». Ineluttabile e prevedibile la reazione dei vertici di Hamas: «Il nemico sionista dovrà pagare le conseguenze di ciò che ha fatto». Una «dolorosa vendetta», ma su dove consumarla Hamas si è subito divisa. Sul sito web dell'organizzazione un comunicato adombrava la possibilità di rispondere a Israele con la stessa moneta, colpendo «interessi israeliani all'estero». Ma subito il portavoce di Hamas in Libano, Osama Hamdan, si affrettava a precisare che «finora non c'è alcun cambiamento nelle politiche di Hamas. Che colpirà nel momento e nel luogo opportuno». Toccherà comunque alle Brigate Ezzedin al Qassam, di colpire. Quelle brigate che rappresentano il braccio armato di Hamas e delle quali Ezzedin Khalil veniva considerato il capo fuori dalla West Bank. Secondo Debka File, il sito Internet israeliano considerato la fonte più attendibile in materia di terrorismo e servizi segreti, «Khalil ordinava tutti gli attentati terroristici del gruppo». Era dunque l'obbiettivo più importante in Siria dopo Khaled Mashal, il capo dell'ufficio politico di Hamas a Damasco, considerato il leader supremo dell'organizzazione. Mashal, secondo il quotidiano israeliano Jerusalem Post di ieri, avrebbe comunque lasciato proprio in questi giorni Damasco, assieme a decine di altri palestinesi, dopo che il governo siriano aveva ufficialmente chiuso 10 sedi di altrettante organizzazioni e tagliato addirittura le linee telefoniche. In questa nuova diaspora forzata, i leader dei gruppi palestinesi si sarebbero rifugiati parte in Qatar e parte in Iran. La morte di Khalil suona comunque come un durissimo monito a Damasco, monito che peraltro la Siria sembrava già aver preso molto sul serio. Secondo il quotidiano arabo in lingua inglese Al Hayat, il Mossad dopo l'attentato di Beersheva aveva ricevuto informazioni sui movimenti dei capi di Hamas all'estero «dall'intelligence di un Paese arabo». Al Hayat non fa esplicitamente il nome della Siria, ma neppure lo esclude. Secondo le fonti del giornale arabo, «gli israeliani sono interessati a tutto quello che concerne i movimenti degli uomini di Hamas: sanno dove vivono, cosa mangiano, cosa bevono e dove lavano i loro panni». Il micidiale attentato di Damasco sembra confermarlo: chi ha piazzato la bomba nell'auto possedeva anche il numero del cellulare di Khalil, adoperato probabilmente per innescare l'esplosione secondo una tecnica già usata in passato. Per Yoni Figel, un ex generale che oggi lavora al centro antiterrorismo di Herzliya, considerato uno dei massimi esperti del ramo, l'attentato di ieri arriva comunque tardi: «Ritengo che atti del genere dovevano essere fatti già da tempo». Il problema, dice Figel, è capire se davvero i gruppi terroristici «potrebbero prendere la decisione di fare attentati contro Israele anche all'estero. Forse Hamas potrebbe far parte dell'organizzazione di attentati del genere, nel caso non riuscisse a compierli dentro Israele». Anche in prima pagina, dove la notizia è richiamata, viene usato il termine "attentato", accomunando così il terrorismo e l'eliminazione dei terrorrristi in un'unica denominazione. Ecco il testo. Attentato a Damasco. E' stato ucciso Ezzedin Sheik Khalil, 42 anni, leader militare nella capitale siriana dell'organizzazione terroristica palestinese Hamas. La sua auto è esplosa quando Khalil ha risposto al cellulare. La Siria accusa i servizi segreti israeliani, e minaccia conseguenze per «l'atto terroristico». Israele risponde, senza smentire la responsabilità: «Alcune persone fanno una vita pericolosa». Se le esecuzioni mirate, per il Corriere, sono "attentati", le stragi di civili israeliani sono invece una "rivolta armata". Ecco infatti come la notizia vene commentata sul sito del quotidiano, all'indirizzo: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2004/09_Settembre/26/hamas.shtml Il governo di Ariel Sharon ha minacciato più volte di colpire i leader della rivolta armata, sia in Cisgiordania e Gaza sia all'estero. Per Repubblica online il terrorismo è invece "estremismo". Ecco la notizia come viene data nella pagina web: http://www.repubblica.it/2004/g/sezioni/esteri/moriente10/hama/hama.html (...) Un alto dirigente del gruppo estremistico palestinese Hamas è rimasto ucciso nell'eplosione della sua automobile a Damasco in Siria. L'estremista ucciso è Izzedin Shiekh Khalil, dirigente insieme con Imad al Alami della base a Damasco del Movimento per la resistenza islamica. (...) Sulla Home page dell'Unità l'equivalenza tra stragismo ed eliminazioni mirate degli stragisti diviene esplicita:
http://www.unita.it/index.asp?sezione_cod=HP
Ucciso, coi metodi dei terroristi: un’autobomba. A piazzarla stavolta però sarebbero stati i servizi israeliani. A Damasco. La vittima era un dirigente di Hamas. (...)
