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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
16.09.2004 Rapimento delle volontarie italiane: chi è davvero l'ulema che accusa gli americani
ascoltato da troppi anche in Italia

Testata:Il Foglio
Autore: un giornalista
Titolo: «Consiglio degli ulema o consiglio dell’ipocrisia, o peggio ancora? - Tratta dei prigionieri o mediazione? L’ambiguità dei Kubaisi»
Chi è davvero Abdul Salam al Kubaisi, presidente del consiglio degli ulema che addossa all'America e al governo Allawi la responsabilità del rapimento di Simona Torretta e Simona Pari?
Due articoli da Il Foglio di ieri e di oggi, 15 e 16 settembre 2004:

A Baghdad hanno cominciato a soprannominarlo il "Consiglio
dei rapitori" o dell’"ipocrisia" a causa degli ambigui
rapporti fra esponenti del Consiglio degli ulema, di
matrice sunnita, e le bande che tengono in ostaggio gli occidentali.
I servizi segreti iracheni avrebbero raccolto
informazioni sulla collusione, grazie a un ex ostaggio che
capiva l’arabo all’insaputa dei sequestratori. Aspetterebbero
solo la soluzione del caso dei giornalisti francesi e delle
due volontarie italiane, in mano ai terroristi, per compiere
arresti eccellenti. Anche se i giornali italiani sembrano
non accorgersi della fama del Consiglio degli ulema
e ieri hanno dato ampio spazio alla tesi di uno dei suoi personaggi
più in vista e discussi, Abdul Salam al Kubaisi. Parlando
dei sequestratori di Simona Pari e Simona Torretta,
al Kubaisi ha avanzato il sospetto "che appartengano a
qualche intelligence straniera". Il portavoce del Consiglio
degli ulema, Muhammad Bashar al Fayadi, intervistato dal
giornale arabo Al Sharq Al Awsat, ha rincarato la dose: "Al
Kubaisi mi disse che loro due (le rapite, ndr) erano molto
intimorite e avevano paura degli americani e di alcuni uomini
delle forze governative irachene". Le ipotesi sono due:
la prima è che gli ulema, sollecitati a trovare un contatto con i sequestratori dall’ambasciatore italiano a Baghdad,
Gianludovico De Martino, non sappiano che fare e quindi
sparino notizie fantasiose per creare una cortina fumogena.
Se le due Simone fossero finite nelle mani dei "tagliatori
di teste" come Abu Musab al Zarqawi, sfuggirebbe anche
agli ulema il controllo della situazione. Lo stesso al
Zarqawi li ha accusati di essere "marci" e mollaccioni. Oppure
potrebbe essere che si tratti di un indiretto messaggio
di al Kubaisi al governo italiano. Se mi tagliate fuori dalle
trattative o cercate altri canali, sparo a zero sui vostri alleati
americani e iracheni. La conferenza stampa in cui è
affiorato il fantasioso complotto della Cia e del Mossad, a
danno delle volontarie italiane, è stata indetta il giorno in
cui il ministro degli Esteri, Franco Frattini, viaggiava nei
paesi del Golfo per cercare contatti e notizie. L’annuncio
che i kuwaitiani, i quali hanno una vasta rete di intelligence
in Iraq, avessero fornito "informazioni importanti" è
passato in secondo piano rispetto all’accusa di al Kubaisi.
L’ulema ha anche ribadito che le due italiane rapite si
sentivano minacciate e volevano organizzare una nuova
missione di aiuti a Fallujah, roccaforte della guerriglia sunnita.
"Un ponte per…", l’organizzazione umanitaria per la
quale le due Simone lavoravano, sostiene di non essere al
corrente delle recenti minacce. Fin da aprile, quando è
iniziato
l’assedio di Fallujah e sono scattati i rapimenti, tutti
i volontari stranieri a Baghdad sono in pericolo. Le due Simone
erano state informate dai collaboratori iracheni di
volantini che giravano in cui gli estremisti sunniti incitavano
al rapimento di stranieri, con in tasca un passaporto
di uno dei paesi "occupanti", anche se facevano del bene.
Le due volontarie, come il resto del personale umanitario,
furono evacuate per un breve periodo ad Amman. Tornarono
a Baghdad quando la situazione sembrava più calma.
Il 2 settembre un razzo è piombato a cinque metri dalla sede
di "Un ponte per…" e anche in questo caso i responsabili
hanno minimizzato, garantendo che non era indirizzato
all’ong italiana. Invece il fotografo Mario Boccia, che collabora
con il Manifesto ed era sul posto, ha spiegato, dopo
il rapimento, che arrivarono subito strani personaggi. Due
potevano sembrare contractor ed erano stranieri, ma un
terzo misterioso individuo gli si avvicinò nel buio, pochi minuti
dopo l’esplosione, per sussurrargli in inglese: "Non capisci,
siete un obiettivo, andatevene". La richiesta ad al Kubaisi,
da parte delle due Simone, di organizzare l’ennesimo
convoglio di aiuti a Fallujah, poche ore prima di essere rapite,
dimostra che sentendosi minacciate volevano ulteriormente
garantire che stavano con gli iracheni.


