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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
15.09.2004 Il vero scandalo è Ramadan, difensore del terrorismo
l'appello dei 14 rabbini ribadisce solo la legittimità della difesa

Testata:Il Foglio
Autore: Giorgio Israel
Titolo: «Per Israel è scandalosa l'amorevole doppiezza di Ramadan, non la giusta brutalità dei rabbini»
L'appello dei 14 rabbini pubblicato da Il Foglio ( "Le nostre vite prima di tutto!", Informazione Corretta 10-09-04), non fa che ribadire il diritto all'autodifesa. Il vero scandalo sono la difesa del terrorismo e l'antisemitismo di Tariq Ramadan, intellettuale musulmano "moderato", con cui dialogare, anche per il Corriere della Sera. da Il Foglio di oggi, 10-09-04, un articolo di Giorgio Israel
Dov’è lo "scandalo" nel documento dei quattordici rabbini israeliani? Nel principio secondo cui "chiunque venga per ucciderti, uccidilo per primo"? Si tratta soltanto di una formulazione brutale del principio di legittima difesa, iscritto nel diritto di tutte le nazioni civili e nel diritto internazionale,
sia pure a patto che chi "viene", venga davvero per ucciderti. Si possono avere visioni più miti ma non si può considerare uno scandalo la legittima difesa. Casomai, come ha scritto Bernardo Cervellera sul Foglio, si tratta di un’ovvietà. Lo scandalo non è neppure nel rifiuto della massima cristiana del "porgere l’altra guancia", un rifiuto che, a torto, Cervellera definisce farneticante. La morale cristiana e la morale ebraica presentano divergenze – come argomentò chiaramente Elia Benamozegh – e ciò non è né uno scandalo né un’onta per alcuna delle due religioni. La morale cristiana non è riducibile alla massima dell’Antico Testamento "ama il prossimo tuo come te stesso", né al realismo un po’ pragmatista descritto da Cervellera; bensì si spinge verso una radicalità quasi paradossale che subordina la giustizia all’amore, con uno slancio ardito e affascinante e che, tuttavia, non si accorda con la visione ebraica – con tutto il rispetto, spero, reciproco. Non è certamente un caso se sulla base delle interpretazioni più radicali di tale visione si fondano i movimenti pacifisti cristiani, mentre il pacifismo ideologico e di principio trova un terreno meno fertile nell’ebraismo. Cervellera è anche ingiusto quando definisce farneticanti i riferimenti biblici del documento. Certo, un laico non avrebbe usato quel linguaggio. Personalmente, mi sento ben lontano dall’idea di usare quel tipo di argomentazioni. Ma occorre davvero ricordare che tutte le autorità religiose assumono come contesto concettuale e linguistico i testi sacri? Casomai, mi conforta sapere che – come ha osservato Vittorio Dan Segre – i quattordici sono soltanto "maestri" che hanno espresso un parere autorevole, ma che non è né una "fatwa", né un pronunciamento ex-cathedra, né un
testo dogmatico, e neppure un’enciclica. Si tratta di un documento che è legato all’attualità in un modo facile da chiarire. Non prima però di aver sottolineato che lo scandalo non sta neppure nell’aver detto che in guerra non si distingue fra militari e civili. Per il semplice motivo che questo non è stato detto. Si è detto piuttosto che "non esiste nessuna guerra nel mondo nella qual sia possibile fare una distinzione assoluta intellettra civili e un esercito", in funzione del tema centrale del testo che è "la domanda alla quale ci troviamo davanti": "se sia giusto combattere il nemico mentre dei civili stanno nel mezzo della guerra e probabilmente saranno uccisi o non combattere per non ferire alcun civile, ma lasciare che la nostra popolazione venga attaccata". Questa è la terribile realtà di fronte alla quale si trova Israele da anni: far fronte a un nemico che lo attacca per distruggerlo nascondendosi dietro ai propri civili e usandoli e ricorrendo persino ai bambini come scudi umani o come martiri-suicidi. Neppure la politica delle uccisioni mirate può riuscire sempre a isolare chirurgicamente costoro dai civili e a colpire soltanto "i feroci animali che fanno saltare in aria la testa dei bambini, che uccidono e trucidano uomini, donne, anziani, anziane, quando il loro unico peccato è quello di appartenere al popolo di Israele". In Israele, paese democratico e civile, è vivo il malessere per le sofferenze e le tragedie che la
