Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La crisi dell'Anp si estende alla Cisgiordania le cronache di quattro quotidiani
Testata:Corriere della Sera, La Stampa. La Repubblica, L'Unità Autore: Umberto De Giovannangeli, Alessandra Coppola, Aldo Baquis, Marco Ansaldo Titolo: «A Jenin rivolta contro Arafat»
I giornali di ieri, 1-08-04, dedicano ampio spazio all'acuirsi della crisi interna all'Autorità Nazionale Palestinese, che da Gaza si è ora estesa alla Cisgiordania, con scontri a Jenin. Su L'UNITA' a pagina 11 Umberto De Giovannangeli, nell'articolo "La rivolta contro Arafat dilaga a Jenin", fornisce la cronaca più completa degli ultimi avvenimenti. Il pezzo risulta sostanzialmente equilibrato, salvo che nel riferire del ferimento di un bambino palestinese a Bet Hanun. La versione palestinese dell'accaduto viene riportata senza citare le fonti (usando però il condizionale, il che è già positivo), quella dell'esercito israeliano viene fornita dopo e correttamente la fonte viene indicata. La spiegazione della presenza dei militari israeliani a Bet Hanun, ovvero il tentativo di impedire il lancio dei missili kassam, che già ha provocato la morte di un uomo e di un bambino, viene data soltanto in coda al racconto, e rischia perciò di passare in secondo piano.Inoltre, come risulta dal lancio ANSA da noi riportato il 28/07/04, Israele ha bloccato il valico di Rafah in seguito alla segnalazione di un attentato in progettazione, per un motivo, quindi, sufficientemente preciso. A critiche più severe presta il fianco l'intervista Saeb Erekat, "Il caos danneggia i palestinesi, subito vere riforme", sempre a pagina 11 e sempre a firma di u.d.g. Il ministro dell'ANP accusa i gruppi armati palestinesi e dei non meglio specificati oppositori delle riforme, (se avesse voluto fare un nome Erekat avrebbe dovuto chiamare in causa Arafat, cosa evidentemente impensabile) di fare il gioco di Israele, e addossa a quest'ultimo la responsabilità della corruzione del regime di cui lui fa parte. Corruzione che, occorre ricordare, esisteva ben prima del fallimento degli accordi di Oslo, della seconda intifada e della risposta israeliana. Quello di Erekat è il gioco propagandistico di tutte le dittature, che accusano di tradimento gli avversari interni e addossano a nemici esterni la responsabilità dei loro fallimenti. U.d.g. non prova neppure a scompaginare questo gioco, limitandosi a registrare le dichiarazioni del suo interlocutore senza accenni critici. Non gli chiede chi sia ad opporsi alle riforme. Non lo incalza nemmeno quando, alla domanda sull'inclusione nel "pluralismo" palestinese degli "integralisti" e dei "duri dell'Intifada", eufemismi per designare i terroristi di Hamas e Jihad islamica, e tutti coloro che continuano a rifiutare l'esistenza di Israele, Erekat risponde evasivamente, cambiando platealmente argomento. Spiegando perchè, a suo giudizio, le riforme democratiche non possono coincidere con l'allontanamento di chi le ostacola (Arafat), e definendo un'"ingerenza" la richiesta israeliana di avere un interlocutore non compromesso con il terrorismo. Due tesi alquanto ardite, che u.d.g, ancora una volta, non contesta. Di seguito riproduciamo i due articoli La rivolta contro Arafat dilaga a Jenin
Gli uomini col volto mascherato irrompono nel palazzo del governatore. A Jenin, la «capitale dei kamikaze» in Cisgiordania, a dettar legge sono i duri dell'Intifada. Mitra spianati, i miliziani delle Brigate dei Martiri di A1 Aqsa intendono dare una lezione a Kadar Musa, 50 anni, il governatore che aveva ricevuto la nomina dal presidente palestinese Yasser Arafat circa una settimana fa. Quel governatore non piace alle Brigate. I miliziani cospargono di benzina gli uffici di Musa. Poi intimano ai terrorizzati funzionari dell’ANP di abbandonare l’edificio. In pochi minuti, la «lezione» è impartita. L'incendio distrugge totalmente gli uffici del governatore e dei servizi di sicurezza palestinesi. Dalla Striscia di Gaza il caos si estende alla Cisgiordania. E come nella Striscia, la sfida delle fazioni armate si rivolge contro l'anziano raìs. Gli uffici di Kadura Musa sono stati distrutti dalle Brigate A1 Aqsa - una denominazione che si riferisce a una nebulosa di gruppi armati legati a Al Fatah - per imporre la nomina a governatore di Jenin di un'altra