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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
30.08.2004 Il terrorismo islamista ha dichiarato guerra all'intero Occidente
che deve decidersi a resistergli, unito.

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Andrè Glucksmann - Lorenzo Cremonesi - Marcello Pera
Titolo: «L'Occidente in ostaggio - Chi non combatte con noi si troverà il terrore in casa - Attaccano la nostra civiltà, fermiamo i fondamentalisti»
Due giornalisti francesi rapiti dai terroristi iracheni, con una terribile minaccia: verranno uccisi se Parigi non abrogherà la legge che proibisce di indossare simboli religiosi evidenti (velo islamico, kippà, crocefissi di grandi dimensioni) nella scuola pubblica.
Il Corriere della Sera di oggi, 30-08-04, pubblica in prima pagina un editoriale del filosofo francese Andrè Glucksmann: "L'Occidente in ostaggio" che offre una chiave di lettura politica di questa drammatica vicenda: gli europei devono rendersi conto della necessità di resistere al terrorismo islamista che li aggredisce e che ha decretato l'inizio delle ostilità contro l'intero Occidente.
Ecco il pezzo:

Christian Chesnot e Georges Malbrunot, due giornalisti francesi, sono a loro volta minacciati di morte. Questa volta, nessuno può continuare a sbraitare assurdamente «è colpa di Bush». Questa volta la Francia governata da Chirac, l'anti-Bush mondiale, è a sua volta sottoposta al ricatto infetto degli assassini islamici. Un fascista non ha il senso delle sfumature: Parigi è contro l'intervento della coalizione in Iraq, e allora? Credete che i pendolari massacrati nella stazione di Atocha a Madrid fossero a favore? Pensate che a Enzo Baldoni sia stato chiesto un parere? Nessun rifugio per i giornalisti, nessun rifugio per le democrazie, nessun rifugio per i civili, camionisti turchi, lavoratori kuwaitiani, kenioti, americani, studentesse e studenti iracheni, nottambuli di Parigi o di Casablanca. La Francia si credeva al riparo, e il suo governo è stato piuttosto avaro di messaggi di sostegno e di compassione per gli italiani sottoposti da mesi agli atroci ultimatum dei ricattatori. L'Europa scopre che non serve a niente fare gli struzzi, con la testa nella sabbia, e deve ricordarsi che la guerra condotta dall'islamismo radicale non è cominciata con George Bush ma con Khomeini, e che questa sovversione terrorista pretende di essere senza frontiere. Ha luogo nelle scuole francesi come nel mausoleo di Alì contro tutti quelli che non ubbidiscono, credenti o non, musulmani o infedeli. Teheran, 1979. Portato al potere da manifestazioni gigantesche dove liberali, rivoluzionari e religiosi si confondono, l'ayatollah Khomeini ordina immediatamente che le donne portino il chador. Tutte le iraniane devono nascondere il loro corpo sotto veli neri. Tutte, giovani, anziane, credenti e non credenti, dalla testa ai piedi, sotto pena di prigione, flagellazione, lapidazione e altre inezie, morte compresa. La guida suprema, ansioso di istituzionalizzare la sua rivoluzione islamica, vuole dare al nuovo regime fondamenta di roccia. E questa roccia è lo statuto di inferiorità concesso alle donne. Il velo dovrà rendere eterno il suo potere. Alcune donne di Teheran non si lasciarono ingannare. Lungi dal considerare l'editto sul velo come un aspetto secondario, scesero in strada, ruppero con l'unanimismo che fino ad allora circondava il regime di Khomeini e lanciarono la prima manifestazione anti-islamista della storia. Furono abbandonate dagli