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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica - Il manifesto Rassegna Stampa
01.09.2004 Attentato a Beersheva: nessuna "tregua" interrotta
Israele ha sventato 74 attentati suicidi in sette mesi

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - Il manifesto
Autore: Giuliano Gallo - Marco Ansaldo - Michele Giorgio
Titolo: «Strage a Beersheva»
Il CORRIERE DELLA SERA di oggi 01-09-04 pubblica a pagina 7 l'articolo di Giuliano Gallo: "Israele, kamikaze sventrano due autobus".
Gallo utilizza il termine impreciso di "tregua": in realtà non vi è mai stata una tregua, ma un'efficace azione di contrasto che ha vanificato numerosi tentativi di strage da parte dei terroristi.
Inoltre, quando collega attentati precedenti alla nomina di Abu Mazen come primo ministro palestinese o alla volontà di contrastare il ministro degli Interni Abed el Razak omette di di ricordare, forse per mancanza di spazio, che ciò cui si opponeva Hamas era la riforma dell'Anp, nel senso anche di un efficace contrasto al terrorismo, mai attuato da Yasser Arafat.L'equivoco cui si potrebbe facilmente incorrere, non tenendo presente questo scenario, è quello per cui gli attentati di Hamas sarebbero contro Arafat.
Per il resto, l'articolo è sostanzialmente corretto.( le critiche di questa pagina sono a Cura della redazione di Informazione Corretta)
Ecco il pezzo:

DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME — La tregua finisce alle tre di un caldo pomeriggio d'estate. Le brigate di Ezzedim Qassam, il braccio armato di Hamas, tornano a colpire con un doppio, sanguinoso colpo: due kamikaze esplodono a bordo di due autobus a Beersheva, nel Sud di Israele. Per la quarta città del Paese è una prima volta, perché finora nessun attacco suicida aveva mai insanguinato le sue strade. Ed è anche la prima volta in assoluto che i kamikaze scelgono di colpire due obiettivi contemporaneamente. Il bilancio è terribile: 16 morti (tra loro un bimbo di 3 anni) e almeno un centinaio di feriti. Israeliani, russi, beduini, uno spaccato della popolazione di Beersheva, città povera dove ancora si possono incontrare cammelli a passeggio per il centro. E dove solo un'università prestigiosa sta cercando di cambiarne il volto. «Gli eroici attacchi — rivendicano le Brigate di Ezzedin Qassam — sono parte di una serie di azioni che promettiamo di portare avanti, come vendetta per il martirio del leader di Hamas sheik Ahmed Yasin e di Abdel Aziz al Rantisi». Una vendetta lunga mesi: il fondatore di Hamas e il suo portavoce sono stati uccisi nel marzo scorso, a 30 ore di distanza uno dall'altro. Ma i tempi del sanguinoso duplice