persona a loro più gradita. La distruzione dello stabile che ospitava gli uffici dei servizi di sicurezza palestinesi è stata giustificata dalle Brigate con l'affermazione che questi servizi «spiavano» i loro movimenti e poi passavano le informazioni all'esercito israeliano. Un'accusa che il capo dei servizi di informazione palestinesi a Jenin Azzam Zakernah ha negato e ha attribuito «al clima di anarchia» in questa città. Da Arafat è intanto partito un appello a risolvere «col dialogo tutti i problemi». Ma l'appello del Raìs sembra destinato a cadere nel vuoto. Perché l'unico linguaggio parlato e compreso dalle bande armate palestinesi è quello della forza. L'incendio di Jenin segue di poche ore il rapimento a Nablus di tre volontari stranieri - un americano, un britannico e un irlandese - membri di un'organizzazione assistenziale cristiana. I tre sono stati rapiti da sconosciuti, l'altra notte, mentre cenavano in un ristorante di Nablus. Sono stati liberati incolumi due ore più tardi nel vicino campo profughi di Balata, dopo che la polizia palestinese aveva assediato lo stabile nel quale erano stati trasportati. Il rapimento non è stato rivendicato da nessun gruppo armato palestinese. Un'ipotesi che viene avanzata da fonti locali è che sia legato a contrasti tra forze palestinesi rivali. Il rapimento dei tre volontari stranieri è condannato da Hassan Abu Libdah, capo di gabinetto di Arafat. Gli ultimi sviluppi della situazione sembrano indicare che la crisi in seno al’Anp resta ancora aperta malgrado la recente ritrovata intesa tra Arafat e il premier Abu Ala. La questione dell'ordine pubblico e la riforma dei servizi di sicurezza palestinesi saranno sull'agenda del governo dell'Anp nella sua prossima seduta. Disincanto. Rabbia. Frustrazione. Sono i sentimenti più diffusi tra i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania. A darne conto è Sami Abu Hilmi, un manovale di Gaza padre di cinque figli senza lavoro da oltre un anno: «Loro (dirigenti dell'Anp, ndr.) si fanno la guerra per le questioni di potere - dice - mentre noi ogni giorno dobbiamo subire gli attacchi israeliani e facciamo i conti con la disoccupazione e la crisi economica». Sullo stesso tasto insiste Yousef Azaz, un commerciante di Khan a sud di Gaza: «Sono questi - afferma deciso - i veri problemi dei palestinesi: l'occupazione, i raid militari, i posti di blocco. Non gli sgambetti che si fanno a vicenda quelli che comandano l'Anp». A scandire la quotidianità è sempre e comunque la violenza. A Gaza un bambino palestinese sarebbe stato ferito dal fuoco di soldati israeliani nel corso di una manifestazione di circa duecento donne palestinesi che a Bet Hanun protestavano contro l'occupazione di questa località da parte di Tsahal e denunciavano le sofferenze della popolazione. Fonti militari israeliane hanno negato che soldati abbiano aperto il fuoco sulla folla ma hanno ammesso che sono stati sparati colpi di avvertimento per dissuadere i manifestanti dall'avvicinarsi a loro. A Bet Hanun , a nord di Gaza City, Tsahal è presente da circa un mese nel tentativo, rivelatosi finora senza successo, di fermare i lanci di razzi Qassam contro la città israeliana di Sderot e altri centri israeliani limitrofi. Ancora ieri un razzo è caduto in un campo vicino a Sderot senza causare danni. Ma circa un mese fa il lancio di un razzo aveva provocato la morte di un bambino e di un adulto. Il ministro della Difesa Shaul Mofaz ha discusso l'altro ieri questo problema con alti ufficiali e, secondo i media locali, ha deciso di dare «carta bianca alle forze armate nel tentativo di risolverlo una volta per tutte. Ma un problema non meno drammatico è quello che investe la penosa situazione di almeno duemila palestinesi da una decina di giorni al valico di Rafah, tra Gaza e l'Egitto, chiuso da Israele per non meglio precisati motivi di sicurezza. «Sono in maggioranza.donne, bambini e anziani di ritorno da operazioni chirurgiche e cure in Egitto. Sono sistemati in modo precario sul lato egiziano de cofine in tende messe a disposizione da enti umanitari e religiosi», riferisce Mohammad al-Halabi, responsabile dell’ ufficio relazioni internazionali del comune di Gaza City. E avverte: «Gaza sta attraversando una fase molto drammatica ben oltre le contestazioni avvenute nei giorni scorsi».
