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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.09.2004 Gli equivoci del "dialogo" a tutti i costi
il rapporto con l'islam e la lotta al terrorismo

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 settembre 2004
Pagina: 1
Autore: Angelo Panebianco
Titolo: «Islam, il dialogo senza ipocrisie»
Da più parti si indica la necessità del "diaologo" con l'islam moderato e della "politica" nel contrasto al terrorismo fondamentalista. Affermazioni generiche, da cui, come da tutte le affermazioni generiche, risulta difficile dissentire. Ma, concretamente, cosa significa "dialogare"? Dov'è "l'islam moderato"? E, precisamente, quale risposta "politica" all'islamismo si invoca?
Nel suo articolo di fondo pubblicato dal Corriere della Sera di oggi, 06-09-04, Angelo Panebianco pone queste cruciali domande.
E, guardando alle risposte che ad esse, in modo più o meno esplicito, sono state date dai sostenitori del "dialogo" e della "politica", mostra che i loro appelli sono molto meno ragionevoli di quanto non sembri finchè restsno nel vago.
Ecco il pezzo:

Chi può negare, in questo tragico frangente, la necessità di un «dialogo» con l'Islam «moderato»? O che contro il terrorismo non serva solo la forza ma anche la «politica»? O che dovremmo appoggiare l'Islam più «liberale e tollerante»? Come si fa a non concordare con affermazioni così ragionevoli? Quando però si esce dal generico, le cose si fanno complicate e non è più sicuro che ciò che appare ragionevole lo sia davvero. Dobbiamo appoggiare le componenti islamiche più liberali? E' fattibile, se ci si riferisce a quelle che certamente esistono (come ha dimostrato anche il Manifesto pubblicato dal Corriere) in Occidente. E' meno fattibile, se si parla dei Paesi islamici, nella maggioranza dei quali l'Islam «liberale» sta in galera o è ridotto al silenzio. Dobbiamo «dialogare» con i regimi arabi moderati? Sì, ma il problema è identificarli. Per esempio, a lungo, abbiamo gabellato per moderata la monarchia saudita, che moderata non è. Grazie ai loro capitali i sauditi hanno infettato per anni il mondo musulmano da un capo all'altro del Pianeta, diffondendo l'eresia wahabita, linfa del terrorismo islamico. Che vuol dire «dialogo» in queste circostanze? E' curioso che si voglia «dialogare» con regimi come quello di Riad e, contemporaneamente, tenere la Turchia (moderata davvero) fuori dall'Unione Europea. La Francia, che ha mobilitato il mondo arabo per liberare i suoi giornalisti, piace a chi la considera la vera alternativa alla «politica dei muscoli» di Bush e di Putin (spesso accomunati, come se fossero la stessa cosa). Ma la Francia ha capitalizzato sulla sua immagine di potenza antiamericana. Per non parlare dei suoi rapporti buoni, e ambigui, con gli estremisti della Fratellanza musulmana (di cui fanno parte i terroristi palestinesi di Hamas, solidali in questo frangente con Parigi). Davvero vogliamo un'Europa che sia un impasto di antiamericanismo, grandeur francese, e «dialogo» con Hamas? Non sarebbe meglio fare il contrario rispetto alla Francia: permettere il velo (da combattere sul piano culturale come segno della subordinazione della donna, non su quello legale) e contrastare Hamas anziché finanziarla? Sempre «politica» sarebbe. Sfruttando i nazionalismi, la corruzione di tanti regimi, gli errori delle democrazie occidentali, e le violenze perpetrate per anni (Cecenia) dalla democrazia autoritaria russa, gli integralisti hanno allargato a tutto il mondo il fronte dell'orrore (che ha toccato a Beslan il suo punto più estremo). Ma se qualcuno in Europa dice una cosa ragionevole, come ha fatto, fra gli altri, il presidente del Senato, Marcello Pera, ossia che occorre un nuovo patto di solidarietà fra gli occidentali per contrastare sul piano militare il terrorismo e, sul piano politico-culturale, il fondamentalismo (che del terrorismo è la linfa) subito viene tacciato di estremismo. Da quanti in Europa pensano che il vero pericolo siano gli Stati Uniti. Così però la guerra, voluta dai terroristi, alla fine si perde. Così come si perde se alla legittima preferenza per Kerry, lo sfidante di Bush, si unisce, in odio all'attuale presidente americano, una cieca incomprensione dei più elementari dati di fatto. Fra i quali, ad esempio, c'è che l'Iraq, ove è in corso la partita più importante, non è la Cecenia (e Bush non è Putin). Coloro che definiscono sprezzantemente «fantoccio» il governo provvisorio iracheno dovrebbero spiegarci quale potrebbe essere, ora, l'alternativa. Che cosa dovremmo fare se non appoggiare quel governo e sperare che si arrivi ad elezioni? Fare come la Francia, ossia sederci sul greto del fiume e aspettare che passi il cadavere di Bush? Lasciare che siano i terroristi a impadronirsi dell'Iraq? Se è questo che si intende per «politica», che Iddio ce ne scampi.
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