Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Guerra al pensiero rispondere ai dubbi ripetendo falsità, certezze e vacuità
Testata:Avvenire - L'Unità - Il Manifesto Autore: Maurizio Blondet - Furio Colombo - Gabriele Polo Titolo: «Ma accusare l'islam in blocco non serve. Non ci fa onore - Marcello Pera dichiara guerra - Per questo»
Secondo Maurizio Blondet in Europa è oggi "di nuovo permesso essere razzisti". Contro i musulmani. A provarlo sarebbero l'articolo di Alain Finkielkraut pubblicato dal Corriere della Sera di ieri, 30-08-04, e l'intervista a Marcello Pera apparsa, anch'essa ieri, su La Repubblica. Entrambi gli articoli sono stati pubblicati da Informazione Corretta ( Il terrorismo islamista ha dichiarato guerra all'intero Occidente 30-08-04). I nostri lettori possono dunque facilmente constatare che nè Finkielkraut nè Pera attaccano "una comunità intera in quanto tale, senza distinzione". Ecco il pezzo, di evidente disinformazione, pubblicato come editoriale da Avvenire: Allora è di nuovo permesso, in Europa, essere razzisti? Vomitare odio dai giornali contro una comunità intera in quanto tale, senza distinzioni? Ripetere senza cautele razionali i più vieti stereotipi del disprezzo etnico? Esaltare la nostra superiorità per opporla all'inferiorità civile, morale, religiosa degli altri, retrogradi e fanatici aggressivi? Tutto ciò diventa legittimo contro gli islamici? Parrebbe di sì, a leggere i giornali di ieri. Un nouveau philosophe francese, un presidente del Senato, un pensatore italiano (Dino Cofrancesco sul Secolo XIX) ci hanno spiegato che "quelli" in blocco ci odiano tutti, noi bianchi. «Attaccano la nostra civiltà», grida il presidente, e accusa i cattolici di diserzione nella difesa della «civiltà europea cristiana» (senatore Pera, dettagli l'accusa: dove? quando?). Dal canto suo, il pensatore di Genova ci invita a riconoscere che lo scontro di civiltà è già in corso, bisogna battersi. Il maître-à-penser parigino assicura che "loro" impongono il velo alle donne «coltello alla gola». Anche gli emigranti italiani in Usa erano chiamati per spregio dago, per dire che avevano il coltello (dagger) facile. Con ciò, non si può certo negare (anche a volerlo non sarebbe possibile) che i terroristi islamici compiano misfatti orribili. Ed esecrabili. A stridere è la finzione che viviamo in un Occidente tutto angelicamente civile: dimenticando che abbiamo avuto i nostri terrorismi, Brigate Rosse, bombaroli neri, Eta basca, non meno feroci e deliranti. Prodotti della nostra civiltà superiore? Quando l'Ira irlandese faceva saltare autobombe sfracellando soldati inglesi, non usava strillare sui giornali: «Il cattolicesimo attacca Londra». Oggi, dunque, perché dire che «L'islam ci attacca»? Come se esistesse una centrale unica dell'islam, mentre le notizie orribili giungono da un Iraq dove esistono solo schegge impazzite che fanno di testa loro, visto che persino al-Sistani, il capo spirituale più rispettato, non riesce a venire a capo delle frange sciite. I terroristi islamici ammazzano pacifisti e sequestrano francesi antiguerra: vogliono dirci che «per loro siamo tutti uguali»? Forse. Ma anche sulle motivazioni delle Brigate Rosse si è disquisito (da sinistra si diceva che erano «sedicenti» cioè fascisti travestiti; o le si accusava di «fare il gioco della destra»); segno che anche dai loro atti criminali non si ricavava facilmente una qualunque razionalità. Sono i terrorismi a somigliarsi tutti, nella follia. Si fa presto a generalizzare sull'Occidente. Quando poi il philosophe c'informa che tra i valori occidentali che "loro" odiano ci sono «la nudità e la sessualità», ci pare che qualche rotella sia fuori posto. La prima vittima di guerra, ironizzò Churchill, è la verità; ora dobbiamo registrare fra i caduti