uomini. Tutti, liberali, rivoluzionari, religiosi, credenti e non credenti. Alcuni versavano lacrime di coccodrillo e le richiamavano alla ragione. Il destino «spiacevole» promesso alle figlie dell'Iran non era che il danno collaterale di una liberazione, quanto al resto, generale. La strategia khomeinista si rivelò fruttuosa e contagiosa. Il pezzo di tessuto che le brigate dell'ordine morale imponevano a Teheran diventò uno stendardo politico universale, uno strumento di conquista, un'uniforme degna delle SA naziste, dice la mia amica Khalida Messaoudi, femminista algerina. Gli integralisti, tanto sunniti che sciiti, si erano ormai impossessati del messaggio: perseguitare, amputare, lapidare, sgozzare le donne che si ostinavano a rifiutare il velo. L'ayatollah ha fatto scuola ad Algeri, e il tentativo di velare le liceali, coltello alla gola, porterà a una serie di massacri senza precedenti, dove chi si oppone, bambini compresi, ha il collo tagliato come i montoni della Eid el-Adha, la festa del sacrificio. La sorte riservata alle donne prefigura la punizione di tutta una società. In Afghanistan, gli uomini rincararono la dose nel vietare l'esposizione di ogni più piccola parte di pelle. Il burqa, il velo integrale nella quale la donna soffoca e vede con difficoltà, si propagò e divenne l'emblema della dittatura dei talebani. Nelle scuole europee, nelle periferie delle metropoli, nel cuore delle zone alla deriva, ma anche nei quartieri alti, ragazze giovanissime, con le buone o con le cattive, si fecero strumenti visibili di un Islam aggressivo e conquistatore. Dei ragazzi, padri, soprattutto fratelli, si misero a dividere le donne in «puttane» (senza velo) o «sottomesse» (con il velo). Il trattamento delle «puttane» passa per gli insulti, i pugni, gli stupri e le tournantes, le violenze di gruppo. A Ivry, Francia, Souad viene bruciata viva. L'odio anti-occidentale è evidente. La nudità, la sessualità, l'uguaglianza degli uomini e delle donne sono regali avvelenati dei quali l'Occidente, nella sua grande perversione, si serve per sconvolgere le anime e i corpi. Khomeini ha visto giusto. Risvegliare un antagonismo che da millenni divide l'umanità non è un atavismo oscurantista destinato, a più o meno lungo termine, alla spazzatura della storia. Rischia, al contrario, di incendiare il XXI secolo per bruciare tutto il Pianeta. Ricordiamo che la legge francese proibisce di portare il velo solo nelle scuole primarie e secondarie (elementari e liceo, ndr), e non certo per strada. Niente di più totalitario della pretesa di decidere il regolamento interno di licei e collegi delle banlieues francesi attraverso una cattura di ostaggi in Iraq! E perché non intervenire, allora, anche sul menu delle mense scolastiche? E la promiscuità nelle piscine? Il terrorismo senza frontiere, né scrupoli, né tabù, è una spada di Damocle sospesa su tutte le democrazie d'Europa. Spetta a chi assassina i giornalisti, a chi lapida le donne, alle bombe umane, di decretare come deve vivere, insegnare e divertirsi chi abita a Roma, Londra, Parigi? Non Bush, ma i terroristi islamici hanno cominciato le ostilità. Presto o tardi gli europei scopriranno la necessità di resistere e di resistere insieme. La mancanza di solidarietà delle autorità europee che ha accompagnato le uccisioni di Quattrocchi e di Baldoni è una vergogna.
A pagina 9 Lorenzo Cremonesi firma un' intervista al premier iracheno Iyad Allawi, «Chi non combatte con noi si troverà il terrore in casa», che di seguito riproduciamo.