lotta contro il terrorismo provoca alla popolazione civile. Ma questo malessere deve implicare la resa, "non combattere per non uccidere alcun civile"? Il documento è un chiaro invito a non deflettere, a non lasciarsi contagiare dallo
scoramento, a non abbandonare la via fin qui seguita; e certamente non a escogitare qualche novità "tecnica", come immagina in modo un po’ malevolo Cervellera: uccidere i palestinesi casa per casa o sterminarli con l’atomica. Poiché il documento parla di quelli che oggi, con termine ipocrita, vengono chiamati "danni collaterali" e non di attacchi deliberati ai civili in
quanto tali. Le vittime colpevoli e i carnefici innocenti Il documento, per quanto semplicistico e brutale, invita quindi a riflettere sul tema centrale di oggi: come combattere il terrorismo, come non farsi demoralizzare e sgretolare
dal vero scandalo: l’uso della vita umana, addirittura di quella dei bambini e delle donne, per uccidere, terrorizzare, ricattare. Siamo noi in grado di guardare con occhio emozionato e, al contempo, fermo e attento, le foto dei nuovi mostruosi eccidi di stile nazista, come invitava giustamente a fare Beppe Severgnini sul Corriere della Sera del 9 settembre? Non sembra proprio, visto che non sono pochi coloro che non hanno trovato di meglio, di fronte all’inferno dell’Ossezia, che chiedere conto a Putin dei possibili proiettili di "fuoco amico", piuttosto che condannare – e basta – coloro che hanno messo in scena l’inferno. Qui sta l’altro vero, autentico scandalo – altro che quello del documento dei rabbini! Si tratta del fatto che l’amore assoluto per il prossimo, l’aspirazione alla pace assoluta possa indurre alla più immorale equiparazione fra carnefici e vittime, al nauseante rovesciamento per cui le vittime – dovendo essere per natura buone e razionali, mentre i carnefici sono per natura malvagi – sono chiamate a rendere conto delle loro azioni e i carnefici ne sono esentati. E questo è un grande scandalo anche nella migliore delle ipotesi, cioè nel caso in cui esista una sincerità di intenti. Altrimenti, la vera domanda sarebbe: è la viltà, il terrore di guardare in faccia il male, e di ammettere che esso ha scatenato le sue orde infernali contro noi tutti, il vero movente che si nasconde dietro il paravento di una forma di irenismo e di amore assoluti; oppure questi ultimi sono il mero strumento di un’ideologia complice del terrorismo? Questa domanda deve essere posta con forza oggi, mentre si parla a tutto spiano di dialogo con l’islam moderato. Cosa si intende per "moderato"? Tutto il mondo islamico, salvo pochi gruppetti, è moderato? Anche Hamas e Hezbollah, sono moderati? Il governo francese ha risposto affermativamente, e così non poche voci in Europa. E qual è la radice di questa risposta: viltà, terrore o sottile complicità? Un piccolo esempio valga a evidenziare le difficoltà di definire confini e modalità del dialogo. Nei primi giorni del rapimento dei due reporters francesi, il Corriere della Sera ha praticato questo dialogo con una scelta sorprendente: intervistare il noto quanto discusso intellettuale musulmano Tariq Ramadan. Poi il giornale si è spinto ad affidare a Ramadan addirittura uno degli articoli di commemorazione dell’11 settembre. Non è stata una bella commemorazione, perché il giornale si è trovato nell’imbarazzante situazione di dover avvertire i lettori che, in un’intervista a "Panorama", Ramadan, con riferimento alla situazione in Palestina, Iraq e Cecenia, aveva affermato che "uccidere un bimbo israeliano perché da grande farà il soldato" è "un atto moralmente condannabile ma contestualmente comprensibile". (Di passaggio: dopo aver speso l’aggettivo "farneticante", ne troverà Cervellera uno adeguato a definire simili affermazioni?). Ora Ramadan smentisce di aver pronunciato queste frasi e, in attesa che la vicenda si chiarisca, non si può che prenderne atto.
Ma atteniamoci alla sua smentita, la quale già dice che egli non ha smentito praticamente nulla. Dice Ramadan nella smentita: "Che il contesto (oppressione, torture, povertà, perdita assoluta di speranza, eccetera) possa spiegare come delle donne e degli uomini vogliano ammazzarsi non ci consente di giustificare tali azioni". Ma già Ramadan nella dichiarazione a "Panorama" (smentita) aveva parlato di atti "moralmente condannabili". Ora, invece di "contestualmente comprensibile" parla di "spiegazione" a partire dal contesto. Insomma, la "smentita" consisterebbe nel passare dal "comprendere" allo "spiegare".