anche la capacità di analisi, d'intelligenza culturale, che sono le vere glorie dell'Occidente. Lo scivolamento verso stereotipi razzisti, o verso il «Non licet esse musulmanus» è, prima che criminoide, politicamente idiota: significa compattare contro "noi" tutti "loro", anche quelli che sono qui per lavorare. Ci inquieta, infine, il tono dell'ostilità contro la fede islamica; chissà perché, ci viene a mente che simili accuse, oscurantismo, fanatismo, vengono elevate a intermittenza anche contro i cattolici. Non vorremmo che dopo toccasse anche ad altri a provare la tolleranza dell'Occidente. Condivide il giudizio negativo di Blondet sull'intervista a Marcello Pera il direttore dell'Unità Furio Colombo che nel suo editoriale "Marcello Pera dichiara guerra" accusa appunto il Presidente del Senato di aver dichiarato una guerra al terrorismo islamico. Una guerra che prima non c'era, secondo Colombo. Ecco il pezzo: Improvvisamente compare il presidente del Senato, in una drammatica intervista a piena pagina sul quotidiano La Repubblica, si mette in posa accanto al cadavere di Enzo Baldoni, per il quale, da vivo, da ostaggio, da uomo in estremo pericolo, non ha detto una parola né fatto un gesto, e dice: «I terroristi, che non sono pochi gruppi fanatici ma un grandissimo fronte che attraversa il mondo, proclamano la sharia, dichiarano la jihad, vogliono colpire l'Occidente, sono determinati a distruggere la nostra civiltà. C’è una guerra dichiarata e noi dobbiamo decidere come atteggiarci. Possiamo combatterla questa guerra, oppure possiamo alzare le mani».
Lo stupore dei lettori è facilmente immaginabile. La uccisione barbara e misteriosa del pacifista Baldoni, ad opera di un gruppo barbaro e misterioso, serve al presidente del Senato italiano per dichiarare la guerra universale.
Un evento importante - oltre che tragico - se si pensa che Pera è la seconda carica dello Stato, e che in quella veste ha sempre espresso tutto il suo disprezzo per i pacifisti (da vivi) come Baldoni. Anche in questa intervista-proclama, il presidente del Senato non ha la mano leggera. Ascoltate: «Una grande parte del clero o tace o marcia per la pace, come se non fosse affar suo difendere la civiltà cristiana». Qualcuno ricorderà che Marcello Pera incarna una alta funzione istituzionale, che, per definizione, è al di sopra delle parti.
Ecco come la vede lui, nella straordinaria intervista-proclama: «Se il problema è la tutela della nostra civiltà, la questione va ben oltre le divisioni interne. Va addirittura oltre quell’unità di fondo che dovrebbe esserci in politica estera. Destra e sinistra dovrebbero unirsi per fare sforzi comuni e trovare strategie contro il terrorismo. Truppe sì, truppe no, svolta sì, svolta no è una discussione tardiva».
Il modello Pera è semplice: 1- Come intendere il dialogo: noi parliamo e voi ascoltate. 2- Che cosa intendiamo per strategia comune: noi decidiamo la guerra e voi vi arruolate, e anzi manifesterete il dovuto entusiasmo. 3- Qualunque altro distinguo è da imbelli o da traditori.
Come si vede, Pera è al di sopra delle parti nel senso che vede dissenso, intellettuali, pacifisti (quelli vivi) oppositori come rimasugli di una povera visione arretrata. Esistono solo lui, la sua parte unica e giusta (presumibilmente Dio è con lui e non con quegli stupidi preti che marciano per la pace) e una bella guerra di civiltà. Lui esorta: dobbiamo andare tutti in Iraq. E non sembra che parli di un convegno. Marcello Pera ha corso un rischio. Ha proclamato la sua guerra santa, con speciale cattivo gusto, sulla tomba non ancora trovata di un uomo di pace, nelle stesse ore in cui le sue controparti francesi hanno avuto - per tempo, prima che si compia un altro delitto - uno scatto di impegno per salvare in ogni modo due vite.