attentato dicono che il massacro di Beersheva sembra anche una risposta diretta ad Ariel Sharon e al suo governo, che solo poche ore prima aveva approvato il piano di ritiro da Gaza e dalla Cisgiordania. Non è la prima volta del resto che gli attentati vengono programmati con scadenze «politiche»: nel marzo dell'anno scorso un kamikaze si era fatto esplodere ad Haifa su un autobus, lo stesso giorno della nomina del nuovo premier palestinese, Abu Mazen. Nel 2002 invece un altro bus era saltato a Gerusalemme per mettere in difficoltà il ministro degli Interni palestinese Abed el Razak. Mentre pochi giorni prima un'altra bomba aveva salutato l'arrivo in Israele del capo della Cia, George Tenet. I due kamikaze sono saliti assieme su due autobus delle linee urbane Dan, probabilmente poco prima di farsi saltare in aria. Quando i due mezzi sono arrivati nella via principale di Beer Sheva, quello a bordo dell'autobus numero 7 ha premuto il suo telecomando. L'autista dell'altro autobus, il numero 12, che seguiva il primo a pochi metri di distanza, ha frenato, spalancando le porte e urlando ai passeggeri di scendere. Troppo tardi. Mentre la gente si spintonava per raggiungere le uscite, anche il secondo kamikaze ha innescato la bomba. «Ho sentito un forte dolore alla mano — racconta adesso Eli Perez, che viaggiava in auto — ed era una biglia uscita dalla bomba del primo kamikaze. Mentre stavo superando il 12 è scoppiato anche lui, e ho visto volare i passeggeri dal tetto». E un passeggero seduto accanto al kamikaze ha raccontato di aver ceduto il posto a un'anziana: lei è morta, lui si è salvato. L'ultimo attentato — una bomba alla stazione degli autobus di Tel Aviv — risaliva all'11 luglio scorso, due giorni dopo la sentenza con la quale la Corte dell'Aja aveva definito illegale il muro che Israele sta costruendo in Cisgiordania. Un muro, ricordavano aspramente ieri pomeriggio i responsabili della sicurezza di Israele, che ancora non proteggeva Beersheva. «Continueremo a costruirlo — ribadisce ora il ministro degli Esteri, Silvan Shalom — per ridurre a zero il numero degli attentati terroristici». Mentre il primo ministro Sharon si è limitato a fare le condoglianze alle famiglie dei morti e gli auguri ai feriti. Salvo aggiungere: «Ho parlato con il ministro per la Sicurezza Mofaz e con il capo di Stato Maggiore: abbiamo discusso di come continuare la guerra al terrorismo. Israele continuerà a combatterlo, ma continuerà anche nel suo programma di ritiro da Gaza».
Anche Marco Ansaldo, su LA REPUBBLICA, nell'articolo "In Israele tornano i kamikaze", anch'esso complessivamente corretto, a pagina 6, non allude ai precedenti tentativi di attentati.


