Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Vogliamo riunire in un unico elogio questi analisti e politologi, che indicano quale sia la via maestra a tutti coloro che scrivono in buona fede sulla nostra stampa. Alessandra Coppola ci riassume in poche eloquenti battute il documento delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa che mette sotto accusa una leadership palestinese, Arafat in testa, corrotta ladra ed incapace. Guido Olimpio ("Traballa il potere del rais", a pagina 12 del Corriere della Sera Magazine datato 05-08-04, pubblicato da Informazine Corretta nella stessa data, nell'articolo "Corruzione e violenza a fondamento del potere di Arafat" ) illustra da par suo il declino oramai avviato alla conclusione (speriamo!) di Arafat, e le sue cause. Gianni Riotta, in un articolo ("La riforma di Babele", in prma pagina sul Corriere della Sera di oggi, O6-08-04) che si occupa della riforma delle Nazioni Unite, menziona con tranquilla ovvietà la distorsione pregiudiziale (ossia l' ostilità politica) di quel consesso in ogni occasione in cui esso si sia occupato delle vicende del Medio Oriente con l' orientamento delle relative decisioni contro Israele. Angelo Panebianco, infine, collega il pregiudizio anti-israeliano all' antisemitismo, accomunandoli entrambi come causa ed effetto Bene, è una esemplare collezione di ragionamenti enunciati da autorevolissimi esperti, che ci fa esclamare "Finalmente!" per la coralità , l' evidenza e la forza di opinioni che coincidono con quanto noi - e non solo noi, beninteso - da moltissimo tempo proclamiamo. Non occorre essere ebrei, né sionisti, ma è ampiamente sufficiente leggere la storia e la cronaca con intelligenza critica, per rendersi conto di come le Nazioni Unite siano spesso soltanto un rumoroso e rissoso condominio in cui prevale non la ragione ma la forza dei numeri e la connivenza omertosa con chi ha il potere di esercitare dei ricatti (ideologici, economici, politici). Non occorre essere ebrei, né sionisti, per essere preoccupati dal dilagare incontrollabile di un odio antiebraico basato su motivazioni politico - ideologiche di avversione nei confronti di Israele, e di come queste usino quello come arma di grande e subdola efficacia. Non occorre essere ebrei, né sionisti, né sostenitori di Sharon, per gioire della forse imminente caduta di Arafat, che verrà trascinato dal suo piedistallo di sangue dai suoi stessi uomini per essere esposto al disprezzo di un popolo che non ha difeso nelle sue aspirazioni nazionali né aiutato ad uscire dalla miseria, ma che ha ingannato e derubato. Ma se ciò è stato detto in passato da ebrei o da sionisti, o da sostenitori della buona causa d' Israele (chiunque governasse quello stato), ha attirato su chi tanto osava il dileggio di certi ambienti intrisi di una ideologia abituata a negare l' evidenza ed a ritenere che gli ebrei fossero tutti corresponsabili ed in mala fede quando qualcuno, in Israele, faceva qualcosa che essi disapprovavano.
Di seguito pubblichiamo l'articolo di Alessandra Coppola: "Il manifesto anti-Arafat", dal Corriere della Sera dello 06-08-04, a pagina 10: Punto per punto la sfida ai vertici dell'Autorità palestinese è stata messa su carta dai giovani ribelli. Venti pagine in arabo, diffuse via email o su fogli che passano di mano in mano tra i militanti. E' il «manifesto» delle Brigate martiri di Al Aqsa, il primo documento che spiega nei dettagli i nodi sui quali la nuova generazione si sta scontrando con la vecchia guardia, con i corrotti «che hanno commesso crimini peggiori dell'occupazione», arrivando ora allo scontro frontale. Se questo programma non sarà attuato, è la conclusione, il movimento farà valere «la legge della giustizia rivoluzionaria contro di loro». La battaglia è aperta. «Il tempo dell'obbedienza e della cieca fedeltà è finito, il tempo della punizione è arrivato». E questa volta per il presidente Arafat sarà difficile non prenderne atto. Il testo, di cui il Corriere ha ottenuto una copia, è stato messo a punto a fine luglio dai leader delle Brigate insieme ad alcuni membri del Parlamento e ad esponenti del Fatah, la principale corrente dell'Olp di cui il Raìs è al vertice. Escluso il Comitato centrale del partito. Innanzitutto, la delusione. Negli ultimi dieci anni, si legge nel documento, la «base» ha creduto nella possibilità di una reale svolta nella gestione dell'Autorità palestinese. «A questo punto abbiamo capito che le nostre speranze non sono che illusioni». Quindi, le accuse. Le Brigate vogliono riportare il partito alle sue origini di