Le sottigliezze verbali del moderato Tarik
Sottigliezze verbali? Ma tutto, in questi testi, si gioca su un’abile alchimia di sottigliezze verbali. Esaminiamo meglio la smentita. Ramadan parla soltanto di donne e uomini che vogliono "ammazzarsi". Il piccolo dettaglio è che si tratta di donne, uomini e bambini che vanno ad ammazzare altre persone (civili) ammazzandosi. Chi non fosse altrimenti informato potrebbe credere che si tratti di gente che si butta dalla finestra per disperazione e non di persone che vanno a farsi esplodere in un autobus pieno di bambini o in un caffè. Si noti poi l’ineffabile "eccetera" che compare nella descrizione del contesto. Nel contesto viene messo tutto ciò che sarebbe responsabilità degli israeliani: oppressioni, torture, povertà, perdita assoluta di speranza. Per il resto – guerra santa, razzismo antisemita, finanziamenti da parte delle centrali del terrore, campagne organizzate per istillare nei bimbi il culto della morte-martirio, condizioni causate dalla corruzione della dirigenza palestinese, eccetera… – non c’è posto, salvo domani poter dire che era implicito nell’"eccetera". Frattanto, il messaggio che passa è a dir poco tendenzioso. Difatti, se il contesto della "spiegazione" è già ristretto a certi aspetti
e tutti infamanti per un particolare soggetto, allora esso è già in realtà un contesto della giustificazione. Nonostante qualcuno abbia iscritto Ramadan tra i cento intellettuali più prestigiosi del 2003 – segno della modestia dei tempi – egli non può sperare di farci fessi. Ma la furbizia è una dote che occorre riconoscergli. Egli sa bene che uno dei punti deboli dell’occidente contemporaneo è "la stoltezza di chi giustifica le nefandezze in nome di qualche causa" e "rimuove l’orrore" o "per non sentire la puzza" o "per difendere le proprie penose teorie" (Severgnini). Certo, oggi le nefandezze hanno raggiunto un livello inaudito. Soprattutto, non stanno colpendo soltanto i soliti ebrei e americani, ma anche altri. Sembra lontano il momento in cui un giornalista poteva dire in televisione che, se il povero Quattrocchi era un eroe, allora lo erano anche i kamikaze palestinesi. Dopo Quattrocchi sono venuti Baldoni, i reporters francesi, e le nostre due connazionali pacifiste,
e forse (forse) si comincia a capire che il male non guarda in faccia a nessuno, che l’attacco riguarda tutti, che nessuno è al riparo. Allora, in questo clima più difficile, è meglio non parlare di giustificazione: si può provare con il "comprendere" o lo "spiegare". Tanto, l’opportuna restrizione del contesto della spiegazione produce lo stesso identico risultato: far passare il messaggio che se gli shahid palestinesi "si" ammazzano è per responsabilità oggettiva degli israeliani. E’ questo il dialogo con l’islam "moderato" che vogliamo istituire? Il problema è reale perché finora il signor Ramadan si è occupato soprattutto di Francia, ma ora sembra essere interessato al nostro paese. In Francia, le sue campagne biforcute hanno
avuto come culmine un esercizio intellettuale acrobatico: Ramadan ha preso di
petto il "comunitarismo", additato come il pericolo peggiore per il paese. Tema ben scelto: cosa è più contrario allo spirito repubblicano francese del comunitarismo? Ebbene: chi sono gli attori di questo attentato alla repubblica? Non i musulmani, perché il loro comunitarismo, se c’è, è un prodotto del "contesto": emarginazione, razzismo antiarabo, miseria, eccetera. No: il vero comunitarismo minaccioso per la Francia è quello ebraico, di quel gruppo che in Palestina come in Francia opprime i musulmani. E, in quanto leaders di questo comunitarismo ebraico, Ramadan ha messo sotto accusa un gruppo di intellettuali "ebrei": Bernard-Henri Lévy, Finkielkraut, Glucksmann, Taguieff, Adler, ed altri. Guarda caso neppure tutti ebrei, come Taguieff. A quando la lista nera della lobby "ebraica" italiana?
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