"Il caos danneggia i palestinesi, subito vere riforme"
Dal suo ufficio di Gerico, Saeb Erekat segue con crescente preoccupazione le notizie che giungono dalla Cisgiordania: il rapimento-lampo di Nablus, l'incendio del palazzo del governatore a Jenin. Dalla Striscia di Gaza il caos armato si sta estendendo alla Cisgiordania. «Questo scivolare nel caos - sottolinea il ministro per gli affari negoziali dell'Anp - avrà riflessi negativi sul sostegno internazionale ai palestinesi e sui nostri interessi nazionali». «Le riforme - aggiunge Erekat - non sono più rinviabili, a cominciare dalla lotta alla corruzione e da un sostanziale riequilibrio dei poteri che deve investire la figura stessa del presidente. Ma non si contrasta la corruzione imponendo la legge della giungla».
Il caos sembra estendersi anche alla Cisgiordania. Qual è il suo giudizio? «C'è il rischio di una frammentazione del potere nei Territori con l'affermarsi di una sorta di anarchia armata. Si tratta di una deriva estremamente pericolosa, da contrastare con la massima determinazione perché indebolisce i nostri interessi nazionali e favorisce i piani di Israele...».
Di quali piani parla? «Ariel Sharon ha sempre puntato alla delegittimazione politica e alla sistematica distruzione sul campo dell'Autorità palestinese. Il suo vero obiettivo non è mai stato quello di favorire la crescita di una nuova classe dirigente bensì di provocare il caos e l'anarchia armata per dimostrare così l'inevitabilità del suo unilateralismo forzato e per portare a compimento la sua politica dei fatti compiuti, a cominciare dalla realizzazione del "muro dell'apartheid", con la cantonizzazione della Cisgiordania e l'annessione di fatto di territori palestinesi nello Stato d'Israele. Purtroppo nel nostro campo c'è chi sta favorendo questi disegni».
Si riferisce ai gruppi armati dell'Intifada? «Ad essi ma non solo. Mi riferisco anche a quanti per calcoli di potere personali o di clan si sono opposti all'avvio di un serio programma di riforme».
I duri dell'Intifada accusano l'Anp di cedimento e rilanciano la lotta armata. «Il diritto di resistenza è da rivendicare, la pratica terroristica è da combattere perché non è colpendo civili israeliani che rafforzeremo le ragioni di un popolo in lotta per l'autodeterminazione nazionale».
La popolazione palestinese è esasperata dalla corruzione dilagante in seno all'Anp. «La popolazione è innanzitutto esasperata da un'occupazione militare che ha distrutto la nostra economia, minato le nostre strutture amministrative, provocato migliaia di morti. Non cerco giustificazioni ma voglio solo far presente che non è facile avviare riforme, indire libere elezioni, costruire una nuova e più valida classe dirigente quando devi fare i conti con la costante, asfissiante, pressione militare israeliana».
Ma la corruzione nell’Anp non è certo una invenzione della propaganda israeliana. «La lotta alla corruzione va condotta a fondo perché è l'unica strada per ricostruire un legame di fiducia tra la leadership politica e il popolo. Ma questa lotta non giustifica azioni di banditismo di chi si erge a "giustiziere" e in nome della lotta alla corruzione impone nei Territori la legge della giungla».
