Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Il terrorismo e la coruzione causano le sofferenze dei palestinesei ma u.d.g ne attribuisce la colpa a Israele
Testata:L' Unità Autore: Umberto De Giovannangeli Titolo: «Due milioni di palestinesi vivono con due dollari al giorno»
Su L'Unità di oggi u.d.g. firma un articolo sulle difficili condizioni di vita della popolazione palestinese. Difficili condizioni di vita che sono reali, ma che dipendono dal terrorismo, con la conseguente necesità di difendersi da parte di Israele, e dalla corruzione dell'ANP. Jean Ziegler, sociologo dichiaratamente filo-palestinese e di estrema sinistra e l'Onu, contrariamente a quanto afferma u.d.g., non sono affatto al di sopra di ogni sospetto in fatto di ostilità verso Israele. E le affermazioni del primo sulla barriera difensiva contrastano con l'impegno del governo israeliano a risarcire i palestinesi espropriati, a permettere il transito verso campi e pascoli e a rispettare le ingiunzioni della Corte Suprema a tener conto dei diritti dei palestinesi nella definizione del tracciato della barriera (che è dunque soggetto ad esere modificato). Inoltre deve essere ricordato che i palestinesi hanno ricevuto miliardi dalla comunità internazionale. Sono stati spesi per finanziare il terrore e la corruzione e non per il benessere della popolazione. Alla "sicurezza alimentare e idrica" dei palestinesi non è dunque necessaria la rinuncia di Israele all'autodifesa. Basterebbe che i soldi donati all'ANP fossero spesi a questo scopo. O che cessase il terrorismo. Che, per altro, colpisce ferocemente ogni qualvolta si profili la possibilità di un accordo politico. Ed esisteva da prima dell'occupazione di territori, che non può dunque esserne la causa, come sostiene il professor Pappe. La sua è davvero una bugia "trita e ritrita". Ecco il pezzo: Miseria. Disperazione. Sofferenza. Frustrazione. È il quadro inquietante e desolato della condizione dei palestinesi nei Territori che emerge dal rapporto della Commissione Economica e Sociale dell’Onu per l’Asia occidentale (Escwa), che ha studiato l’impatto dell’occupazione israeliana e della costruzione del «muro» sulle condizioni di vita nei Territori palestinesi. I dati: circa due milioni di palestinesi vivono con meno di due dollari al giorno e quelli che vivono al di sotto della soglia di povertà sono ormai il 63% del totale.
Sempre secondo il rapporto dell’Escwa, il tasso di disoccupazione in certe zone, specie nella Striscia di Gaza, è del 70%, dal marzo 2003 il 42% delle famiglie è indigente e vive solo grazie agli aiuti umanitari, un terzo della popolazione soffre per via dell’occupazione israeliana della terra e del controllo delle risorse idriche. La Banca mondiale ha definito la recessione nei Territori palestinesi come «una delle peggiori della storia contemporanea».
Ai datti della Commissione delle Nazioni Unite si aggiungono quelli forniti in un recente rapporto dal professor Jean Ziegler, ordinario di Scienze economiche e politiche dell’Università di Ginevra, rappresentante all’Onu per l’alimentazione: la prima fase del recinto/muro confischerà 2.875 acri di terra. La terra confiscata è una delle più fertili dei Territori occupati. Il recinto/muro annetterà di fatto allo Stato d’Israele anche la maggior aperte del sistema acquifero occidentale (che provvede al 51% delle risorse idriche della Sponda Occidentale). «Con il muro che divide le comunità dalla loro acqua, senza acqua né terra, né altri mezzi di sussistenza, molti dei palestinesi che vivono in queste zone saranno costretti ad andarsene», osserva il professor Ziegler.
Secondo l’organizzazione dei diritti umani israeliana, B’Tselem, 36 comunità (72 mila palestinesi) saranno separate dalle loro fattorie e dai pozzi che si trovano a ovest della barriera; 19 comunità (128.500 persone) rimarranno quasi completamente imprigionate dall’andamento zigzagante del muro, comprese le 40mila persone che resteranno intrappolate a Qalqiliya, circondate su tutti i lati da un muro alto 8 metri con una sola strada esclusa dal controllo di un check point israeliano; 13 comunità (11.700 persone) rimarranno imprigionate nel territorio definito zona militare chiusa tra il muro e la Linea Verde (il confine armistiziale antecedente la guerra del Sei giorni del 1967), esclusa dai territori palestinesi ma col divieto di entrare in Israele. La seconda fase taglierà esattamente a metà la sponda occidentale, da Salem a Bet Shean: ciò annetterà di fatto l’intera vallata del Giordano a Israele.
I dati sin qui riassunti, elaborati da fonti e organismi non tacciabili di pregiudiziale ostilità verso Israele, delineano una catastrofe umanitaria incombente nei Territori palestinesi. Nel suo rapporto, il professor Ziegler che il governo israeliano debba tutelare la sicurezza dei propri cittadini, ma osserva anche che le conseguenze dei modi in cui sono applicate le norme di sicurezza nei territori occupati «sono del tutto squilibrate, nel senso che tali misure mettono a repentaglio la sicurezza alimentare e idrica della grande maggioranza dei palestinesi ed equivalgono, quindi, a una punizione collettiva».
Una punizione che viene aggravata dalla realizzazione del «muro». Qui considerazioni di carattere umanitario ed economico-sociale s’intrecciano inevitabilmente con le scelte politiche: «Questo muro - rileva il più diffuso giornale israeliano - si mangerà quasi metà dello spazio residuo per il futuro Stato palestinese, eliminando così tutte le opzioni ragionevoli per un insediamento negli anni a venire. I palestinesi sanno chiusi in una forma di schiavitù prolungata ed è chiaro che una gabbia di questo tipo farà ribollire gli stati d’animo ancor più di adesso». «Il recinto di sicurezza - sottolinea ancora il professor Ziegler - non dovrebbe essere usato come un meccanismo per separare i palestinesi dalle loro terre. Il governo israeliano dovrebbe essere libero di edificare liberamente una barriera del genere nelle sue proprietà lungo al linea di demarcazione del 1967, ma costruirla all’interno dei territori occupati, separando i palestinesi dalla loro terra e dalla loro acqua, rappresenta una grave violazione del diritto al cibo». E alla politica fa riferimento anche il professor Alan Pappe, della direzione accademica dell’Istituto di ricerca per la pace e docente onorario all’Università di Haifa: «La trita e monotona verità - dice - resta che la fine della violenza di tutti i tipi, compresa la violenza perpetrata indiscriminatamente contro gli innocenti, non cesserà se non dopo la fine dell’occupazione che ne è la causa primaria». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de L'Unità. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.