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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Il Riformista Rassegna Stampa
26.08.2004 La "resistenza" irachena? Ha contro gli iracheni e non risparmia i pacifisti
non sarà che è terrorismo?

Testata:Il Foglio - Il Riformista
Autore: un giornalista
Titolo: «Sistani scende in piazza contro moqtada e i quaranta ladroni»
A pagina 3 del Foglio di oggi, 26-08-04, l'articolo "Sistani scende in piazza contro Moqtada e i quarana ladroni". La prima autorità religiosa sciita si schiera con il nuovo Iraq e, silenziosamente, con l'America. Ecco il pezzo:
Roma. Il più grande ayatollah iracheno, Ali al Sistani, chiama le masse dei fedeli sciiti a marciare con lui su Najaf per liberare la città santa e il Mausoleo d’Ali "insudiciato e violato" da Moqtada al Sadr. E’ una clamorosa
mossa di fiancheggiamento delle operazioni militari americane quale mai si era vista. Atterrato ieri a Bassora, al ritorno da Londra dove ha subito un’operazione di angioplastica, il settantatreenne ayatollah ha deciso di giocare oggi quella carta della "marcia su Najaf" che pure aveva disinnescato a fine aprile, quando aveva bloccato con la sua indiscussa autorità un’identica manifestazione che lo Sciri (il più popolare movimento sciita) aveva convocato nella città santa con l’identico obiettivo di incuneare la massa dei fedeli tra le truppe americane e i ribelli di Moqtada al Sadr. L’operazione, allora come oggi, non mirava a proteggere i ribelli, ma a "scacciarli dal Tempio". Ad aprile, al Sistani temeva evidentemente che lo scontro diretto tra i manifestanti e gli uomini di Moqtada avrebbe portato a una situazione di guerra fratricida e preferiva tentare la strada della trattativa. Ma da allora, al Sistani ha dovuto soltanto prendere atto che Moqtada ha tentato due volte di attentare alla sua vita, che ha dichiarato finita la sua leadership religiosa, che ha rifiutato decine di mediazioni e infine che non si è limitato a fare del Mausoleo d’d’Ali un bivacco, ma che vi ha anche perpetrato gravi furti sacrileghi. La linea di al Sistani e di tutto il vertice sciita, la Marjia, è così cambiata. Con eccellente tempismo lo stesso ayatollah ha lasciato Najaf il 5 agosto, proprio alla vigilia della controffensiva militare americano-irachena, per farsi curare a Londra, e da allora né lui né gli altri grandi
ayatollah di Najaf hanno mai criticato la violenta azione armata americano-irachena contro Moqtada. Alla vigilia dello showdown finale, però, con tutta evidenza, al Sistani non vuole vivere l’imbarazzo religioso e politico di ricevere il controllo del Mausoleo dalle mani di un’armata di cristiani e quindi gioca la carta della mobilitazione popolare, per rischiosa che sia.
Come sempre, l’inventiva politica di al Sistani è di grande levatura e, a differenza del passato, traspare chiara anche la disponibilità a rischiare uno scontro diretto, anche violento, tra i propri fedeli e i ribelli di Moqtada, soprattutto dopo che il portavoce del grande ayatollah ha accusato le milizie del Mahdi di avere rubato parte del tesoro di Ali e di avere premeditato da mesi, con freddezza, questo furto sacrilego. Ieri, nei pressi del mausoleo, la polizia irachena ha arrestato Ali Sumeisim, braccio destro di Moqtada, con altri miliziani, trovati "in possesso di Tesori trafugati dal Mausoleo di Ali". La capacità di al Sistani di "esercitare egemonia" sulla scena irachena è stata subito confermata – per l’ennesima volta – dalla decisione di tutte le forze politiche di Baghdad (a partire dallo Sciri, che più si è impegnato, anche militarmente, contro Moqtada) di aderire alla marcia di oggi su Najaf, che sarà uno straordinario momento di mobilitazione di massa. Naturalmente, l’apertura di questa nuova pagina blocca l’assalto finale contro il Mausoleo di Ali, che pareva essere imminente e pronto; dentro il Mausoleo sembra che resistano poche centinaia di miliziani, a esclusione di Moqtada che, nonostante le rodomontesche dichiarazioni, ha già provveduto a una disonorevole fuga. I commentatori che da mesi continuano a evocare il "nuovo Vietnam" iracheno e i tanti apologeti della "resistenza" sono così serviti. Ali al Sistani non è un filoamericano, ma la più alta autorità religiosa sciita del mondo, e oggi chiama i suoi fedeli non a marciare contro le truppe americane, ma a cogliere il frutto politico dello sforzo bellico che quelle truppe, mai criticate, hanno fatto maturare. In Vietnam, presidente J. F. Kennedy, i bonzi buddhisti si bruciavano sulle piazze, non manifestavano assieme alle truppe americane. In Iraq gli ayatollah marciano davanti alle truppe americane per sconfiggere i nemici interni. Non è difficile capire la differenza.