Tra gli ostacoli alle riforme non c'è anche l'assolutismo di Yasser Arafat? «Considero l'intesa raggiunta di recente tra il presidente Arafat e il primo ministro Abu Ala come l'avvio e non certo la conclusione di un processo di riequilibrio sostanziale dei poteri. Si tratta di gettare le basi del futuro assetto di uno Stato palestinese indipente, di uno Stato di diritto fondato pluralismo politico...».
Un pluralismo che deve riguardare anche i gruppi integralisti e i duri dell'Intifada? «La grande maggioranza dei palestinesi vuole il pluralismo partitico non contropoteri o microstati all'interno del’Anp. Chi agisce con una logica banditesca infligge colpi mortali alla causa palestinese. Le riforme non sono più rinviabili, pena la distruzione di ogni autorità politica nei Territori, ed esse devono riguardare ogni ambito delle istituzioni politiche e investire anche il ruolo del presidente. Ma tutto ciò, è bene sottolinearlo, non ha nulla a che vedere con la pretesa israeliana, del tutto strumentale, di identificare le riforme con l’uscita di scena di Arafat. Questo diktat è inaccettabile. Sarà il popolo palestine e, attraverso libere elezioni, a scegliere, i suoi dirigenti, il suo presidente . Sul CORRIERE DELLA SERA, Alessandra Coppola firma a pagina 11 l'articolo "Cisgiordania, un'intifada anti-Arafat"; una cronaca precisa ed esauriente, che manca però di chiarezza quando descrive il campo di Bet Hanun come "stretto ormai da mesi tra i miliziani palestinesi che lo usano come base di lancio per i missili artigianali Qassam (decine nell'ultimo mese, diretti per lo più verso Sderot, uccise due persone, tra cui un bimbo) e i militari israeliani che in incursioni continue fanno morti e feriti (ieri colpito un ragazzino) e devastano terre e stabilimenti". A parte l'uso del termine "miliziani" per terroristi e il fatto che non viene ricordato che Sderot è in Israele, ciò che manca è il nesso causale fra i lanci e le incursioni che a quei lanci devono porre fine e che non sono dirette a "fare morti e feriti" tra i civili nè a produrre "devastazioni" prive di una giustificazione militare. Su LA STAMPA l'articolo di Aldo Baquis "Abu Ala ai miliziani: basta rapimenti di stranieri", a pagina 12, equipara l'occupazone militare israeliana e "i mille impedimenti posti dallo stesso Arafat", come cause della debolezza del governo di Abu Ala. Di fatto però è Arafat che, nonostante l'occupazione israeliana, ha fin qui tenuto un saldo controllo delle finanze dell'ANP, delle forze di sicurezza e dei gruppi armati, impedendo ai primi ministri (Abu Mazen prima di Abu Ala) che avrebbero dovuto realizzare la Road Map di combattere il terrorismo. Allora, se l'occupazione non ha tolto ad Arafat il suo potere, usato spregiudicatamente per bruciare qualsiasi possibile avversario politico, è ad Arafat e non all'occupazione che si deve la debolezza di Abu Ala. Baquis definisce poi genericamente "oppositori" i gambizzatori di Nabil Amr, esponente politico moderato. Ma Amr è stato colpito per aver criticato Arafat, il chè rende assai chiaro il legame tra i suoi feritori e il rais. Su LA REPUBBLICA Marco Ansaldo nell'articolo "Jenin, incediato il palazzo del governatore di Arafat", a pagina 20, scrive di "disposizioni" del ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz che concederebbero "carta bianca" all'esercito per "porre fine ai ripetuti lanci di razzi Qassam". In realtà non esistono disposizioni ufficiali in materia, ma soltanto un colloquio tra Mofaz e alti ufficiali e le indiscrezioni dei media israeliani su di esso (vedi l'articolo di u.d.g. pubblicato sopra). Per Ansaldo tuttavia, esiste un "provvedimento" che "sembra avere quasi il sapore di un illimitato via libera a ogni tipo di difesa". La vaghezza ("sembra avere quasi il sapore") di questa ingiustificata illazione serve a biasimare Israele per atti terribili che "potrebbe" commettere, ma che di fatto non ha commesso e che