Alle tre del pomeriggio due autobus israeliani che si stanno incrociando sulla via principale di Beersheva saltano in aria. E´ il sistema del doppio attacco kamikaze, che ricorda da vicino la tecnica usata da Al Qaeda. Ma non ci sono dubbi: un´ora dopo è Hamas a rivendicare l´azione. Una carneficina nel pieno centro di una cittadina nel sud d´Israele, che provoca 16 vittime, tra cui un bimbo di 3 anni, cento feriti e una decina di persone tuttora fra la vita e la morte. La prima strage dopo sei mesi in cui gli attentati suicidi sembravano essere quasi un ricordo del passato.
L´illusione si è infranta sugli autobus numero 6 e 12. I due mezzi carichi di persone nell´ora di punta - per molti israeliani le tre del pomeriggio sono il momento del rientro - viaggiavano l´uno in direzione dell´altro. All´altezza del municipio di Beersheva, cittadina operaia in pieno deserto del Negev non lontana dalla Striscia di Gaza e da Hebron, il primo bus è saltato in aria, spargendo ovunque chiodi e bulloni messi nell´esplosivo per colpire più in profondità. Pochi istanti dopo un boato e anche l´altro mezzo ha cominciato a prendere fuoco completando l´opera di distruzione, mentre la gente fuggiva terrorizzata.
Due kamikaze si sono coordinati seguendo un piano studiato alla perfezione. Racconta piangendo Yaakov Vakmine, 60 anni, un abitante di Beersheva che mai ha avuto paura di usare i mezzi pubblici: «Sono salito sull´autobus numero 6 e mi sono seduto accanto a un ragazzo giovane, mi sembrava uno normale. Poi è arrivata una donna, le ho lasciato il posto, mi sono allontanato e sono sceso. Subito dopo l´esplosione. La polizia mi ha detto che quell´uomo era il terrorista, e la donna a fianco è morta. Morta al posto mio. Questa cosa mi perseguiterà tutta la vita».
Con il passare delle ore il bilancio delle vittime sale: prima 8, poi 12, infine 16. Cento i feriti. Le immagini, durissime, sono quelle che la gente sperava di non vedere più: cadaveri carbonizzati, corpi dilaniati, brandelli di carne raccolti meticolosamente dai volontari religiosi, soccorritori in lacrime, famiglie straziate. Non succedeva più dal 14 marzo, quando altri due kamikaze palestinesi si erano fatti saltare per aria nel porto di Ashdod, provocando la morte di 10 civili.
Ieri però i sistemi di protezione non hanno funzionato. C´erano state segnalazioni generiche di pericolo per Beersheva, e anche per altre città israeliane, ma finora non avevano consentito di prevedere la mossa dei kamikaze. I due terroristi di Hamas sono scesi dalle colline di Hebron, a pochi chilometri dalla cittadina, dove la barriera, il controverso Muro costruito dal governo Sharon e criticato dalla comunità internazionale, non è stato ancora costruito.
La rivendicazione arriva presto. Il gruppo Ez-Zedin Al Qassam, braccio armato di Hamas, comunica che gli attentati sono una risposta alle uccisioni per mano di Israele di Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi. «Un regalo», si specifica, ai palestinesi incarcerati in Israele che stanno attuando uno sciopero della fame per ottenere migliori condizioni di detenzione.
Il ministro della sicurezza Tzachi Hanegbi collega subito l´attentato al fatto che a sud il Muro ancora non è stato costruito: «La barriera continuerà il suo percorso», assicura. Al valico di Erez viene fermato un altro kamikaze con una cintura esplosiva infilata nelle mutande. Era riuscito ad eludere i controlli sia del posto di blocco palestinese, all´ingresso meridionale del valico, sia del metal-detector israeliano. Ma una soldatessa lo ha egualmente fermato perché trovato in possesso di documenti falsi. All´uomo è stato intimato di togliersi la camicia per verificare che non indossasse un corpetto esplosivo. A questo punto il rigonfiamento nei pantaloni ha insospettito i guardiani che hanno scoperto così il nuovo posto per l´ordigno.
Il premier Ariel Sharon si consulta con i servizi di sicurezza e i responsabili della difesa. Poi dichiara: «Il terrorismo deve essere combattuto. Questa è la politica del mio governo. La guerra al terrorismo andrà avanti col massimo vigore». Il primo ministro palestinese Abu Ala condanna gli attentati. «Danneggiano - dice - gli interessi della causa palestinese». Hanan Ashrawi, nota come esponente moderato, aggiunge: «Ai palestinesi non si danno vie d´uscita. Questa è una tragedia. È tempo di chiudere il cerchio della violenza da entrambe le parti».
I kamikaze erano due giovani di Hebron, a soli venti di chilometri da Beersheva. Uno di essi, Ahmed Abed Kawasmeh, appartiene a una nota famiglia della città. In serata l´esercito israeliano entra a Hebron, e spiana le case dove gli attentatori abitavano con i parenti.
Nell'intervista all'esperto israeliano di terrorismo Eli Karmon, però, vengono ricordati i 72 falliti tentativi di attentati terroristici negli ultimi sette mesi, e le quattro operazioni riuscite, di minore portata. Perchè non farvi cenno anche nella cronaca della strage di Beeresheva?
Ecco il pezzo:


