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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Riformista Rassegna Stampa
31.08.2004 Scontro per l'egemonia politica nelle comunità islamiche
tra i terroristi, i fondamentalisti "moderati" e gli Stati

Testata:Corriere della Sera - Il Riformista
Autore: Magdi Allam - un giornalista
Titolo: «La nuova sfida per il controllo delle moschee - Sui rapimenti unité in Francia, diversité in Italia - I fratelli che sbagliano e il modello algerino»
A pagina 6 del Corriere della Sera di oggi Magdi Allam firma l'articolo "La nuova sfida per il controllo delle moschee", un'analisi sul sequestro dei giornalisti francesi e sul confronto politico interno alle comunità islamiche europee. Il compatto schierarsi dei musulmani francesi contro i terroristi riflette anche la scelta dei fondamentalisti "politici", che vogliono conquistare l'egemonia con mezzi diversi dal terrorismo. Ecco il pezzo:
Morire per il velo? Perché i terroristi islamici in Iraq condannano a morte due giornalisti francesi per una legge che in Francia vieta l'ostentazione dei simboli religiosi nelle scuole pubbliche? E perché gli integralisti islamici, anche in Italia, celano malamente il loro profondo imbarazzo tra l'inevitabile presa di distanza dal terrorismo e la reiterata condanna di una legge considerata ostile all'islam? Questo inedito atto terroristico ha già fatto esplodere le radicate contraddizioni tra le molteplici anime dell'islam. Se per gli esponenti moderati il velo è una manifestazione di libertà della donna, per gli integralisti è una trincea in cui attestarsi per promuovere il loro progetto di monopolio del potere sulle comunità musulmane. In quest'ambito i terroristi sono sia dei nemici, sul piano tattico dei mezzi impiegati, sia soprattutto dei rivali, sul piano strategico del fine da conseguire. Diciamo subito che in Italia la questione del velo islamico sostanzialmente non ci riguarda. In primo luogo perché i musulmani rappresentano solo l'un per cento della popolazione e non circa il dieci per cento della Francia. Di donne velate se ne vedono pochissime in giro e, ciò che più conta, la loro presenza non ha assunto quella dimensione di sfida politica che in Francia è stata percepita dallo stesso Chirac come una «forma di aggressione». In secondo luogo perché in Italia il cosiddetto «popolo delle moschee» costituisce solo il cinque per cento del milione di musulmani, contro il dieci per cento della Francia. In terzo luogo perché lo Stato italiano ha finora prudentemente autorizzato l'esposizione del velo musulmano in tutti i luoghi pubblici, riconducendolo alla sfera delle libertà individuali. Ebbene è più che mai opportuno chiarire che questa percezione, che si ispira alla nostra cultura e alle nostre leggi liberali, non corrisponde al convincimento degli integralisti islamici. C'è un sottile ma fondamentale equivoco in cui incappano facilmente l'Italia e più in generale l'Occidente. Mentre noi invochiamo, legittimamente e in buona fede, la tutela di una libertà individuale, per gli integralisti islamici il velo è tutt'altro che facoltativo, è esplicitamente un obbligo religioso. La stessa parola «diritto», in arabo haqq, per loro è sinonimo di «diritto coranico» (haqq shar'i). Ciò che per l'Occidente è un diritto individuale, per gli integralisti islamici è un diritto religioso collettivo. Ciò che per l'Occidente è libertà, per gli integralisti islamici è dovere. Il risultato è che, astutamente, loro strumentalizzano il nostro diritto individuale e la nostra ingenuità culturale per potere un giorno imporre il loro diritto collettivo e la loro cultura teocratica. Ora è del tutto evidente che la vera posta in gioco dietro la battaglia del velo è il potere sulle comunità musulmane in Europa. Un potere che fa gola anche a Bin Laden. Che ha finito per scendere in campo come partito politico fautore di un'interpretazione deviata e sanguinaria dell'islam. Costringendo nemici e rivali interni a giocare a carte scoperte, a uscire dall'ambiguità di chi usa la democrazia per imporre l'arbitrio. Ebbene il fatto più significativo è che sempre più esponenti musulmani d'Italia condannano senza mezzi termini il terrorismo islamico e si riconoscono totalmente nelle leggi e nei valori della civiltà occidentale. Sono loro a incarnare la speranza che la folle strategia di morte di Bin Laden e la subdola strategia di potere degli integralisti saranno destinati al fallimento.