Nell'articolo di u.d.g. a pagina 4 del quotidiano diretto da Furio Colombo, la parola "terrorista" compare solo riferita a Israele, nellle dichiarazioni palestinesi di condanna dell'esecuzione. Qust'ultima è definita dal giornalista "attentato" e viene indicata come la premessa della "risposta" di Hamas e dell'aggravarsi dell'immancabile "spirale di sangue, di odio e di vendetta". Una figura retorica, quella della "spirale della violenza", che permette di ignorare l'aggressione terroristica contro Israele e le precise responsabilità dei suoi ideatori. Ecco il pezzo: Ariel Sharon lo aveva promesso dopo il sanguinoso duplice attentato suicida di Beer Sheva del 31 agosto: colpiremo i capi di Hamas ovunque si trovino, anche fuori la Palestina. Anche a Damasco. Così è stato. La minaccia si è materializzata domenica mattina nella capitale siriana, quando un'autobomba è esplosa nel popolare quartiere di Zahira. L'obiettivo dell'attentato è Izzedin Sobhi Sheikh Khalil, 42 anni, uno dei più importanti esponenti di Hamas in Siria.
La deflagrazione, potentissima, riduce l'automezzo in un ammasso informe di lamiere. Sono le 11:30 quando il dirigente di Hamas esce dalla sua abitazione. "Ci ha detto buongiorno come fa sempre ed è entrato in macchina", racconta Nabil, un vicino di casa. Khalil si siede nel suo fuoristrada Suv inserisce la chiave per l'accensione e avvia il motore. "Il telefono cellulare ha suonato e quando ha risposto, abbiamo sentito l'esplosione", riferisce ancora Nabil, "siamo accorsi e abbiamo visto pezzi di cadavere sparsi ovunque sul sedile posteriore".
La carica esplosiva è stata piazzata probabilmente sotto il sedile del guidatore. Tutto si svolge in pochi secondi, un'operazione da professionisti, la prima del genere a Damasco. Il bilancio dell'attentato è di un morto, Khalil, e tre feriti. Per Hamas non vi sono dubbi: si tratta di un atto di "terrorismo di Stato" ordinato da Sharon, un "crimine codardo compiuto dal sionista Mossad" il servizio di intelligence israeliano. "Se Israele esporta la guerra all'estero, Hamas sarà costretto a fare altrettanto", avverte lo sceicco Hassan Yussef, uno dei leader islamici nei Territori. "Anche se le brigate Ezzedine al-Qassam si sono sempre preoccupate di tenere le loro pistole puntate verso Israele, e abbiamo consentito a centinaia di migliaia di sionisti di spostarsi e viaggiare in tutte le capitali del mondo, non siamo stati noi a cominciare la battaglia all'estero ma il nemico sionista, e ora dovrà rispondere di ciò che ha fatto, dei suoi atti", afferma in un comunicato il braccio armato di Hamas.