GERUSALEMME - «Hamas è riuscita a vendicarsi per le uccisioni lo scorso anno dei suoi due leader, lo sceicco Yassin e lo stratega Rantissi. Da mesi cercavano di farlo. Ma ora Israele riprenderà le esecuzioni mirate di capi terroristi palestinesi. Mi sembra una tecnica più morale che far entrare venti carri armati a Gaza, ottenendo anche un risultato meno riconoscibile. Ma eliminare Arafat come chiedono alcuni membri dell´estrema destra israeliana è un rischio troppo alto. Meglio chiuderlo a Gaza con tutta la sua polizia e i suoi servizi».
Il professor Ely Karmon, massimo studioso mondiale di attacchi suicidi, ha appena ricevuto la notizia dell´attentato di Beersheva e comincia a snocciolare dati e informazioni. «Sono 7 mesi che i terroristi stanno cercando di rispondere all´eliminazione dei due leader di Hamas. In questo periodo ci sono state 72 operazioni suicide bloccate dall´esercito, e solo 4 minori riuscite. Soltanto ora hanno avuto successo».
Professor Karmon, perché in una città minore come Beersheva?
«Per due ragioni. La prima è che la barriera israeliana costruita da Sharon in Cisgiordania copre il nord e il centro del paese, ma non il sud, dove sta appunto Beersheva».
E la seconda ragione?
«Gli attaccanti provenivano da Hebron, che è vicina. Lì Hamas è ancora forte, contrariamente ad altre zone come Jenin, Tulkarem e Nablus dove l´organizzazione è oggi molto indebolita».
Il Muro, dunque, pure con tutte le critiche secondo lei funziona come sistema di prevenzione?
«A medio termine sì. Ma ora sarebbe preferibile andare avanti con il negoziato e raggiungere un accordo importante».
Ora la risposta israeliana non si farà attendere?
«Le esecuzioni mirate riprenderanno. In questo periodo di negoziato era difficile farle, Sharon non voleva. Ma a questo punto l´esercito tenterà di eliminare quei 3-4 leader di Hamas che dirigono le operazioni».
Sharon ha detto ieri che continuerà a combattere il terrorismo con la massima intensità. È la strada da seguire?
«Io sono contro il piano del ritiro da Gaza, perché mi sembra una fuga. Hamas lo dice tutto il tempo. Ma il ritiro si fa con l´appoggio dell´Egitto. L´Egitto parla con i palestinesi, e Hamas gioca anche con gli egiziani. Insomma, credo che combattere i terroristi sia una strada inevitabile».
Cosa pensa dell´eliminazione di Arafat?
«Io sono contro la leadership di Arafat: con lui non si raggiungere la pace. Ma ucciderlo è controproduttivo. Non è giusto prendere questo rischio, porterebbe solo instabilità».
Nell'articolo "Sharon resta fermo sul suo piano: "Via da Gaza all'inizio del 2005", Ansaldo riporta poi le dichiarazioni di Saeb Erekat, ministro dell'Anp del tutto acriticamente. Il richiamo di Erekat alla Road Map, continuamente violata dalla parte palestinese con il sostegno al terrorismo, è di una lampante ipocrisia che sarebbe dovuta essere stigmatizzata.