neppure sono stati ordinati.In realtà Israele esercita il suo diritto all'autodifesa nell'ambito di precisi limiti morali e nel rispetto di criteri di proporzionalità. Mofaz non potrebbe, perchè si porrebbe al di fuori della legge, dare "carta bianca" ai militari nel senso di concedere loro di fare qualsiasi cosa, anche criminale o folle, nè questi, presumibilmente, eseguirebbero i suoi ordini. L'espressione deve essere intesa, secondo logica ed esperienza, come l'attribuzione di una larga autonomia operativa, all'interno di quei limiti morali che Israele si è sempre imposto nella lotta al terrorismo.( a cura dela redazione di Informazione Corretta) Di seguito pubblichiamo l'articolo di Marco Ansaldo: BETLEMME - Rapimenti di cittadini occidentali, incendi di edifici dell´Autorità nazionale di Arafat, proteste e malcontenti. Da Gerusalemme Est a Nablus, da Betlemme a Jenin passando per la Striscia di Gaza, è sempre alta e palpabile la tensione nei Territori palestinesi. L´aspro confronto tra sostenitori e avversari del leader Olp continua, e la sensazione è di trovarsi all´inizio di una resa dei conti ormai molto vicina. Ieri il braccio di ferro si è manifestato a Jenin, in Cisgiordania. Qui un gruppo di armati delle Brigate dei martiri di Al Aqsa ha incendiato gli uffici della sicurezza palestinese e il vicino palazzo del governatore, Kadura Musa, 50 anni, che aveva ricevuto la nomina dal presidente palestinese Yasser Arafat circa una settimana fa. Di costui, come di altri uomini vicini al leader e accusati di corruzione, gli elementi più intransigenti esigono la sostituzione. La distruzione dello stabile che ospitava gli uffici dei servizi di sicurezza palestinesi è stata giustificata dalle Brigate con l´affermazione che questi servizi «spiavano» i loro movimenti e poi passavano le informazioni all´esercito israeliano, affermazione negata dall´Anp. Anche il sequestro lampo di tre insegnanti d´inglese (un americano, un britannico e un irlandese) avvenuto nella notte fra venerdì e sabato a Nablus conferma il duro braccio di ferro che oppone forze palestinesi di campi opposti. I tre giovani professori sono stati liberati incolumi dopo che una pronta caccia all´uomo era stata lanciata dalla polizia di Arafat. Nessuno ha rivendicato l´azione. Ma l´episodio ricalca il rapimento di quattro francesi, avvenuto due settimane fa, e anch´esso conclusosi solo con una notte di spavento. Sono segnali di una prova di forza in cui i nemici di Arafat vogliono manifestare il loro potere e controllo del territorio, chiedendo allo stesso tempo quelle riforme che l´anziano leader non ha per ora mostrato di voler concedere. Ieri il fatto è stato duramente criticato dal ministro dell´Autorità nazionale palestinese, Saeb Erekat, uomo di dialogo e considerato vicino al presidente. «Questo scivolare nel caos - ha affermato - avrà riflessi negativi sul sostegno internazionale ai palestinesi. Credo che questi stranieri volessero aiutare la nostra gente. La violenza esercitata contro di loro è inaccettabile. Nessuno può fare legge da sé». Tensione anche a Gaza: un gruppo di donne legate al movimento della Jihad islamica ha manifestato contro le continue azioni militari e le difficoltà che stanno causando alla popolazione. I soldati avrebbero sparato per disperdere la folla, e un bambino è rimasto ferito. Nel frattempo Israele non abbassa la guardia. Lo dimostrano le nuove disposizioni date dal ministro della Difesa, Shaul Mofaz, il quale ha concesso «carta bianca» all´esercito nel cercare di mettere fine ai ripetuti lanci di razzi Qassam da Gaza sulla città di Sderot, territorio israeliano che nell´ultimo periodo ha registrato alcune vittime. Il provvedimento sembra avere quasi il sapore di un illimitato via libera a ogni tipo di difesa. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de L'Unità, Corriere della Sera, La Stampa e La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.