Per Jacques Chirac, per il presidente del Consiglio di quel Paese, per il ministro degli Esteri francese, non è sembrato eccessivo - invece di invocare la jihad cristiana - impegnare ogni attimo e ogni risorsa della loro autorità e del loro peso nel mondo per riportare a casa, sani e salvi, i due giornalisti. Se falliranno, in queste ore angosciose, potranno dire al loro Paese che non erano in vacanza, e che hanno tentato il tutto per tutto. Se ci riusciranno, Marcello Pera si ritroverà ad essere il rappresentante di un’Italia sola, triste e pericolosa, un Paese arruolato agli ordini di altri, nella guerra santa nonostante i suoi cittadini e la sua Costituzione. Mentre Colombo appare irremovibile dalle sue certezze politicamente corrette, un dibattito, a sorpresa, si è aperto sul Manifesto (vedi "Le indagini sulla presunta "spia" israeliana al Pentagono e l'omicidio di Baldoni", Informazione Corretta 30-08-04). Ai dubbi dell'ex direttore Riccardo Barenghi (forse è meglio l'Iraq occupato dagli americani che dai tagliatori di teste islamisti) risponde in prima pagina il direttore attuale (insieme a Mariuccia Ciotta), Gabriele Polo, nell'editoriale "Per questo". Alla scelta del "male minore" Polo oppone, senza spiegare in cosa consista, la possibilità dell'"esodo". Dalla realtà, dobbiamo intendere. Guerra e civiltà sono parole inconciliabili: quando l'occidente ha rimosso questa lezione (e lo ha fatto spesso nella sua storia) ha provocato la propria e l'altrui rovina. Di solito lo ha fatto per spirito imperiale, o per paura. In entrambi i casi ha distrutto le sue libertà, quelle che gli antichi consideravano le basi della civiltà. Quando qualcuno (uno stato come una setta) si appella a valori assoluti per esigerli con la forza impone una chiamata alle armi che non ammette defezioni. Lo fa chi dice di esportare la democrazia a mano armata, lo fanno quelli che vogliono imporre il velo a una donna. E' questa la guerra che entra nel profondo delle nostre vite.
Siamo obbligati a scegliere tra un Iraq (un medio-oriente o persino di più) sotto occupazione americana e un paese «liberato» a colpi di terrore? Non è così, non fosse altro perché il terrore colpisce e continua a colpire nonostante l'occupazione. Dobbiamo accettare l'indiscutibilità di una legge, tra il difendere la sovranità laica di uno stato contro il ricatto terrorizzante e asserire - per questa via - la superiorità della nostra parte del mondo? Non dobbiamo, preferiremmo che le ragazze musulmane delle banlieue parigine decidessero in libertà (dalle famiglie, dai maschi in guerra, dallo stato in cui vivono) se portare quel velo.
La tragica parodia dello «scontro di civiltà» non risparmia nessuno: chi non è obnubilato dagli integralismi o corrotto dagli interessi ascolta il richiamo delle sirene che intonano l'inno del «male minore», quel «meno peggio» che sta diventando una filosofia di vita per la sinistra europea. E' meno peggio il tank o il kamikaze? Abu Ghraib o i decapitatori? L'imposizione del volto scoperto o del velo? E' così che si rinuncia: non ai sogni di un altro mondo ma perfino alla propria autonomia, si finisce arruolati. E' la fine della libertà, della critica razionale, della ricerca di un'alternativa. E si prepara la propria fine. Seguendo un simile buon senso l'Internazionale socialista, un secolo fa, decise che il colonialismo europeo in Africa era cosa buona e giusta: portava la civiltà, che - ovviamente - avrebbe fatto nascere anche lì il movimento operaio. Qualche anno dopo l'Internazionale si dissolveva nell'appoggio al massacro della prima guerra mondiale.
Non ci stiamo. Di fronte alla barbarie di mondi impauriti che per sopravvivere o per perpetuare privilegi si chiudono nelle appartenenze scegliamo la diserzione, l'esodo. L'andare altrove non è una fuga, è una ricerca. Abbiamo imparato da tempo che il nemico del nostro avversario non è per forza un nostro amico, ma anche che il fine (nemmeno la democrazia, il comunismo o la felicità) non giustifica i mezzi che snaturano quel fine. Meglio sottrarsi al gioco delle semplificazioni e continuare a cercare le radici del male per dare voce ai mondi più scossi dai bagliori accecanti degli orrori. Mondi che esistono anche dove la legge della forza sembra cancellare tutto. Per questo vogliamo il ritiro delle truppe dall'Iraq, precondizione per la fine della guerra, per questo facciamo questo giornale, che seguendo la logica del male minore non sarebbe nemmeno nato: per essere in questo mondo senza esserne divorati. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Avvenire, L'Unità e Il Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.