GERUSALEMME - Sharon contro Netanyahu. «Via da Gaza all´inizio del 2005», intima il premier ai ribelli del partito. E la sfida tra i due pesi massimi del Likud si apre ora anche sul ritiro dalla Striscia. La partenza dal Territorio e i tempi per effettuarla hanno finito per dividere ulteriormente il primo ministro da colui che molti osservatori accreditano come il suo possibile successore, qualora il partito conservatore dovesse continuare a governare Israele. Il confronto di ieri mattina davanti allo stato maggiore del Likud ha così rivelato quali e quante siano le differenze che animano i due leader della formazione attualmente al potere.
Nel giorno in cui l´incubo del terrorismo palestinese è tornato a scuotere e a preoccupare Israele dopo mesi di tregua e di speranza, il primo ministro ha presentato alla recalcitrante lista parlamentare del suo partito un piano di ritiro in tempi serrati. Il progetto anticipa infatti lo sgombero di migliaia di coloni addirittura tra pochi mesi, portandolo all´inizio del 2005. Una sfida quasi da "elettroshock" per il Likud, dopo le dure contestazioni di importanti esponenti della destra, appena due settimane fa, che erano riluttanti all´idea di lasciare la Striscia. Una decisione vissuta da molti come un ripiegamento, se non come una sconfitta vera e propria.
«Il ritiro si farà, punto e basta» ha esclamato Sharon, imponendosi anche con la voce sui compagni di partito che, urlando e contestando, esprimevano apertamente il loro dissenso. Il premier lasciava intendere di voler giocare d´anticipo, per vincere le resistenze interne.
Alla sua destra, un Netanyahu scuro in volto obiettava che è un errore realizzare il ritiro in tempi rapidi: «Diamo l´idea di una fuga», tentava di spiegare. Una partenza diluita nel corso di mesi consentirebbe invece, argomentava, di stemperare le frizioni con il movimento dei coloni, sempre molto combattivi e con grande potere di convinzione sull´opinione pubblica israeliana.
«Dobbiamo piuttosto moltiplicare gli sforzi per costruire la barriera - aggiungeva il ministro degli Esteri, Silvan Shalom - anche se dovessimo essere condannati all´estero». Sull´opportunità di accelerare il ritiro da Gaza, Shalom si è così affiancato a Netanyahu, dandogli manforte durante il dibattito e opponendosi al primo ministro. «Finora dobbiamo completare i preparativi - diceva - solo a marzo decideremo se dovremo davvero sgomberare gli insediamenti. Perché se Israele dovesse essere investito da un´ondata terroristica, dubito che lo stesso premier potrà ordinare di lasciare Gaza».
Sharon ha però tagliato corto ogni argomento respingendo con un gesto della mano tutte le obiezioni: «Non trascineremo inutilmente per mesi - ha detto in un breve intervento conclusivo - quel che può essere concluso in settimane». Inutili le proteste di esponenti del Partito nazional-religioso (attualmente per metà al governo e per metà all´opposizione a causa di dissensi sullo smantellamento delle colonie): «Sharon si comporta da dittatore».
La decisa presa di posizione del primo ministro ha provocato reazioni anche a sinistra. Il leader laburista Shimon Peres ha ribadito che il suo partito farà adesso in Parlamento «un´opposizione combattiva», ma resterà fedele sostenitore del ritiro. «I problemi di Sharon sono all´interno del Likud, non con noi» ha spiegato Peres.
Reazioni caute anche da Ramallah, sede dell´Autorità nazionale palestinese. «L´Anp - commentava il ministro Saeb Erekat, uno dei consiglieri principali di Yasser Arafat - è pronta ad assumersi pienamente le sue responsabilità in Cisgiordania o nella Striscia dopo un ritiro israeliano. Siamo dunque in grado di assumere il controllo nelle zone che saranno evacuate. Ma il ritiro da Gaza deciso da Sharon non può essere un surrogato del "Tracciato di pace" del Quartetto. Noi insistiamo - ha precisato Erekat - perché un eventuale ritiro sia inserito all´interno della Road map e non la sostituisca».
La Road map è il piano di pace elaborato dal Quartetto, composto da Onu, Stati Uniti, Unione Europea, Russia, e dovrebbe permettere di giungere entro il 2005 a due Stati, Israele e uno Stato palestinese, che vivano vicini e in pace.
Repubblica on-line definisce, dando la notizia dell'attentato, Hamas come "resistenza" palestinese. di fronte alla frequenza con cui questo termine viene utilizzato a proposito di gruppi i cui metodi e la cui ideologia sono assai simili aquelle dei nazisti, ormai ci è sorto un dubbio.
Redazioni e opinionisti saranno davvero motivati, in questa scelta, dall'ostilità "progressista" verso Israele e gli Stati Uniti?
Oppure non saranno reduci di Salò in incognito, poco inclini alle riconciliazioni nazionali e più che mai decisi a diffamare la Resistenza (quella vera)?