movimento di liberazione nazionale. Non è in discussione la distruzione di Israele, dicono, ma l'istituzione di uno Stato palestinese nei confini del 1967, da perseguire, però, con le armi. I giovani accusano i capi di aver distrutto l'essenza dell'Olp: «Sono caduti nella trappola del negoziato come unica opzione e sono rimasti neutrali nei confronti della nostra Intifada, accettando i termini di violenza e terrorismo per descrivere la lotta armata». Il documento prosegue, gli attacchi si fanno più precisi. Le Brigate criticano le rappresentanze all'estero trasformate in «regge». Funzionari pubblici «incompetenti, disonesti e corrotti». Il potere spartito tra i clan, «mentre la nostra gente soffre la disoccupazione, la fame, l'ingiustizia». Sono stati incoraggiati il traffico di droga, la prostituzione, gli affari criminali, accusano i giovani del Fatah. «Il tribalismo ha sostituito la legge», il sistema giudiziario non funziona. I media ufficiali «sono annegati nel mare della corruzione», al punto che la gente preferisce guardare le tv satellitari. E quanto ai fondi pubblici, «nessuno sa dove siano andati a finire». Di tutto questo «la leadership è pienamente responsabile». E deve risponderne. Ecco le principali richieste: licenziamento dei corrotti e dei capi della sicurezza, processo per chi si è appropriato di fondi pubblici, una commissione indipendente che accolga i ricorsi della gente contro i funzionari «le cui ingiustizie, aggressioni e crudeltà sono state peggiori dei crimini dell'occupazione». Ma soprattutto le Brigate vogliono elezioni: comunali, legislative e presidenziali (il Raìs è avvertito), e anche all'interno del Fatah. Una costituzione che garantisca la divisione dei poteri, media indipendenti, istruzione gratuita, maggiori salari per le famiglie dei martiri, dei prigionieri, dei feriti. E anche un paragrafo della Carta che sancisca il diritto alla lotta armata. Non è poco. Ed è annunciato come un ultimatum, non come una proposta a partire dalla quale trattare. Una chiamata alle armi per i giovani palestinesi in vista dell'assalto finale al fortino di Arafat. E quello di Angelo Panebianco: "Europa, dimostra che non sei antisemita", dal Corriere della Sera Magazine dello 05-08-04, pagina 18: Succede, a volte, che un concorso di circostanze faccia improvvisamente cadere i veli di ipocrisia dietro i quali abitualmente si nascondono pulsioni inconfessabili. E' ciò che ora sta accadendo all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Essa è sul punto di affrontare una decisiva "prova della verità". A settembre dovrebbe andare in discussione, sponsorizzato dai paesi dell'Unione europea, un documento di condanna dell'antisemitismo. Ma il rappresentante della Lega Araba ha già dichiarato che una condanna dell'antisemitismo potrebbe provocare la rivolta delle masse arabe. Contrari alla mozione sono persino i regimi arabi più moderati, come Giordania e Marocco. La ragione di tanta opposizione è semplice: per decenni in tutto il mondo arabo, la propaganda antisemita è stata mescolata alla propaganda antisraeliana, talchè la seconda non è mai stata distinguibile dalla prima. Non si può sapere se quella mozione andrà davvero in discussione. Se ciò accadrà l'Assemblea generale si dividerà in due e non è detto che la parte vincente possa essere quella che condanna l'antisemitismo. Se non altro lo scontro sull'antisemitismo servirà a gettare nuova luce sull'azione dell'Onu nella vicenda mediorientale. Da decenni ormai, l'Assemblea ha scelto di non avere una posizione equilibrata, ossia rispettosa delle ragioni di tutte le parti in causa, nel conflitto mediorientale. Da decenni, le sue risoluzioni individuano, in quel conflitto, sempre e soltanto un solo colpevole: lo stato di Israele. Da ultimo, ciò è accaduto il 20 luglio quando l'assemblea, forte del parere della Corte dell'Aia, ha intimato a Israele di abbattere la barriera difensiva costruita per difendere i cittadini israeliani dagli attacchi terroristici. Mentre condannava Israele l'Assemblea non ha ritenuto di spendere una sola parola per condannare il terrorismo e le stragi dei civili. L'Europa che, in quel frangente, ha votato a favore dell'abbattimento del muro, avrà ora, di fronte al rifiuto arabo di sottoscrivere la mozione contro l'antisemitismo, molte ragioni per riflettere. Sull'inestricabile nesso che esiste (non solo nel mondo arabo) fra l'antisemitismo e l'ostilità per Israele. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera e Corriere della Sera Magazine. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.