Da Il Riformista: "Sui rapimenti unité in Francia, diversité in Italia", che spiega la politica del ministero degli Interni francesi per isolare i radicali nella comunità islamica e l'editoriale " I fratelli che sbagliano
e il modello algerino" che sottolinea la perdurante ambiguità di molti "moderati".

Parigi. Chi abbia seguito con un minimo d'attenzione le reazioni italiane e francesi ai recenti rapimenti in Iraq non può che essere colpito dalla diversità di comportamenti: la Francia s'è unita, l'Italia no. In Francia tutti i rappresentanti politici hanno parlato con una sola voce, respingendo l'«odioso ricatto» con eguale determinazione ed evitando scrupolosamente di utilizzare la crisi degli ostaggi in funzione di politica interna. Certo la situazione non è uguale: la decisione di cui i terroristi avevano chiesto la revoca al governo italiano - le truppe in Iraq - era stata a suo tempo il prodotto di una profonda spaccatura in Parlamento e nel paese, mentre la legge francese sulla «laicità nelle scuole» aveva visto Assemblea nazionale e Senato esprimersi a Parigi in modo unanime. Tuttavia quella legge, varata tanto facilmente dai rappresentanti del popolo, aveva lasciato perplessa una parte non trascurabile del popolo medesimo. Vari movimenti islamici avevano organizzato manifestazioni di protesta e anche tra cattolici ed ebrei (che in realtà sono coinvolti fino a un certo punto, visto che dispongono di un'eccellente rete di scuole private parificate) c'erano state significative voci di dissenso.
Ma di fronte all'«odioso ricatto» non si sente Oltralpe neppure una brezza di contestazione. Ecco Lhaj Thami Breze, il capo della formazione musulmana impegnatasi più organicamente contro la legge anti-velo, esprimersi in varie interviste contro tutte le strumentalizzazioni di questo argomento e manifestare la propria solidarietà al governo, andando a incontrare il ministro degli Interni Dominique de Villepin insieme agli altri rappresentanti della comunità islamica. Lhaj Thami Breze, presidente dell'Uoif (Unione delle organizzazioni islamiche di Francia), definisce «criminali» i rapitori dei due giornalisti e mette in guardia «ogni forza straniera» dall'idea di ficcare il naso negli affari dell'Islam francese.
Questa sua presa di posizione è condivisa dall'insieme del Comitato francese del culto musulmano (Cfcm), il cui presidente Dalil Boubakeur, che è anche rettore della moschea di Parigi, ha detto che la comunità musulmana francese «sente il bisogno di prendere le distanze da certi atteggiamenti contrari all'Islam». Sullo sfondo di questa vicenda, emerge il successo della spregiudicata operazione compiuta nel periodo 2002-2003 dal ministero francese degli Interni quand'era guidato da Nicolas Sarkozy, oggi titolare dell'Economia. Da decenni i governi francesi d'ogni colore premevano sui musulmani (che in Francia sono 6 milioni e che rappresentano la seconda religione nazionale) perché si dessero una struttura rappresentativa in grado di dialogare con le istituzioni. Niente da fare, visto che troppo profonde sono sempre state le divisioni nell'Islam transalpino. Sarkozy ha praticamente imposto la nascita del Cfcm, allettando poi le varie componenti franco-islamiche con promesse e blandizie di varia natura. Al momento delle elezioni per i rappresentanti al Cfcm, le componenti moderate sono state messe in difficoltà da quelle più radicali, ma poi Sarkozy ha moltiplicato le pressioni perché alla testa del Cfcm ci fosse un pragmatico e un uomo di dialogo come Boubakeur. L'esperienza francese dimostra insomma che la nascita di istituzioni rappresentative dell'Islam a livello nazionale è un interesse dei paesi europei almeno quanto è interesse delle comunità musulmane che in essi si trovano.