GERUSALEMME - Torna il terrore in Israele. Un duplice attentato a Beersheva, nel sud del paese ha causato la morte di 15 persone. Un'ottantina i feriti. Due kamikaze si sono fatti esplodere su due bus in pieno centro nella piazza del Municipio. Ad aumentare il panico, una terza esplosione in un centro commerciale che poi si è rivelata essere un falso allarme. L'attentato è stato rivendicato dal gruppo Ez-Zedin Al Qassam, braccio armato del movimento islamico Hamas.

Si tratta di un attenatato a orologeria con un preciso segno politico. Proprio questa mattina il premier israeliano Ariel Sharon aveva annunciato il calendario per l'approvazione del suo piano di disimpegno da 21 insediamenti della Striscia di Gaza e da quattro del nord della Cisgiordania.

Subito dopo gli attentati lo stesso Sharon ha annunciato che "Israele combatterà il terrorismo con tutte le sue forze".

L'ultimo attenta to suicida in Israele rislae al 14 marzo scorso quando morirono dieci persone a Ashdod, città portuale a sud. Dopo quell'attacco, cui era seguita l'uccisione mirata, otto giorni dopo, del leader di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, e il 17 aprile dal nuovo capo del gruppo di resistenza islamica, Abdelaziz Rantisi, erano seguiti alcuni mesi di relativa calma. Interrotti l'11 luglio scorso dall'esplosione di una bomba nei pressi della stazione centrale degli autobus di Tel Aviv, nella quale era rimasta uccisa una soldatessa e 30 persone erano rimaste ferite. In quattro anni, dalla ripresa della seconda Intifada, i kamikaze hanno fatto più di 400 vittime.
Su Il MANIFESTO, Michele Giorgio firma l'articolo "Israele, il ritorno dei kamikaze" nel quale le omissioni di giuliano Galloe Marco Ansaldo lasciano il posto a una autentica distorsione dei fatti. Giorgio scrive infatti che "In questi ultimi mesi, dopo l'eliminazione dei suoi leader politici, Hamas ha scelto un apolitica di basso profilo e bloccato ogni operazione armata", il che, come abbiamo visto, è del tutto falso.
Durante questo periodo invece, scrive Giorgio, vi sono state: "incursioni israeliane (con demolizioni di case) a Rafah, Nablus, Jenin e altre città. "Esecuzioni mirate" " - il che è falso, dato che le ultime sono state quelle di Yassin e Rantisi, precedenti alla crisi operativa di Hamas, "di attivisti dell'Intifada che hanno provocato la morte anche di civili innocenti, uccisioni quotidiane di palestinesi, in qualche caso di militanti di organizzazioni armate" - cioè di terroristi- "in molti altri di persone qualsiasi, tra cui bambini", non colpiti intenzionalmente, però.
La nuova strage è per altro la "risposta di Hamas agli assassinii dei suoi leader": così si apre l'articolo tanto per chiarire subito che la violenza palestinese è sempre una risposta a quella israeliana. Giorgio non spiega, naturalmente, che i leader "politici" di Hamas erano stati "assassinati", perchè avevano realizzato e stavano organizzando altre stragi.
poco chiaro diventa giorgio quandi ci informa che : "gli attentati di ieri hanno detto che la sicurezza rimane un concetto complesso che non riguarda solo l'adozione di misure militari o punitive, ma anche la politica e la diplomazia".
Se avesse scritto che dimostrano la necessità di completare la "barriera difensiva", visto che gli attentati vengono compiuti dove essa ancora non c'è, avrebbe forse egualmente sconfinato dalla cronaca alle opinioni, ma avrebbe almeno espresso concetti chiari, e argomentabili in base a fatti.
Ma per lui: "Senza la fine dell'occupazione militare e l'inizio di un negoziato israelo-palestinese fondato, questa volta, sul rispetto della legalità internazionale, è evidente che il conflitto andrà avanti enon saranno certo muri e piani unilaterali a fermarlo"
Qui Giorgio, in effetti, diventa molto più chiaro. Ci pare comunque che se ne possa dare una traduzione ancora più esplicita: se Israele non si ritira dai territori senza condizioni (il che nulla avrebbe a che vedere con il diritto internazionale, che, a volerlo identificare con le risoluzioni Onu sul conflitto israelo-palestinese, richiede negoziati in cui i territori contesi vengano ceduti nel quadro di accordi di pace che garantiscano la sicurezza di Israele) i "combattenti" palestinesi, su cui noi del Manifesto ci guarderemo bene dal pronunciare una condanna politica, chiamandoli "terroristi" e scrivendo che il loro obiettivo è distruggere Israele, continueranno a far strage di israeliani. E questi ultimi dovranno saper di essersela cercata.
Ecco il pezzo:


È giunta ieri a Beersheva la temuta sanguinosa risposta di Hamas agli assassinii dei suoi leader, lo sceicco Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi, compiuti da Israele la scorsa primavera. Ieri pomeriggio un duplice attacco kamikaze contro due autobus ha ucciso 18 civili e ferito altre decine di persone nella città «capitale» deserto del Negev. «Ezzedin Al-Qassam», braccio militare del movimento islamico Hamas, in un comunicato diffuso a Hebron (Cisgiordania), la città dalla quale sono giunti i due attentatori, ha scritto di aver voluto vendicare l'uccisione di Yassin e Rantisi. Il gruppo armato ha inoltre sottolineato che la sua capacità operativa è rimasta intatta nonostate le «esecuzioni mirate» di suoi militanti eseguite da Israele.

