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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
02.09.2004 La stampa italiana e la solidarietà di Hamas alla Francia
la rimozione di una circostanza incresciosa

Testata:Il Foglio
Autore: un giornalista
Titolo: «Con noi e contro di noi»
Il Foglio di oggi, 02-09-04, pubblica a pagina 3 un editoriale intitolato "Con noi e contro di noi", critica della "dottrina Chirac e De Villepin", e delle simpatie di cui gode nella stampa italiana.
Contro la retorica benpensante, bisogna ammettere che di fronte al terrorismo islamista siamo divisi fra chi è deciso a resistere e chi cerca immunità impossibili e solidarietà vergognose.
Ecco il pezzo:

Ieri il New York Times recava in prima pagina una grande foto a colori: lo scheletro di un bus israeliano esploso, e penzolante dal finestrino il corpo senza vita di una giovane donna. La didascalia diceva: Hamas ha rivendicato la responsabilità di questo attentato, 16 morti. A pagina 18 l’editoriale sugli ostaggi francesi. Titolo: dimostrazione di unità in Francia. Tesi: elogi all’unità nazionale e in particolare all’unità tra governo e comunità musulmana nel respingere il ricatto sui due ostaggi, "sperando che questa unità spinga la società francese a capire quanto sia infondato il diffuso pregiudizio antiislamico". La vulgata politicamente corretta è perfetta, ma è costretta a un’omissione: non si cita l’appoggio di Hamas al governo francese, arrivato via
agenzia pochi minuti dopo la rivendicazione del massacro in terra ebraica. Ieri il Corriere della Sera se l’è cavata così: tre righe in un pezzo di cronaca in seconda raccontano che "perfino Hamas e il capo dei ribelli Moqtada al Sadr si sono pronunciati a favore della liberazione". Perfino. Il particolare agghiacciante non è omesso, ma pudicamente, educatamente nascosto. Per il resto, a parte una giusta ma laterale tirata di Angelo Panebianco contro i "resistenti" all’italiana, spiccano i titoli sull’Islam moderato che partecipa all’Union sacrée, sul ministro dell’Interno Dominique de Villepin
che prega in moschea invece di chiedere ai capi della comunità musulmana di venire a pregare a Notre Dame e magari di pregare per i morti ammazzati di Hamas. Non manca un’intervista con Tariq Ramadan, il controverso professore legato ai Fratelli musulmani che protesta in nome della società aperta contro il governo americano responsabile di avergli negato il visto d’entrata, e conclude con una formula dal suono involontariamente sinistro: "Siamo musulmani e crediamo nei nostri valori. Siamo cittadini. Condanna ciò che è sbagliato, promuovi ciò che è giusto". Condanna il rapimento dei francesi, perché ti conviene, promuovi il massacro degli ebrei, perché è un tuo dovere religioso.
Le miserabili testimonianze di doppiezza che affiorano nella melma occidentale
non ci convinceranno che la guerra a un temibile nemico debba entrare in una spietata e insensata fase di bando civile nei confronti dei musulmani e delle loro organizzazioni. Individuare bene il nemico vuol dire anche saperlo dividere da un retroterra a cui è legato dai fili sottili di una comunità di credo e di cultura. Oltretutto il nemico non è mai un assoluto, lo si rispetta e lo si ama anche quando lo si combatte. Ma quando assistiamo a simili comportamenti, quando l’interlocutore "moderato" del ministro degli esteri Michel Barnier afferma serenamente che il dovere dei fedeli è risparmiare i giornalisti francesi e uccidere i civili e i soldati americani, la conclusione non può essere che questa: baciare il culo del nemico è la nuova tattica
benpensante. Eufemizza su Repubblica Bernardo Valli, che conoscevamo come persona dignitosa: quelli di Hamas solidali con Parigi sono "dediti al terrorismo", ma "l’eccezionale solidarietà ottenuta nel mondo arabo dalla Francia" può portare alla liberazione degli ostaggi, forse. Anzi, da Parigi verrebbe una lezione politica per tutta l’Europa. Quale lezione? La resa senza condizioni, con i complimenti a suon di bombe di Hamas, degli Hezbollah e del Jihad Islamico per quell’onorevole paese occidentale che ha disertato la guerra al terrorismo. Eufemizza anche il moralista della porta accanto, Michele Serra, che non si accorge nemmeno dell’enormità di quel che scrive quando si felicita per l’efficacia francese nel mettere all’incasso la sporca mercede del veto all’Onu e della campagna di boicottaggio della coalizione occidentale e del governo iracheno voluto dall’Onu. La realtà è che siamo divisi La sorte di Chesnot e Malbrunot sta a cuore a ciascuno di noi, noi che non distinguiamo le vittime del terrorismo in base ad alcuno degli standard politicamente e ideologicamente corretti, e ci sta a cuore nell’esatta misura in cui ci affligge la sorte della giovane donna penzolante dal bus di Bersheeva, quella dei dodici nepalesi trucidati, dei body guard e dei pacifisti e degli ebrei e cristiani decapitati in nome di un dio del terrore e dell’intolleranza.
Siamo tutti americani, siamo tutti occidentali, siamo tutti francesi, siamo tutti ebrei, siamo tutti madrileni, scrivono i benpensanti. Ma non è vero, è una filastrocca per i gonzi, un alibi retorico di bassa lega e dal sapore immondo. La realtà è che siamo divisi, che alcuni si comportano come Zapatero e come il governo delle Filippine, e fuggendo mettono in pericolo chi resta e resiste, quella è la resistenza, nello sforzo di imprimere una svolta politica e civile, di libertà e di umanità, al medio oriente islamico. E altri pagano i gruppi "dediti al terrorismo", anche con i nostri soldi sporchi di europei, e ne vengono ricambiati con il doppio comunicato dell’infamia, quello che rivendica la strage e quello che chiede la liberazione dei francesi; non contenti, i governi occidentali si uniscono alle tirannie di tutto il mondo nella condanna del muro, il nuovo muro del pianto che Israele cerca di erigere tra sé e la morte, e che gli alleati dei francesi in medio oriente scavalcano di tanto in tanto o eludono con le loro cinture esplosive. Il sangue e la guerra non aboliscono la civiltà che è nostra, il diritto al dissenso, l’indipendenza delle diplomazie, i valori del pacifismo anche più radicale, ma escludono dal novero delle possibilità quel sovrappiù di ipocrisia e di balordaggine che ci viene ammannito nella salsa del rifiuto dello scontro di civiltà, che non è un’opinione sociologica bensì un fatto politico e militare.
Quando il presidente degli Stati Uniti dice "con noi o contro di noi", questo dice. Sarà ideologico, sarà western, ma è meglio della filosofia di Chirac
e di Villepin: con noi e contro di noi.
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