BAGDAD — «Nessun Paese civile si può tirare indietro. La lotta al terrorismo deve essere globale. Perché la sfida è davvero globale. Non esiste la neutralità, come dimostra il rapimento dei giornalisti francesi». In un'ora e mezzo di intervista nel suo ufficio, ieri Iyad Allawi ha ribadito il suo grazie all'Italia e la necessità dell'impegno internazionale in Iraq, da lui definito «terreno di battaglia dello scontro tra la civiltà e le forze del male». Un incontro caratterizzato dall'emergenza attentati e rapimenti. Ha esclamato più volte il premier iracheno: «Magari il caso dell'assassinio di Enzo Baldoni e dei due reporter francesi presi in ostaggio convincerà finalmente i media internazionali a chiamare con il loro vero nome i criminali che operano in Iraq. Altro che resistenza! Qui si tratta di terroristi!». La Francia si è opposta alla guerra un anno fa e non ha truppe in Iraq. A suo parere, perché sono stati rapiti i due giornalisti di ? «Da tempo dico che qui in Iraq si sta combattendo una guerra all'ultimo sangue contro forze eversive che minacciano la libertà e la civile convivenza. Nessuno sarà risparmiato. Chi non combatte con noi adesso si ritroverà ben presto i terroristi in casa. Già oggi non passa giorno senza che emergano minacce nel mondo: da Los Angeles a New York, sino a Londra, Milano, Berlino, Roma, Madrid. E anche Parigi, indipendentemente da quella che è stata la politica del governo francese negli ultimi anni. Si illudevano i francesi se speravano di restarne fuori. Ora gli estremisti ricattano anche loro. Qui in Iraq il leader curdo Barzani mi ha segnalato nelle ultime ore che le sue forze hanno arrestato 32 persone coinvolte nel tentativo di preparare un'autobomba che avrebbe dovuto distruggere il parlamento regionale a Erbil». Sembra che i rapitori dei due francesi siano anche gli assassini di Baldoni. «Ho già telefonato al premier Berlusconi per esprimere il nostro cordoglio e ho chiesto di trasmetterlo alla famiglia di Baldoni. Era un innocente, un giornalista che faceva il suo dovere. E l'hanno ucciso senza pietà». Lei ha appena ricevuto una delegazione dell'Unione Europea. Che cosa vi siete detti? «Mi hanno offerto la possibilità di addestrare la nostra polizia presso le forze di sicurezza europee. Mi sembra un'ottima idea. Domani (oggi per chi legge, ndr.) cercheremo di elaborare i dettagli. Noi vorremmo anche il massimo della collaborazione per combattere il terrorismo internazionale. La nostra intelligence vorrebbe avere accesso alle banche dati dei colleghi europei. Solo creando un fronte unico abbiamo la speranza di battere i nemici, che, ripeto, sono nemici di tutti, non solo del nuovo governo iracheno». Lei sapeva che Baldoni era vicino ai movimenti pacifisti, contrari alla presenza delle truppe italiane in Iraq con gli americani? «Questo prova ancora di più le mie affermazioni. E' stato ucciso non per quello che faceva, ma per ciò che rappresentava. E ciò li rende ancora più pericolosi. Non si fermano di fronte a nulla. Qui uccidono donne, bambini, civili, senza pietà». Sembra che Al Qaeda abbia promesso che risparmierà il Vaticano. «Ridicolo. Una manovra politica. Non ci credo. Se fosse funzionale ai loro piani, attaccherebbero anche il Papa. Gli europei non dovrebbero lasciarsi fuorviare da queste sciocchezze. Si pensi alla Seconda guerra mondiale. Gli americani persero centinaia di migliaia di soldati per battere Hitler e salvare l'Europa. Oggi hanno salvato l'Iraq dalla dittatura e stanno combattendo la battaglia contro il fondamentalismo terrorista. Vanno aiutati in ogni modo». Sino a quando pensa ci sarà bisogno dei tremila soldati italiani in Iraq? «Per il momento ne abbiamo bisogno. A gennaio avremo le elezioni, passo fondamentale sulla via della democrazia. Poi ci occuperemo di rafforzare la nostra polizia e i militari. Quando saremo in grado di stare in piedi da soli potremo fare a meno degli alleati. E, anzi, potrebbe giungere il nostro turno per dar loro una mano nella guerra al terrorismo». Davvero crede che si possano tenere le elezioni entro il 31 gennaio 2005? «Assolutamente sì». C'è chi ha letto la recente pacificazione a Najaf come un fallimento per il suo governo. C'è voluto il leader moderato sciita Al Sistani per convincere l'estremista Al-Sadr. Siete davvero in grado di controllare il Paese? «Sino all'ultimo abbiamo voluto evitare inutili spargimenti di sangue. Il punto cruciale era e resta il disarmo delle