Da Il Riformista, a pagina 2 riportiamo l'editoriale "Nè Sadr nè Zarqawi sono Pietro Calamandrei".
Una verità, quella espressa da questo paradossale titolo, che sembrerebbe palese. Eppure la sinistra italiana che ama parlare di "resistenza" irachena sembra essersene accorta, stupita, solo con il sequestro di Enzo Baldoni.
Ecco il pezzo:

Nel momento in cui un uomo è ostaggio dei terroristi, o dei guerriglieri, o chiamateli come vi pare, è necessario pesare bene le parole. Non solo per non urtare la sensibilità, ingenerare false speranze o viceversa indurre alla disperazione famigliari e amici; non solo perché la voce dei mezzi di comunicazione arriva anche ai sequestratori e ha un’influenza nelle loro analisi e nelle loro scelte; non solo perché quando è in gioco la vita di un uomo non c’è convinzione che non debba pagare dazio di fronte al peso che improvvisamente acquista ogni parola. C’è uno scrupolo ulteriore che bisogna porsi, quello del rispetto per un uomo che non è in condizione di replicare. Per questo le battute e i lazzi di Vittorio Feltri ed Emilio Fede, tra gli altri, cui Enzo Baldoni certo non può replicare, non meritano nemmeno un commento.
Meritano invece un commento le parole di stupore dei tanti che sembrano avere improvvisamente scoperto che Sadr o Zarqawi non sono Piero Calamandrei. Di qui la loro sorpresa per quella «resistenza irachena» che immaginavano così vicina a quella italiana e vedono di colpo così lontana. Ma come, un pacifista come Enzo Baldoni, un compagno, come possono prendersela con lui? - sembrano chiedersi spaesati.
Emerge così, non solo e non tanto tra i commentatori, quanto nella pancia di quel popolo di sinistra che a quei commenti è abituato a prestare fede, tutta la drammaticità di un traumatico risveglio alla realtà. Una realtà che si fa improvvisamente complicata, fuori da quel rassicurante schematismo che divideva il mondo in oppressori corrotti (americani) ed eroici partigiani (iracheni). Ora sono di colpo costretti a distinguere le milizie sciite di Sadr dai moderati di Sistani, entrambi assai diversi dai terroristi di Zarqawi e dai ribelli ex baathisti acquartierati nel triangolo sunnita, a loro volta non confondibili con i criminali comuni che rendono ancora più insicure le strade irachene. Il mondo si è fatto d’improvviso grande e terribile, gli inneggiamenti alla resistenza irachena e le manifestazioni a sostegno degli eroici partigiani di Baghdad - sia pure, va ricordato, appannaggio di una ristretta minoranza che con la sinistra rappresentata da Piero Fassino è persino venuta alle mani - si spengono ora in un mesto silenzio pieno di costernazione e stupore. E a noi non resta che augurarci che Enzo Baldoni torni presto libero in Italia, anche per spiegare che i suoi rapitori somigliavano assai più al camerata Kesserling che a Calamandrei.
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