In questi ultimi mesi, dopo l'eliminazione dei suoi leader politici, Hamas ha scelto una posizione di basso profilo e bloccato ogni operazione armata. L'ultimo attentato in Israele - rivendicato peraltro dalle Brigate dei martiri di Al-Aqsa (Al-Fatah) - è avvenuto l'11 luglio quando una bomba è esplosa ad una fermata dell'autobus di Tel Aviv, uccidendo una soldatessa. L'attacco kamikaze più recente risale invece al 14 marzo scorso quando 14 civili israeliani furono uccisi nel porto di Ashdod. Per il governo di Ariel Sharon l'interruzione degli attacchi suicidi è stata un segno della «debolezza» di Hamas e una conferma dell'efficacia della politica di assassinio dei dirigenti politici e militari palestinesi. Gli attentati di ieri al contrario hanno detto che la sicurezza rimane un concetto complesso che non riguarda solo l'adozione di misure militari o punitive ma anche la politica e la diplomazia. Senza la fine dell'occupazione militare e l'inizio di un negoziato israelo-palestinese fondato, questa volta, sul rispetto della legalità internazionale, è evidente che il conflitto andrà avanti e non saranno certo muri e piani unilaterali a fermarlo. Invece Sharon, appreso degli attacchi a Beersheva, non ha saputo dir altro che frasi scontate: «Il terrorismo deve essere combattuto. Questa è la politica del mio governo. Proseguiremo la lotta al terrorismo col massimo vigore». In serata il premier ha convocato nel proprio ufficio i responsabili della sicurezza per decidere la rappresaglia che si prevede durissima, specie a Gaza dove vivono gran parte dei leader di Hamas. In Israele è in vigore lo stato di massima allerta in previsione di altri attentati. La duplice esplosione ha colpito due autobus carichi di passeggeri nei dintorni del municipio di Beersheva. Intorno alle 15 c'è stata la prima forte deflagrazione che ha squarciato il primo automezzo, della linea 6, scaraventando in tutte le direzioni frammenti umani e schegge metalliche. L'autobus ha preso fuoco e le fiamme hanno aggravato il bilancio di vittime tra i passeggeri. Pochi dopo un'altra esplosione ha devastato il secondo autobus, della linea 12, che distava dal primo circa un centinaio di metri. «Ho visto - ha raccontato Yacov Cohen, l'autista rimasto miracolosamente illeso - l'autobus della linea 6 che viaggiava sulla corsia alla mia sinistra. Ho sentito uno scoppio e mi sono detto: è sicuramente un attentato. Ho aperto le portiere e molta gente si è precipitata fuori. All'improvviso - ha continuato - ho sentito un boato enorme dentro l'autobus, mi sono girato e ho visto cose troppo orrende per poterle descrivere». La decisione dell'autista di aprire le portiere ha dato a molti passeggeri la possibilità di salvarsi, prima che il secondo kamikaze si facesse esplodere. Hamas con ogni probabilità intendeva colpire in modo ancor più «spettacolare» e devastante poiché un altro attacco suicida è stato sventato ieri mattina quando un palestinese in possesso di esplosivo è stato bloccato ai controlli del valico di Erez, tra Gaza e Israele.

I mezzi d'informazione si affanneranno ora a scrivere che gli attentati suicidi di ieri giungono dopo un lungo periodo di calma. Una «tranquillità» che coincide solo con la mancanza di attentati in Israele e che non tiene conto di ciò che in questi mesi è andato avanti, ogni giorno, nei Territori occupati palestinesi: incursioni israeliane (con demolizioni di case) a Rafah, Nablus, Jenin e altre città. «Esecuzioni mirate» di attivisti dell'Intifada che hanno provocato la morte anche di civili innocenti, uccisioni quotidiane di palestinesi, in qualche caso di militanti di organizzazioni armate in molti altri di persone qualsiasi, tra cui bambini. Calma in Israele che non ha avuto riscontri in Cisgiordania e Gaza dove la vita invece è rimasta un inferno. Senza dimenticare che il muro avanza nonostante le sentenze della Corte di Giustizia dell'Aja e della Corte suprema israeliana.

Il ministro dell'Autorità Nazionale Palestinese (Anp) Saeb Erekat ieri ha immediatamente condannato gli attentati, sottolineando che l'esecutivo palestinese «è contro chi colpisce la popolazione civile, sia essa israeliana o palestinese». Ha tuttavia aggiunto che «la pace e la sicurezza non saranno conseguiti con la costruzione di muri, con la colonizzazione e con gli assassini mirati, ma attraverso un serio processo di pace che porti alla fine dell'occupazione israeliana». Gli attentati di Beersheva sono avvenuti proprio nella giornata scelta da Sharon per informare il gruppo parlamentare del suo partito, il Likud, che lo sgombero dei 7.000 coloni ebrei che vivono negli insediamenti di Gaza sarà anticipato all'inizio del 2005. Lo smantellamento delle colonie dovrà avvenire «in settimane, se possibile, e non trascinarsi per mesi», ha detto il premier molto criticato dai compagni di partito guidati dai ministri Benyamin Netanyahu e Limor Livnat. Sharon vuole un ritiro in tempi stretti per limitare al minimo le proteste dei coloni e dei loro alleati (in parlamento e nel governo), che si oppongono al suo piano.

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