milizie, prima di tutto il cosiddetto Esercito del Mahdi agli ordini di Al-Sadr. Spesso c'erano frange estremiste che rifiutavano di obbedire agli ordini dello stesso Al-Sadr. Lui firmava le intese con noi e poi non era in grado di rispettarle. Molti dei suoi miliziani sono banditi, criminali incalliti, liberati nell'ottobre 2002, ai tempi dell'amnistia generale voluta da Saddam prima della guerra. Gente che dalla normalizzazione ha tutto da perdere: per loro significa il ritorno in carcere». E ora come continuare la pacificazione? «Ho aperto un dialogo diretto con i gruppi armati. Ieri ho visto alcuni rappresentanti di Samarra, due giorni fa quelli di Falluja. Il loro primo problema è che hanno le idee confuse, mancano di veri programmi politici. Sanno distruggere. Ma non propongono nulla di costruttivo se non la necessità di scacciare le truppe straniere. Io rispondo loro: la via più facile sono le elezioni. Sciogliete le milizie armate e costruite partiti politici, partecipate al gioco democratico, sarete più che ben voluti». Anche Moqtada Al-Sadr potrebbe diventare partner politico? «Per ciò che mi riguarda assolutamente sì. Dopo gennaio potrebbe essere persino il nuovo premier dell'Iraq. So che contro di lui esiste un'inchiesta per l'assassinio di alcuni esponenti moderati del mondo sciita. Saranno gli organi giudiziari a occuparsene». Lei parla di libertà e democrazia. Come mai allora ha ordinato la chiusura dell'ufficio di corrispondenza a Bagdad di , la tv del Qatar? «Perché fa da portavoce dei terroristi. Abbiamo chiesto a un gruppo di osservatori indipendenti di seguire i loro programmi per 4 settimane. Alla fine hanno concluso che i loro reportages erano falsi, faziosi, funzionali a quelle stesse forze che seminano il Paese di orrore e morte». Da tempo lei accusa l'Iran di armare gli estremisti in Iraq. Ma ora si prospetta persino una sua visita a Teheran. E' la svolta? «Sabato il mio vice, Barham Saleh, è partito alla volta di Teheran assieme al ministro dell'Interno. Una visita importante, improntata dal desiderio di aprire il dialogo con i nostri vicini. Chiediamo che rispettino la nostra sovranità e non interferiscano nei nostri affari interni. Per ora l'Iraq è un Paese debole, segnato dalla guerra e dalle conseguenze di una lunga dittatura. Ma potenzialmente siamo ricchi, forti. E' interesse di tutti pacificare la regione. Se ci fossero le condizioni, io stesso potrei andare presto a Teheran».
La Repubblica a pagina 9 pubblica un'intervista di Luigi Contu al presidente del senato Marcello Pera: "Attaccano la nostra civiltà, fermiamo i fondamentalisti".


ROMA - Il presidente del Senato è allarmato. Gli ultimi sviluppi della crisi irachena, l´assassinio di Enzo Baldoni e il rapimento dei due reporter francesi, lo rattristano profondamente. Ma non lo stupiscono perché a suo giudizio confermano un dato acquisito. I terroristi islamici continuano a fare ciò che hanno dichiarato da tempo: la guerra all´Occidente, ai suoi valori di tolleranza e di libertà. A sorprenderlo è semmai lo stupore di intellettuali e politici i quali sottovalutano questa drammatica emergenza. Marcello Pera ritiene che la nostra civiltà sia sotto grave minaccia e rivolge un duplice appello ai paesi che credono nella democrazia, e la praticano, per indurli a sottoscrivere un "patto di solidarietà Occidentale"; alle forze politiche italiane affinchè accantonino divisioni e polemiche ormai superate da fatti che impongono strategie comuni. Alle quali dovrebbero concorrere anche i cattolici che salvo rare eccezioni, ad avviso di Pera, sembrano poco disposti a difendere la civiltà cristiana.
Presidente, la crisi irachena è sempre più drammatica. Lo stesso Bush riconosce di non aver fatto bene i conti per il dopo Saddam. Le parole della politica e la capacità di comunicare con l´opinione pubblica araba sono soffocate dalla guerra. Come uscirne?
«Non ho una ricetta su come uscirne. Ho un´analisi da offrire e un metodo da proporre. L´analisi è che in Iraq c´è stata una guerra di liberazione e c´è adesso una guerra civile. La posta in gioco e lo scopo degli estremisti e dei terroristi è la trasformazione dell´Iraq in uno stato fondamentalista islamico che si allei con altri stati e diffonda il fondamentalismo altrove. Se questo scopo venisse raggiunto, non solo il Medio Oriente ma tutto il mondo ne sarebbe destabilizzato, gli equilibri internazionali compromessi e anche la pace sarebbe a rischio».