L'attentato di Damasco è condannato dall'Anp: "Si tratta di un'azione terroristica che punta a destabilizzare l'intera area. Israele vuole provocare la reazione siriana e innescare un conflitto regionale", dice a l'Unità Saeb Erekat, ministro per gli affari negoziali dell'Anp.
Izzedin Sobhi Sheikh Khalil, originario di Sajjaya (Gaza), era considerato uno dei fondatori delle Brigate Al Qassam. Fu uno degli istruttori dell'"ingegner morte", il giovane tecnico palestinese Yihya Ayash, specialista nel confezionare ordigni micidiali, e fu incluso fra i 400 integralisti espulsi in Libano da Gaza su ordine dell'allora premier laburista Yitzhak Rabin. A differenza dei suoi compagni, non rientrò nella Striscia l'anno successivo, ma si trasferì a Damasco. Due settimane fa esplicite minacce contro la leadership di Hamas a Damasco furono lanciate dai massimi dirigenti israeliani quando 16 persone furono uccise in un duplice attentato a Beer Sheva (Neghev). Questa strage, secondo il premier Sharon, era stata pianificata da Hamas nella capitale siriana. Secondo fonti di intelligence di Tel Aviv, Khalil era il capo di tutte le operazioni terroristiche di Hamas, e il numero due di fatto fra i leader all'estero, dopo il capo dell'ufficio politico Khaled Mashal.
Le stesse fonti di intelligence ammettono che dietro l'attentato nella capitale siriana c'è la mano di Israele: "Alcune persone - afferma la fonte - conducono una vita pericolosa…". Le autorità siriane affidano la loro prima reazione a un laconico comunicato del ministero dell'Interno diffuso dall'agenzia ufficiale Sana: nella nota si conferma l'esplosione dell'autobomba e che "la vittima è Izzedin Sobhi Sheikh Khalil, un palestinese che era stato espulso dalle forze di occupazione israeliane in Libano durante la prima Intifada" e che questi "non praticava nessuna attività all'interno del territorio siriano". Damasco ha aperto un'inchiesta su quanto è accaduto. Una risposta indiretta alle accuse di Hamas arriva da Gerusalemme. "Ho dato ordine alle nostre forze armate di intensificare la loro azione, in particolare per impedire ai terroristi palestinesi di sparare razzi o proiettili di mortaio contro Israele", annuncia il premier all'apertura della riunione settimanale del governo. "Non ci saranno compromessi - ribadisce Sharon -: risponderemo con tutte le nostre forze a coloro che apriranno il fuoco contro di noi". Le dichiarazioni del premier israeliano intervengono poco dopo l'attentato di Damasco.
Lapidario è il commento del ministro della sicurezza interno Gideon Ezra alla notizia dell'uccisione dell'esponente di Hamas: "Ne sono felice", dichiara alla radio militare, aggiungendo però di "non sapere nulla in proposito", circa un possibile coinvolgimento dei servizi israeliani; "Ha avuto ciò che si meritava", taglia corto il titolare della Difesa, Shaul Mofaz. L'altro ieri, l'autorevole quotidiano arabo al-Hayat ha affermato che il Mossad è riuscito ad ottenere informazioni di prima mano sulle abitudini di tutti i dirigenti di Hamas attivi in Siria, Libano e Iran. Ventiquattr'ore dopo, scatta l'"eliminazione mirata" di Khalil. "Ci sono i nostri servizi dietro questa uccisione", conferma in serata il secondo canale della televisione israeliano, citando fonti anonime dell'intelligence. Ma di questa paternità nessuno aveva dubbi a Gerusalemme come a Gaza. Ed ora si attende la risposta di Hamas, in una spirale di sangue, di odio e di vendetta che appare, quattro anni dopo l'inizio della seconda Intifada, inarrestabile. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera, La Repubblica e L'Unità. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.