Da una settimana non si hanno notizie di
Simona Pari e Simona Torretta, rapite a
Baghdad, ma la pista più attendibile è quella
politica legata agli estremisti sunniti. "Un
ponte per…" è presente in Iraq fin dai tempi
dell’embargo contro il regime di Saddam
Hussein. I servizi del rais conoscevano bene
l’Ong italiana e la controllavano, come facevano
con tutte le organizzazioni umanitarie
in Iraq. Frange estremiste sunnite, o ex
membri dei servizi di Saddam, potrebbero
essere stati infastiditi dai rapporti stretti, di
aiuto umanitario, che le due Simone avevano
con gli sciiti e con uno dei loro giovani
sceicchi a Sadr city, sobborgo della capitale
in mano a Moqtada al Sadr. Gli sciiti sono
stati fra i primi a lanciare un appello per la
liberazione delle due volontarie. Un’altra
ipotesi riguarda un eventuale scambio di
prigionieri: le due ragazze in cambio di
qualche pezzo grosso sunnita in carcere a
Baghdad. Anche in questo caso ultimatum e
rivendicazioni propagandistiche sarebbero
controproducenti. Il sistema migliore è la richiesta
riservata, fatta pervenire direttamente
al governo italiano, costretto poi a farsi
carico di esercitare pressioni sul premier
Iyyad Allawi o sugli americani. Una trattativa
che deve svolgersi e concludersi nel massimo
riserbo. A questo riguardo non esiste
alcuna conferma ufficiale, ma salta agli occhi
un particolare da non sottovalutare. Le
due Simone sono state rapite tre giorni dopo
l’arresto di Abdul Jabbar al Kubaisi, leader
dell’Alleanza patriottica, gruppo estremista
sunnita, con legami con gli antimperialisti
italiani. Abdul Jabbar fa parte dello stesso
clan ed è imparentato con Abdul Salam al
Kubaisi, del Consiglio degli ulema. Durante
la crisi dei primi quattro ostaggi italiani, Abdul
Jabbar rilasciava interviste sui nostri
connazionali con altri membri della "famiglia",
fra i quali l’ulema al Kubaisi, che poi
ha mediato per gli italiani rapiti. Il clan ha
ramificazioni a Ramadi e Fallujah, epicentri
della guerriglia anti americana.
L’al Kubaisi "politico" è stato arrestato il
4 ottobre con un blitz delle forze speciali
americane a Baghdad. Aveva lasciato Parigi
il 26 agosto, diretto ad Amman, ma nella capitale
giordana gli è stato sequestrato il passaporto.
Infine ha ottenuto il permesso di
partire per Baghdad il 30 agosto. Ha parlato
ai microfoni di al Jazeera: "Colpiremo gli
impianti di estrazione del petrolio, così gli
americani non riusciranno a realizzare i loro
piani. Ogni volta che ripareranno gli oleodotti
li colpiremo di nuovo". Sono noti i suoi
contatti con membri dell’ex regime, sospettati
di guidare alcuni gruppi della guerriglia
anti americana. Settantadue ore dopo l’arresto
di al Jabbar vengono rapite le due Simone
da un gruppo che, si sospetta, fosse
composto da ex militari del vecchio regime.
L’intreccio di legami con l’estremismo
sunnita e i servizi del vecchio regime coinvolge
anche altri membri del Consiglio degli ulema. Il loro leader, Hareth al Dari, era uno
degli sceicchi che Saddam utilizzò per riavvicinarsi
all’islam dopo la sconfitta in
Kuwait. Anche fra i volti "nuovi" ci sono ex
fedeli di Saddam, come Muthanna al Dari,
ex membro del partito Baath. Il coinvolgimento
degli ulema nella mediazione di almeno
20 casi di ostaggi ha insospettito i servizi
segreti del nuovo governo. Secondo notizie
filtrate a Baghdad sarebbero state raccolte
prove di collusione contro alcuni membri
del Consiglio. Uno degli ostaggi, che capiva
l’arabo all’insaputa dei rapitori, avrebbe
svelato pesanti rapporti fra ulema e bande
di sequestratori. Un personaggio in vista
del Consiglio sarebbe stato definito "il capo
dell’ala militare". Questi collegamenti e le
mediazioni, vere o presunte, hanno anche
fruttato molti soldi. Il governo iracheno
avrebbe già pronto il mandato di arresto per
i finti mediatori sunniti, ma per far scattare
le manette attende che si risolva la crisi dei
due francesi e delle italiane.
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