E quale metodo suggerisce?
«Per evitare esiti tragici, il mio metodo è quello della solidarietà occidentale. Serve un patto su grande scala, quella stessa che in Italia funzionò contro le Brigate Rosse. Dobbiamo avere una strategia comune e prendere decisioni comuni.Le sedi sono quelle delle istituzioni internazionali, in primo luogo l´Onu e l´Unione europea».
Ma l´Europa è la grande assente, mentre l´Onu arranca...
«È vero, queste istituzioni oggi sono divise e anche paralizzate. Invece dovremmo farle funzionare. Ma la solidarietà occidentale deve cominciare dall´interno di ciascun paese. Intendo dire che non si devono invocare le istituzioni internazionali per scaricare il problema, per creare alibi, per dividerci tra maggioranze e opposizioni. Se il problema è la tutela della nostra civiltà, la questione va ben oltre le normali divisioni interne. Va addirittura oltre quell´unità di fondo che dovrebbe esserci in politica estera. In tutti i paesi dell´Unione destra e sinistra dovrebbero fare sforzi per unirsi e trovare comuni strategie per contrastare la guerra del terrorismo. Truppe sì truppe no, svolta sì svolta no, dopo gli ultimi avvenimenti è una discussione tardiva».
Resta il fatto che la presenza delle truppe straniere accresce l´odio in tutto il mondo islamico per gli occidentali...
«La nostra solidarietà occidentale, la presenza nostra, di tutti e non di pochi, sarebbe il messaggio migliore alla popolazione irachena. Dopo tutto gli iracheni ce lo stanno chiedendo. Se siamo tutti con loro e andiamo tutti da loro, loro sentirebbero il mondo libero dalla loro parte e non ostile o col solo viso delle armi»
Il terrorismo però continua a colpire e il ricatto alla Francia sul velo indica un salto di strategia.
«Da tempo sono allarmato, ma ora sono sgomento per le reazioni che vedo di fronte agli atti del terrorismo islamico. Sono tutte reazioni di stupore: stupore perchè si uccidono giornalisti, si assassinano pacifisti, si sequestrano cittadini francesi, si fanno attentati contro la Croce Rossa, contro l´Onu. Mi chiedo: ma che c´è da stupirsi? I terroristi tutto questo lo dicono da tempo, lo scrivono e, come possono, lo fanno. Quello che accade è la semplice, cruda, tragica conferma dei loro proclami. O ci si crede a questi proclami e allora non ci si stupisce. Oppure ci si stupisce, ma allora si accumulano morti e martiri senza imparare nulla. E ciò produce altri morti e altri martiri».
E lei, cosa ha imparato?
«I terroristi, i quali non sono pochi gruppi fanatici ma un grandissimo fronte che attraversa tutto il mondo islamico, proclamano la sharia e dichiarano la jihad. Vogliono colpire l´America, l´Europa, l´Occidente. Vogliono, come loro dicono, abbattere «Ebrei e Crociati». In una parola, sono determinati a distruggere la nostra civiltà, quella della libertà, delle istituzioni democratiche e della tolleranza. Questa, secondo me, è la situazione. C´è una guerra dichiarata e noi dobbiamo decidere come atteggiarci. Possiamo combatterla, questa guerra, possiamo decidere come, con quali mezzi combatterla oppure possiamo ritirarci e alzare le mani. L´unica cosa che non dovremmo fare è stupirci».
Una guerra unilaterale. Ma non ne abbiamo alcuna colpa?