Il riflesso francese di unità nazionale è però cominciato dai politici, cosa che è accaduta nell'istante stesso in cui - sabato sera - si è venuti a sapere del ricatto da parte dei terroristi. Il primo a reagire è stato il capo dell'opposizione di sinistra: il segretario socialista François Hollande, secondo il quale «la migliore risposta di una democrazia minacciata sta nella mobilitazione di tutti». Alle domande dei giornalisti, che avrebbero consentito di lanciare qualche frecciatina all'indirizzo del governo di centrodestra (ad esempio sull'apparente inerzia delle autorità nei dieci giorni trascorsi tra il rapimento dei due reporter e l'annuncio dell'ultimatum), il leader socialista ha risposto senza il minimo accenno polemico. Per un giorno la politica francese ha parlato con la stessa voce, cosa che permette al quotidiano Le Figaro di titolare in prima pagina: «La Francia si unisce per i suoi ostaggi». E' vero: da molto, molto tempo la Francia non è stata unita come in questo momento. Per il terrorismo è una sconfitta, come lo fu in Italia alla fine degli anni Settanta.



La richiesta di ritirare la legge sul velo avanzata dai sequestratori alla Francia di Chirac, alla Francia del veto alla guerra in Iraq, alla Francia capofila dell’Asse del Bene e degli unwilling, pone sul tappeto alcune questioni non banali. Quelle ovvie sono già state affrontate a proposito del sequestro e dell’omicidio di Enzo Baldoni: che nessuno in Occidente potesse considerarsi al riparo dalla sfida fondamentalista, lanciata per l’appunto contro l’intero Occidente e tutto ciò che rappresenta, lo sapevamo e lo scrivevamo in tanti già da parecchio tempo. Non banali sono invece le caratteristiche specifiche del sequestro dei due giornalisti francesi, che lo differenziano nettamente dal precedente.
La principale questione che si pone riguarda le comunità musulmane che vivono (e crescono) in Europa. Abbiamo più volte elogiato il modello Sarkozy e abbiamo molto apprezzato la decisione del ministro Pisanu di seguirlo sulla strada dell’integrazione e del dialogo all’interno di regole, diritti e doveri certi. Sulla strada cioè di quel Consiglio del culto musulmano che in Francia però ha presentato immediatamente un problema molto serio. Potremmo chiamarlo il «problema algerino»: che fare se alle elezioni democraticamente istituite regolarmente svolte, vincono i fondamentalisti? Dopo il ricatto dei sequestratori, in Francia il (minoritario) Consiglio dei democratici musulmani ha spezzato la cortina retorica delle corali dichiarazioni di indignata riprovazione, a cominciare da quelle di una giovane musulmana che si offriva di sostituirsi agli ostaggi. Quella ragazza fa parte della Uoif, l’organizzazione maggioritaria nel Consiglio del culto, ha denunciato il fondatore dei democratici musulmani Abderrahmane Dahmane, secondo il quale i «fondamentalisti dell’Uoif» sono corresponsabili del sequestro. L’Uoif che ha organizzato la manifestazione di protesta del 4 settembre che si terrà a Parigi, Londra e in diverse città mediorientali, sarebbe in realtà ampiamente egemonizzata - se non direttamente guidata - dai Fratelli musulmani (una delle principali organizzazioni islamiste, sospettata di diversi attentati). La coincidenza tra la campagna delle componenti oltranziste - e maggioritarie - della comunità musulmana francese e i proclami contro la legge sul velo lanciati diversi mesi fa da Zawahiri, il «vice» di Bin Laden, rappresentano dunque un segnale assai preoccupante. Una coincidenza che può essere letta sia come il tentativo di al Qaeda di «mettere il cappello» sulle proteste delle comunità musulmane in Europa (anche a fini di proselitismo), sia come il segnale di una progressiva e in parte già avvenuta «qaedizzazione» tanto della cosiddetta resistenza irachena, quanto delle stesse comunità di immigrati.
Inutile nascondersi che a denunciare apertamente le troppe connivenze con i fondamentalisti è ancora solo una minoranza della comunità musulmana in Europa, mentre la maggioranza si attesta - quando va bene - sulla vecchia e ben conosciuta linea dei «fratelli che sbagliano». Ma proprio per chi quella linea l’ha conosciuta bene e ha visto a quali esiti può condurre, si pone più stringente il problema di una risposta razionale ed efficace. L’inevitabile conseguenza che ne deriva è l’impossibilità di protrarre l’ambiguità dell’approccio dialogante à la Sarkozy, senza affrontare di petto il «problema algerino.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera e Il Riformista. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

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