«Questa storia delle "colpe" dell´Occidente non mi persuade. Da laico, sono disposto solo a parlare di "errori". Ma se errori ci sono stati nella storia occidentale a danno dell´Islam e dei paesi arabi, sono soltanto nostri? Davvero l´ Islam non ha mai commesso errori ed è privo di colpe? E, anche ammessi i nostri sbagli, dovremmo chiedere scusa, dire che hanno ragione loro o che vanno capiti, compresi, giustificati, come tanti intellettuali europei fanno, oppure dovremmo cercare rimedi? E se mentre, come è giusto, cerchiamo rimedi, che poi sono politici, diplomatici, educativi, economici, in una parola sono la globalizzazione delle opportunità e dei diritti fondamentali, quelli ci fanno guerra, dovremmo continuare a batterci il petto? Intanto, c´è una cosa che non dovremmo fare più. Dovremmo smetterla con l´inerzia, la reticenza, la furbizia di chi strizza l´occhio, di chi tenta l´appeacement. Oltretutto chi fa così è stato tragicamente smentito due volte. Dovrebbe essere chiaro, dopo il caso Baldoni e il ricatto alla Francia. Per i terroristi non esiste differenza fra pacifisti amici e militari ostili. E non esiste differenza fra occidentali europei buoni e occidentali americani cattivi. Per loro sono tutti uguali, perché noi siamo tutti uguali: abbiamo gli stessi princìpi e valori»
Chi sono gli inerti, i furbi?
«Mi riferisco in particolare ai leader europei. Tutti vedono e tutti sanno, ma i più non parlano e non agiscono. Alcuni addirittura fuggono, altri fanno capire che non è affar loro, o pensano che sia colpa dell´America che se l´è cercata e ben le sta se non sa come cavarsela. C´è anche chi pensa che, se cambiasse l´amministrazione Usa, tutto cambierebbe e tornerebbe come prima. Doppio errore, anche qui. Perché, come si è capito, se vincesse Kerry non cambierebbe l´analisi né la situazione della guerra in Iraq»
Anche il mondo cattolico e le gerarchie ecclesiastiche restano contrarie alla guerra...
« Io mi riferisco anche ai cristiani credenti e praticanti. Salvo poche eccezioni lodevoli e autorevoli, come quelle del cardinale Ratzinger, del patriarca Scola, di monsignor Caffarra, che giustamente insistono non certo sulla guerra ma sul richiamo per frenare la crisi dell´Europa, una grande parte del clero o tace o marcia per la pace, come se non fosse affar suo difendere la civiltà europea cristiana. Invece no, è affare dell´Occidente tutto perché la guerra è contro l´Occidente tutto. E si tratta di una guerra aggressiva, non reattiva. Perché non si ha il coraggio di dirlo e si lascia sola, o si ironizza, su Oriana Fallaci e pochi altri che lo dicono da tempo? Eppure che si tratti di una guerra aggressiva a cui bisogna reagire lo pensano in molti, come dimostra lo stesso numero dei lettori della Fallaci, i quali, solo in Italia, fanno un partito politico. Io temo che stia accadendo ciò che è già accaduto due volte. La prima in Europa, dopo Monaco nel 1938 quando tutti erano per la pace, applaudivano Chamberlain e Daladier e tiravano un sospiro di sollievo, mentre Hitler preparava la guerra e l´Olocausto. La seconda volta in Italia, negli anni ?70, quando le Brigate Rosse dichiararono guerra allo Stato e le prime, lunghe, reazioni furono di considerarle fanatiche, deliranti, isolate, e ciò ci costò gli anni di piombo».
Dopo Monaco l´Occidente democratico seppe reagire. Le esitazioni degli anni ?70 furono superate dalla mobilitazione di tutte le forze politiche. Adesso abbiamo di fronte un nemico difficile da identificare e colpire. Lo conferma il fatto che l´occupazione non ha sconfitto il terrorismo, anzi. Non è pericolosa l´idea che i buoni siano solo dalla nostra parte?
«Anche allora si sentì lo slogan "Né con lo Stato né con le BR", come oggi si è sentito "Né con l´America né con Saddam Hussein". Non predico il manicheismo. Ma davvero, mi chiedo, ci vuole tanto tempo per capire che non c´è una via di mezzo fra la democrazia e il terrorismo, fra la civiltà e la barbarie? Fui assai sollevato quel giorno che lessi, in italiano e in francese, "Siamo tutti americani". E sono ancora allibito che il giorno dopo non lo eravamo già più. Eravamo insinceri prima o sbagliamo adesso?»
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